4.1. Premesse. L'intesa ebraica tra diritto all'uguaglianza e aspirazioni alla diversita'.E' giunto il momento di affrontare il tema che, concettualmente, si colloca al centro di tutta la trattazione: l'intesa tra la Repubblica italiana e l'Unione delle comunita' israelitiche (che d'ora in poi chiameremo Unione delle comunita' ebraiche italiane, secondo la nuova denominazione assunta ex art. 1 L. 101/1989), che, come abbiamo gia' visto1, e' stata siglata a Roma il 27 febbraio 1987, a firma dell'allora Presidente del Consiglio on. Bettino Craxi, e della Presidente dell'Unione Tullia Zevi, a coronamento di un lungo dibattito trascinatosi, con alterne vicende, per piu' di un decennio. Come si e' anticipato nell'introduzione, faremo riferimento non all'intesa ex se, ma alla normativa risultante dalla legge di approvazione 101/1989, come modificata dalla successiva legge 638/1996, cosi' che quando, per comodita' di esposizione, ci si riferira' alla "intesa ebraica" - o ad una di quelle sino ad ora stipulate con le altre confessioni2 -, il richiamo a specifici articoli e' da intendersi riferito all'impianto normativo della relativa legge di approvazione. Come e' stato notato dalla dottrina immediatamente successiva all'emanazione della legge 101/19893, l'intesa ebraica del 1987 costituisce il momento conclusivo dell'ampio e travagliato dibattito, svoltosi all'interno dell'ebraismo italiano, sull'assetto da dare alla disciplina pattizia, iniziato, come abbiamo visto4, sin dal 1977, ma che ha avuto un andamento conclusivo soltanto a partire dal 19855, cosi' che l'intesa ebraica, il cui negoziato era iniziato insieme a quello della Tavola valdese, ha potuto vedere la luce soltanto al termine della cosiddetta "prima stagione" delle intese6 - dopo la conclusione del nuovo Concordato, e delle intese con i valdesi, gli avventisti ed i "pentecostali" -, a causa della varieta' e complessita' di posizioni all'interno delle diverse comunita' ebraiche del nostro Paese, che si trovavano schierate su fronti opposti, e, molto spesso, caratterizzate da una diversita' di vedute sia in ordine all'an, che in ordine al quomodo, del rinnovamento da dare all'organizzazione della realta' ebraica in Italia7. Nel secondo capitolo8, sono gia' stati esaminati gli auspici che l'Unione delle comunita' ebraiche aveva avuto modo di formulare in ordine alla conclusione dell'intesa con lo Stato, i piu' importanti dei quali attingevano alle stesse richieste che erano state avanzate in sede di elaborazione della precedente normativa del 1930, ma che erano state, all'epoca, quasi completamente disattese9. e' ora giunto il momento di verificare se, e come, tali richieste abbiano potuto trovare, invece, una adeguata e piu' coerente risposta all'interno del testo pattizio, che, come e' stato lucidamente rilevato da autorevole dottrina10 ancora alla vigilia dell'approvazione del testo definitivo, appare ispirato da tre grandi linee guida, costituite, in primis, dal reclamo della liberta' di essere se' stessi, e, pertanto, allo stesso tempo uguali e diversi dagli altri, nel convincimento che ciascuna realta' confessionale sia diversa dall'altra, ma, non per questo, meno degna di uguale tutela del proprio specifico patrimonio11; in secondo luogo, dal rifiuto di ogni posizione privilegiaria, ma con la contemporanea rivendicazione dell'adattamento all'ebraismo - secondo un utilizzo ecclesiasticistico del principio internazionalistico della "clausola della nazione piu' favorita", e limitatamente ai soli profili di liberta'12 -, di migliori modelli o discipline previsti per altre confessioni (nella specie: la Chiesa cattolica); in ultimo, dalla consapevolezza del contributo all'evoluzione ed alle scelte della societa' civile che l'ebraismo italiano, con l'intesa, viene ad offrire13. Come abbiamo gia' accennato14, questi tre punti vengono ad intersecarsi l'uno con l'altro all'interno dell'intesa ebraica, con una singolare sovrapposizione - a volte anche nell'ambito dello stesso articolo - dei diversi piani, a testimoniare la estrema complessita' dei problemi tecnico-giuridici, sollevati dalla reclamata peculiarita' di disciplina, che il Consiglio dell'Unione ha dovuto affrontare e cercare di risolvere nella formulazione del testo pattizio: si e' trattato, quindi, di un'opera estremamente delicata, se si guarda all'intesa come a quello strumento che ha come scopo quello di riuscire a mantenere il difficile equilibrio di dare a ciascuno il suo, senza pero' creare alcuna ingiustificata situazione di privilegio, nel rispetto della parita' dei diritti di tutti i cittadini e di tutte le confessioni, e della imparzialita' e aconfessionalita' del moderno Stato di diritto. Nel nostro Paese, il dettato costituzionale in materia di parita' dei culti, e di garanzie concrete della liberta' religiosa, e' rimasto sostanzialmente inattuato per oltre un quarantennio. Se in Spagna, Paese giunto anch'esso piuttosto tardi al trattamento paritario delle confessioni religiose ed alle relative garanzie di liberta', si e' intervenuti sull'annoso problema con l'emanazione della legge organica sulla liberta' religiosa del 1980 - che, a sua volta, prevede la possibilita', per le singole confessioni, di concludere accordi particolari in un ambito di materie da essa stessa fissato -, in Italia, rimasti lettera morta i disegni di legge che si proponevano l'abrogazione, nei confronti di tutte le confessioni religiose, della legislazione del 1929, e la sua sostituzione con un nucleo di princi'pi comuni sulla liberta' religiosa15, sono stati i negoziatori dei paralleli accordi con le diverse confessioni religiose a realizzare, de facto, un modello di rapporti tra Stato e confessioni che segue linee sostanzialmente uniformi, ma che riesce comunque a dare libero spazio a regimi differenziati, ove questi siano giustificati da reali diversita' di pratiche, e di esigenze, dei singoli interlocutori confessionali16. Ecco la ragione di quel fenomeno di "allineamento normativo" che e' stato riscontrato, dalla dottrina piu' attenta, in alcune disposizioni delle diverse intese17, e che lascia intravedere, fra le maglie delle norme, quel disegno generale che si va cosi' costruendo, "come uno straordinario puzzle, attraverso la "negoziazione" con le confessioni"18. Focalizzando, ora, l'attenzione sull'oggetto della nostra trattazione, possiamo anticipare fin da ora che l'intesa ebraica ha trovato un felice punto di equilibrio tra l'inquadramento della nuova disciplina pattizia negli orientamenti generali perseguiti dallo Stato nelle diverse intese, e il rispetto delle specificita' proprie dell'ebraismo19. Con una schematizzazione senz'altro utile ai fini espositivi, possiamo affermare che le tre grandi linee guida di cui si e' detto poc'anzi possono essere ricondotte ad altrettanti livelli, o prospettive, sotto le quali si possono leggere le diverse parti dell'intesa20, costituite, rispettivamente, dalla prospettiva che fa capo al diritto alla diversita', in cui trovano dispiegamento le esigenze specifiche dell'ebraismo, in ossequio al piu' volte menzionato diritto di conservare la propria identita', e di vederla dagli altri rispettata21, e che interessa soprattutto la liberta' degli ebrei uti singuli; la prospettiva del diritto all'uguaglianza, nel cui ambito vanno ricondotti i diversi "contatti" che, come vedremo, esistono tra l'intesa ebraica ed il testo dell'Accordo di Villa Madama, e che si riconnettono soprattutto alla tutela dell'uguale liberta' dell'ebraismo italiano in quanto confessione religiosa organizzata, mentre l'ultima - ma, non per questo, meno importante - prospettiva, quella della partecipazione, risulta dalla reciproca sovrapposizione delle due precedenti, ma assume una propria, autonoma connotazione, nel momento in cui si venga a riconoscere il ruolo che l'ebraismo italiano puo' avere, ed il contributo che puo' dare, al processo di arricchimento e di progresso della collettivita' nazionale nel suo complesso. Innanzitutto, e' da dire che la disciplina derivante dalla legge 101/1989 si discosta dalla impostazione derivante dalle altre intese per il fatto che queste sono state stipulate pur sempre con Chiese cristiane, mentre, nel caso dell'Unione delle comunita' ebraiche, siamo al cospetto di un ente rappresentativo della collettivita' ebraica in Italia22; in secondo luogo, va sottolineato il fatto che la confessione ebraica era l'unica ad essere disciplinata con una normativa confezionata ad hoc, costituita dal R.D. 30 ottobre 1930, n. 1731, e dal R.D. 19 novembre 1931, n. 1561, che, come e' stato evidenziato, costituivano una vera e propria "costituzione civile della confessione ebraica da parte del legislatore statale"23 - seppure gradita ai vertici dell'ebraismo dell'epoca, non fosse altro perche' veniva a dare a tutte le comunita' israelitiche una disciplina legislativa certa e, soprattutto, uniforme24 -, cosi' che l'intesa ha dovuto preliminarmente sanzionare, oltre al venire meno - relativamente alla confessione ebraica - della normativa derivante dalla legislazione sui culti ammessi, anche la definitiva abrogazione della legislazione speciale sulle comunita' israelitiche del 1930-1931 (art. 34, commi 1 e 2, L. 101/1989)25. Anche per questo motivo, se il raggiungimento di un'intesa con lo Stato rappresenta un importante traguardo per tutte le confessioni di minoranza, per l'ebraismo italiano la messa in opera dello strumento bilaterale ha avuto addirittura una portata storica, dal momento che i redattori del progetto d'intesa si sono trovati di fronte ad un bivio, costituito, da un lato, dal limitarsi ad apportare le necessarie modificazioni alla normativa vigente, per espungerne i tratti piu' marcatamente in conflitto con la Costituzione, e, dall'altro, dall'innescare una profonda revisione del sistema, creando istituti nuovi. Se la prima soluzione e' stata seguita nel Congresso straordinario del 1968, che ha eliminato le piu' macroscopiche violazioni della Carta costituzionale26, dando inoltre vita ad una sorta di statuto ante litteram dell'ebraismo italiano, nel 1987 la realta' ebraica in Italia ha saputo, e potuto, finalmente autodefinirsi ed autodisciplinarsi dandosi per la prima volta un libero statuto, in vista della stipulazione dell'intesa con lo Stato27. Corollario necessario della conformita' della legge 101/1989 al dettato costituzionale e' quello del suo diverso ambito materiale di vigenza, rispetto a quello della normativa sulle comunita' israelitiche del 1930-1931: infatti, mentre la maggior parte della normativa previgente pretendeva di regolare minuziosamente l'organizzazione ed il funzionamento delle comunita'28, la nuova normativa risultante dalla legge 101/1989 non accenna minimamente ai tratti piu' spiccatamente amministrativi e/o organizzativi della confessione - che costituiscono, invece, materia dello statuto che l'ebraismo ha potuto e dovuto darsi, come presupposto dell'entrata in vigore della legge di approvazione dell'intesa29 -, ma detta norme per l'esercizio in concreto della liberta' religiosa degli appartenenti all'ebraismo in Italia, e per la disciplina dei rapporti tra le comunita' ebraiche e lo Stato30. Note:
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