Mo'ed di piomboTradizionale ricorrenza romana(2 Shevath 5553)Traduzione
Questa luce...
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Questa luce ...La comunita' di Roma celebra ancora ai nostri giorni il 2 di shevat, in memoria di un tentativo di incendio al ghetto nell'anno 5553 (1793); detto giorno e' conosciuto a Roma con il nome di Mo'ed di piombo. L'origine del nome e' incerta. Secondo gli anziani della comunita' il nome è dovuto al fatto che mentre fu appiccato dalla plebaglia il fuoco alle porte del ghetto il cielo si ricoprì di dense nubi, fino a diventare di color piombo e poi cadde una fortissima pioggia, che spense l'incendio incipiente. Secondo altri il termine Mo'ed di piombo sarebbe dovuto al fatto che tale giorno fu considerato dall'intera comunita' come Mo'ed, giorno di festa, e per non essere confuso con gli altri Mo'adim fu definito Mo'ed di piombo, cioe' un Mo'ed secondario ad analogia del piombo che pur essendo molto utile e' considerato il meno prezioso fra i metalli. (v. A. Milano, glossario delle espressioni di origine ebraica nel dialetto giudaico romanesco, in C. Del Monte, sonetti postumi giudaico - romaneschi, Roma 1955, p.249). Mi sembra che la prima spiegazione sia la piu' giusta in quanto nei documenti giacenti nell'archivio della comunità, che narrano l'accaduto e che furono pubblicati da Enzo Sereni (l'assedio del ghetto di Roma nel 1793 nelle memorie di un contemporaneo, rassegna mensile di Israel, giugno-luglio 1935, pp.100-125) si parla chiaramente del miracolo di una fortissima pioggia, con l'espressione di Genesi VII, 11 wa-arubboth ha-shanayim niftàchu (e le cateratte del cielo si aprirono). Questo Mo'ed viene ancora oggi ricordato ed osservato dalla comunita' di Roma, specialmente durante la preghiera del mattino e del pomeriggio, nelle quali si omette la Techinna' come nei giorni segnalati; la sera il tempio e' tutto illuminato e la preghiera serale e' generalmente accompagnata da una derasha' del rabbino, nella quale spiega il motivo della ricorrenza. Da quanto si rileva dalla descrizione del cerimoniale, in passato, la preghiera serale veniva recitata al tempio sull'aria dei giorni festivi; essa era accompagnata dai vari salmi (95,7,15,22,27,30,48,ecc.) E veniva solamente cantato un pizhmon o poesia rimata, scritto in ricordo dell'avvenimento che si apriva con le parole or zhe' zheman nissim le-ammo' el ..., di cui diamo il testo ebraico e la traduzione italiana. La poesia si compone di diciotto strofe, due a mo' di ritornello e quattro quartine, all'inizio delle quali figura la data del 2 di shevat dell'anno 5553 (gennaio 1793). Rav Nello Pavoncello |