Da artista ad artista: recensione dell'ultimo film di Woody AllenAmico mio nemicodi Gioele Dix Woody Allen: Deconstructing Harry. Pensato e prodotto in tempi di decostruttivismo, addirittura post-decostruttivismo, secondo alcuni. Difficile un giudizio costruttivo. E dunque? Mi verrebbe da dire: andiamo con disordine. Per esempio. Ci sono, nel nuovo film, molte battute fulminanti ed alcune intuizioni geniali, come l'attore sfuocato o il marito che in passato ha divorato una donna e i suoi figli. Sono buffe storie appena accennate, intelligenti progetti incompiuti, scintille di surreale saggezza. Ma perché mi sono (anche) annoiato? ci sono parecchi salti di logica, ripetizioni, vicoli ciechi. Altro esempio. C'è, nel nuovo film, una scelta importante di linguaggio. Woody Allen introduce un pesante turpiloquio. Perché mi ha curiosamente infastidito? Forse perché non me l'aspettavo, non in un suo film? Eppure, la comunicazione volgare ha un indiscutibile potere catartico, ne subiamo tutti il perverso fascino. Non è, a volte, meravigliosamente liberatoria e sintetica? Che sia l'imprevista ossessione per l'amore orale ad avermi negativamente colpito? Molto nordamericana ed attuale, al presidente piace parecchio, si dice. Ma da un grande scrittore, notoriamente distante per estrazione dai pruriti e rigurgiti del puritanesimo bianco, non ci si attende più che altro amore scritto? Che siano fatti personali, private pulsioni ad averlo sospinto? Amichevolmente, non può che far piacere. Ma allora occorre un inciso. Quando un grande comico è inventore dei propri personaggi e autore dei propri testi, raramente prescinde da se stesso. Ciò significa che sa raccontare, genialmente camuffati, sentimenti ed esperienze proprie, spacciandoli per indiscutibili verità. Propone la propria autonoma, originale, non allineata visione del mondo. Fine dell'inciso. Dunque, Woody Allen non parla mai strettamente di se stesso, ma chi lo conosce (e lo ama) sa che, essendo un buon regista ed un ottimo sceneggiatore, saprà distribuire lungo tutta l'opera i segni corrispondenti agli aggiustamenti delle sue passioni, alle oscillazioni dei suoi gusti, al suo grado di sopportazione dell'esistenza. I segni saranno nella scrittura, nelle storie degli altri personaggi e nei loro dialoghi, nelle inquadrature e nel montaggio. I segni saranno nell'intera confezione. Direi meglio: il segno sarà la confezione. Che cosa ci ha dunque confezionato quest'ultima volta il grande Woody? Un pacco stracarico e straricco, perciò stupefacente, ma anche ingombrante; a tratti irresistibile, ma pure compiaciuto, persino rancoroso, cinico più che amaro. Un'altra prova (secondo me)? L'attacco quasi virulento alle proprie radici ebraiche, tema sul quale proprio lui è stato campione ed emblema per anni di un approccio dolente, sarcastico, ma mai disamorevole. Ora i casi sono due: o non ho voluto capirci nulla io (lo confesso: se si parla male degli ebrei, mi incazzo comunque, a prescindere... proprio come uno dei personaggi del suo film!); oppure è lui che aveva ed ha bisogno di regolare i conti con la propria identità ebraica (seconda confessione: non mi sono mai riconosciuto nella storia, nei modi, nei tempi dell'ebraismo americano, viziato irrimediabilmente da una oggettiva distanza geografico-spirituale dal cuore millenario del popolo di israele). Un secondo inciso, allora. Non è dato sapere fino in fondo perché un comico piaccia o meno. Perché dice quello che pensa (a chi piace come la pensa); perché pensa quello che dice (a chi piace quello che dice). Ma anche perché non sembra pensare a quello che dice; e persino perché non dice affatto quello che pensa. In realtà, il comico agisce sulla pelle e sulle viscere, senza troppe spiegazioni. Fine del secondo inciso. Nel film, Harry è protagonista di alcune scene e scambi di battute memorabili. e il suo paradossale (ma non troppo) itinerario affettivo, nelle cui tortuose contraddizioni non è difficile riconoscersi in tanti, è rappresentato come meglio non si poteva dal tono grottesco del sotto-finale, con quell'arrivo all'università in compagnia di un figlio rapito, una prostituta e un amico cadavere. Conclusione, decostruita, ma costruttiva. Resto un grande ammiratore di Woody Allen. Mi prendo tutto il buono che anche in questo film mi ha dato. Attendo impaziente il prossimo film, sperando sia altrettanto discutibile, perché finalmente non uscirò dalla proiezione, come sempre in passato, con un senso di impotente ammirazione, incapace di discutere o di esprimere giudizi meno che entusiastici. E aggiungo, a puro scopo precauzionale: qualora mai gli passasse per la testa di offrirmi una partecipazione in un suo film, sappia che andrei a Manhattan (lo girerebbe lì?) anche a nuoto. |