Benedizione

La benedizione e' una lode o una affermazione?

Considerando l’enunciato della benedizione, si sarebbe tentati di optare per la prima risposta. Prendiamo l’esempio del Kiddush. Si dice: benedetto tu eterno, nostro D-o re del mondo, creatore del frutto della vigna. Ci sembra una lode, soprattutto perche' diciamo Tu a D-o.

Nel III secolo questo enunciato era oggetto di discussione tra due maestri della tradizione: Rav e Samuele. La questione era di sapere se si poteva indirizzarsi a D-o nella seconda persona usando il pronome personale Attah (tu) o se bisognava conservare la formula ispirata dai testi biblici come Genesi 14:20, 1 Samuele 25:32,39, Salmo 66:20, 124:6 ed Ezra 7:27, che parlano di D-o in terza persona del maschile singolare (J. Berakhot 9:12d, B. Berakhot 40b e Midrash Tehillim 16:8). Se si fosse mantenuta la formulazione biblica, la benedizione sarebbe apparsa come l’affermazione del riconoscimento di una qualita' di D-o: creatore del frutto della vigna, autore della pace...utilizzando il pronome personale Tu, alla benedizione venne aggiunto un carattere di lode. Questo aspetto diventava preponderante, facendo dimenticare che la benedizione e' innanzitutto una affermazione.

Quando pronunciamo una benedizione, riconosciamo a D-o una qualita' particolare legata al momento e al luogo in cui ci troviamo. Essa dunque dipende dalla presa di coscienza di cio' che viviamo. Dicendo il Kiddush, riconosciamo che D-o e' colui che ci ha accompagnato attraverso la storia, Elohenu (nostro D-o), senza dimenticare che e' Melekh Haolam (re del mondo), cioe' senza limitarlo in alcun particolarismo. Poi enunciamo il rapporto tra il momento che viviamo e D-o, affermando che e' Bore peri hagafen (creatore del frutto della vigna), cioe' riconoscendo in lui la fonte dell’esistenza di tutto cio' che compone il nostro universo e in particolare del frutto della vigna. Ma puo' trattarsi di pane, legumi, del giorno e della notte...

La benedizione e' dunque una affermazione prima di essere una lode. E’ l’espressione della nostra coscienza della realta' e non puo' in alcun caso essere disgiunta dal nostro vissuto. È perche' abbiamo coscienza di vivere dei momenti particolari, anche se questi si ripetono ad intervalli diversi, che enunciamo una o piu' benedizioni e affermiamo, attraverso queste parole antiche, la nostra fede attuale in un D-o creatore e onnipotente.

Cosa aggiungiamo a D-o con queste parole? Niente, nulla, perche' se potessimo aggiungere qualcosa a D-o, cio' significherebbe che D-o potrebbe essere piu' di quello che e' , quindi che e' incompleto, cio' che e' incompatibile con la nostra definizione di D-o onnipotente. Di conseguenza la benedizione non e' una parola destinata ad aggiungere un elemento mancante a D-o, ma essa e' destinata a chi la pronuncia e a chi l’ascolta. È una affermazione del credere in D-o e nei confronti di D-o e' una conferma del nostro attaccamento a lui.

Vi sono diversi tipi di benedizione. Vi sono quelle legate al compimento di una Mitzvah e che affermano che il gesto e' compiuto per fedelta' ad un insegnamento che trova origine nella rivelazione. Vi sono quelle di ringraziamento, ad esempio quando prendiamo un pasto, quando scopriamo le meraviglie della natura... Vi sono quelle che ci permettono di prendere coscienza di eventi particolari come il Sheheheyanu.

In ogni caso la benediizione e' un invito a prendere coscienza della realta' che ci circonda e l’affermazione che l’origine di questa realta' e' l’atto creatore di D-o. Essa non dissocia l’individuo dal suo ambiente, anzi lo rende piu' cosciente della esistenza nel mondo e gli permette di esprimere ancora meglio la sua meraviglia.

La benedizione e' dunque ben piu' di una lode, e' l’affermazione essenziale della nostra esistenza in seno alla creazione di D-o

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