4.3. I ministri di culto.

La disposizione dell'art. 3 della legge 1159/1929 voleva che la nomina dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica fosse sottoposta alla approvazione del Ministero dell'Interno, con la sanzione dell'irrilevanza civile degli atti compiuti da ministri di culto la cui nomina non fosse stata approvata. Con l'entrata in vigore della legge 101/1989, anche questa norma ha ovviamente cessato di avere efficacia con riguardo agli appartenenti all'ebraismo, cio' traducendosi in un netto recupero di autonomia e di liberta' religiosa, sia per la confessione, che per i rabbini stessi1.

Nella stessa prospettiva, possiamo darci ragione della scomparsa dal testo definitivo dell'intesa di quella disposizione che, nella bozza del 1982, prevedeva - ai fini del riconoscimento del trattamento previsto dall'intesa stessa e dalle norme dello Stato, soprattutto in materia previdenziale -, la comunicazione al Ministero dell'Interno delle nomine e delle cessazioni dei rabbini, anche se, come e' stato osservato, tale comunicazione - finalizzata ad una successiva "stonata" pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale -, certamente non voleva integrare il presupposto di alcun controllo ex parte Status2. Il terzo comma dell'art. 3 della legge 101/1989, infatti, dispone che ai fini dell'applicazione della normativa risultante dall'intesa (per cio' che concerne l'assistenza spirituale, la celebrazione del matrimonio e l'iscrizione, ex art. 31 comma 2, al Fondo speciale di previdenza e assistenza per i ministri di culto), "l'Unione rilascia apposita certificazione delle qualifiche dei ministri di culto", con un dettato sicuramente piu' in linea sia allo spirito dell'intesa stessa, che al principio dell'autonomia confessionale.

Il primo comma dell'art. 3, ad integrazione di quanto gia' disposto dall'articolo precedente, assicura il libero esercizio del magistero dei rabbini, attribuendo loro, inoltre, il diritto di astenersi dal fornire "a magistrati o altre autorita' informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero".

La previsione del diritto dei rabbini di astenersi dal dare informazioni su materie delle quali siano venuti a conoscenza per ragioni del loro ministero - il cosiddetto "segreto ministeriale" -, come non ha mancato di sottolineare la dottrina maggioritaria3, pare costituire una applicazione di quella gia' menzionata "clausola della religione piu' favorita", presentando, ancora una volta, una palese analogia con il testo dell'art. 4, comma 4, del nuovo Concordato.

Indubbiamente, la disposizione dell'intesa ebraica si ispira a quella prospettiva della uguaglianza di cui si e' detto nel paragrafo precedente. Se la dottrina4 ha osservato che la norma in esame nulla sembra aggiungere alla norma generale dell'art. 200 cod. proc. pen. del 1988, che, con una disposizione maggiormente aderente ai princi'pi costituzionali - seppure non del tutto esente da critica5 - rispetto a quella del vecchio codice sotto la cui vigenza era stata firmata l'intesa, garantisce il segreto professionale dei ministri di tutte le confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, e' anche innegabile che l'inclusione, nell'intesa, del diritto dei ministri ebraici di astenersi dal dare informazioni su materie apprese nell'esercizio del proprio magistero puo' trovare una propria, autonoma ratio nella "assicurazione per il futuro"6, ovvero nell'impegno pattizio dello Stato a mantenere questa garanzia anche in una futura, diversa normativa codicistica, dal momento che le norme di derivazione bilaterale godono di "resistenza passiva" all'abrogazione da parte delle leggi ordinarie.

Ma il rilievo che vorremmo fare riguardo a questa disposizione della legge 101/1989 concerne un aspetto piu' sostanziale, dal momento che, nella nostra opinione, non la si puo' sottrarre ad una censura, se non di inopportunita', quantomeno di singolarita', non appena si ponga mente alla particolarissima posizione che rivestono i rabbini all'interno dell'ordinamento ebraico, posizione che costituisce un unicum non riscontrabile, a quanto ci e' dato sapere, nell'ambito di nessuna altra confessione religiosa.

Come abbiamo gia' avuto modo di vedere nel primo capitolo7, infatti, i rabbini non sono affatto "ministri di culto" nel senso tradizionale del termine, se con l'espressione ci si riferisce a sacerdoti, o a pastori d'anime, come possono essere i ministri del culto cristiano. Questa connotazione dei rabbini deriva essenzialmente da ragioni storiche, poiche', come riferiscono gli stuD-osi della materia, la classe sacerdotale si estinse con la distruzione del Tempio e la caduta di Gerusalemme nell'agosto dell'anno 70 dell'era volgare, ad opera dell'esercito romano comandato da Tito8. Alla scomparsa della liturgia, e della casta sacerdotale collegata al Tempio - che non venne mai piu' ricostruito -, fece da contrappeso la nascita di una nuova casta, quella degli esperti nella Sacra Scrittura, o rabbini (rabbi', in ebraico, significa appunto "maestro"), che si dedico' esclusivamente a raccogliere e ad interpretare il complesso legislativo rivelato, che - segno dell'elezione divina -, ha costituito le basi della nascita dell'ebraismo9.

Maestri di lettura ed interpretazione dei testi sacri10, quindi, i rabbini non sono, come e' stato coloritamente sottolineato, i "preti degli ebrei", sebbene, dalla stessa parte ebraica, sia stata evidenziata l'attuale dicotomia, la tensione potremmo dire, tra il profilo deontologico, e quello ontologico, sul ruolo e sulla posizione dei rabbini nella societa' attuale: infatti, all'interno delle diverse comunita' ebraiche italiane, ormai da diverso tempo si assiste ad uno strano fenomeno "assimilatorio", per cui gli ebrei, nella loro maggioranza, non cercano piu' il rabbino nella sua funzione originaria di maestro e di sapiente, ma solo quando si verifica nella loro famiglia qualche evento particolare, come le nascite, le morti, o i bar mitzwa', e lo cercano non tanto per avere particolari consigli e insegnamenti, bensi' per adempiere a quelle funzioni "sacerdotali" che la tradizione ebraica non ha mai istituzionalmente assegnato ai rabbini, visto che, per le ragioni storiche appena evidenziate, chiunque ne sia in grado puo' celebrare, poniamo, un matrimonio, o un funerale, secondo il rito ebraico11. E la riprova di questa tendenza dell'ebraismo italiano ad assimilare i rabbini ai "ministri di culto", ai "sacerdoti" delle altre religioni, potrebbe emergere dalla stessa terminologia adottata dall'intesa, che parla, in diversi punti, di "ministri di culto", di "ministero spirituale" - adottando quella "qualifica civilistica onnicomprensiva"12 che e' stata tipica del periodo liberale, quando l'ordinamento tendeva a sottoporre alla medesima norma, indistintamente, i ministri di tutte le confessioni13 -, con linguaggio e mentalita' che poco si addicono all'ebraismo, e che contribuiscono, oltretutto, ad accrescere la gia' grande confusione sul punto14.

Riteniamo, quindi, di concordare in toto con quella parte della dottrina che non ha potuto fare a meno di chiedersi se, in tale quadro, l'assicurazione ai rabbini del cosiddetto "segreto ministeriale" possa essere, nell'attuale incertezza sull'esatta portata e sull'ambito del loro ministero, di cosi' lineare applicazione15, anche tenuto conto del fatto che essi, a differenza dei ministri di culto cattolici, non sono tenuti al segreto confessionale16. Evidentemente, come e' stato argomentato, se l'esenzione dagli obblighi di informazione alla magistratura corrisponde ad un principio generale dell'ordinamento relativo al fatto religioso, la possibilita' di non testimoniare viene raccordata non solo al vincolo del sigillo sacramentale, o all'attivita' pastorale genericamente intesa, ma anche a chi, come il rabbino, riveste un ruolo particolare all'interno della confessione religiosa, quale quello di esperto conoscitore delle leggi e delle tradizioni ebraiche17.

Il secondo comma dell'articolo 3, per contro, affronta la questione dell'esenzione dei rabbini dal servizio militare obbligatorio, con l'accoglimento di una soluzione assai equilibrata, nella nostra opinione, nel bilanciamento dei valori a cui si informa la disposizione, che, ispirata anch'essa all'ottica della rivendicazione dell'uguaglianza con la confessione piu' favorita18, allo stesso tempo si caratterizza per un aspetto ulteriore, costituito dalla sua ratio specifica, che la viene a differenziare dalla corrispondente norma del Concordato, ponendola in linea con la gia' menzionata politica ebraica di rifiuto di ogni privilegio.

La norma dispone l'esonero dei rabbini dal servizio militare su loro richiesta vistata dall'Unione, e, in caso di mobilitazione generale, prevede la dispensa dalla chiamata alle armi solo nei confronti dei rabbini-capo, mentre gli altri, se chiamati alle armi, eserciteranno il loro magistero nell'ambito delle forze armate.

La differenza con l'art. 4 del Concordato - che assicura ai sacerdoti, diaconi e religiosi cattolici che abbiano emesso i voti la facolta' di ottenere, a loro richiesta, l'esonero dal servizio militare oppure l'assegnazione al servizio civile sostitutivo (comma 1), mentre in caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime eserciteranno il loro magistero nei ranghi delle truppe o verranno, in subordine, destinati ai servizi sanitari (comma 2) -, risulta evidente ove si rifletta sul fatto che la norma del Concordato ricollega allo status di ecclesiastico un vero e proprio diritto ad personam - un privilegio -, dal momento che essi possono ottenere l'esonero, o l'assegnazione al servizio civile sostitutivo, su loro semplice richiesta19. L'intesa ebraica, per contro, coerentemente all'insegnamento tradizionale ebraico di rifiuto di ogni privilegio, non ricollega alla funzione di ministro di culto alcun diritto ad personam, ma si preoccupa, piuttosto, di assicurare alla comunita' un servizio che, soprattutto a causa della scarsita' di rabbini, potrebbe facilmente venire a mancare20: ecco perche' il secondo comma dell'art. 3 della legge 101/1989 prevede la necessita' dell'apposizione del visto dell'Unione sulla richiesta di esonero avanzata dal ministro di culto, a documentazione della necessita' di garantire alla comunita' un servizio, quello del rabbino, che si configura come un vero e proprio diritto, assicurato ai membri della comunita' dallo stesso art. 19 della Costituzione21.

In proposito, il secondo comma dell'art. 4 della bozza di intesa del 1982 era ancora piu' "radicale" nella sua formulazione, disponendo che la richiesta dovesse pervenire dall'Unione stessa, congiuntamente alla documentazione comprovante "l'esigenza di non sottrarre il ministro di culto al servizio da questi presentato". Tuttavia, non possiamo che plaudire alla scomparsa, nel testo definitivo della norma poi trasfusa nell'art. 3, comma 2, della legge 101/1989, della necessita' di presentare, congiuntamente alla richiesta, tale documentazione "aggiuntiva", cio' traducendosi, nella nostra opinione, in una ulteriore conferma del grado di autonomia e di indipendenza raggiunti cosi' dall'Unione, come dalle comunita', rispetto all'ordinamento dello Stato - in omaggio al principio della pluralita' degli ordinamenti giuridici22 -, giustificata dal fatto che ci si trova qui di fronte a situazioni correttamente apprezzabili esclusivamente dalle autorita' di parte confessionale, la cui valutazione, tramite l'apposizione del visto dell'Unione sulla richiesta del ministro di culto, e' stata ora ritenuta insindacabile da parte dello Stato23.

Sempre per quanto riguarda la posizione dei ministri di culto, va qui ricordata la norma del terzo comma dell'art. 13, che, ponendosi indubbiamente sul piano di una rivendicazione di uguaglianza, dispone l'equiparazione degli studenti degli istituti rabbinici - di cui ai due commi precedenti dello stesso articolo - "agli studenti delle universita' e delle scuole universitarie per i corsi di pari durata", ai fini della concessione del beneficio del rinvio del servizio militare.

Note:

  1. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 173, e R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., pp. 589 s.Torna
  2. Cfr. R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 589.Torna
  3. Cfr., per tutti, R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 590, e R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 117. Cfr. anche V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 65.Torna
  4. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 66.Torna
  5. Infatti, come sottolinea F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 388, la sostituzione della formula dell'art. 351 del vecchio codice - che garantiva il segreto dei "ministri della religione cattolica o di un culto ammesso" -, con quella del codice del 1988 sopra riportata, e' foriera di gravi incertezze per quanto riguarda l'applicazione pratica della disposizione stessa, dal momento che, se puo' essere agevole ritenere il non contrasto con l'ordinamento giuridico italiano degli statuti delle confessioni con intesa, non altrettanto chiara si presenta la situazione nei confronti dei ministri delle altre confessioni, in quanto, in questo caso, la valutazione circa la non contrarieta' dello statuto all'ordinamento viene demandata, in ultimo, alla discrezionalita' del giudice che deve assumere la testimonianza del ministro di culto appartenente alla confessione "non convenzionata". Nello stesso senso, cfr. anche R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 175.Torna
  6. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 215.Torna
  7. V. specialmente supra, § 1.2.Torna
  8. Cfr. G. Long, voce Laici. II) Altri ordinamenti confessionali, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, p. 2.Torna
  9. Cfr. G. Tamani, l'ebraismo nell'eta' tardo antica, in Aa. Vv., Ebraismo, cit., pp. 125 s. Cfr., comunque, anche G. Long, voce Laici, cit., p. 2, il quale specifica che la fine del sacerdozio non fu causata solo, e puramente, da eventi "traumatici", dal momento che, all'epoca, il movimento dei farisei propugnava da tempo un tipo diverso di religiosita', basandosi essenzialmente sulla lettera biblica (Esodo, 19,6) secondo cui "Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa", che sembra attribuire all'intero popolo ebraico il carattere di "santo".Torna
  10. V. supra, § 1.2. Cfr. anche G. Di Chio, L'incontro di due ordinamenti, in RMI, 1985/3 (Scritti in memoria di Sergio Piperno Beer), p. 462.Torna
  11. Cfr., in questo senso, la chiara esposizione di F. Segre, Alcuni aspetti della problematica nel rapporto rabbino comunita', in DE, 1982, I, p. 68. V. anche supra, § 1.2.Torna
  12. L'espressione e' di F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 380.Torna
  13. Cfr. A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., p. 227. Nello stesso senso, cfr. anche G. Fubini, Ebraismo italiano e problemi di liberta' religiosa, cit., p. 679.Torna
  14. Cfr. ancora F. Segre, Alcuni aspetti della problematica nel rapporto rabbino comunita', cit., p. 69.Torna
  15. Cfr. R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 590.Torna
  16. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 66.Torna
  17. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 66, e, sostanzialmente in questo stesso senso, R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 118.Torna
  18. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 176. Cfr. anche, nello stesso senso, G. Fubini, Verso l'intesa fra lo Stato e l'ebraismo italiano, cit., p. 359.Torna
  19. Cfr. G. Fubini, L'intesa ebraica, cit., p. 703.Torna
  20. Cfr. F. Segre, Alcuni aspetti della problematica nel rapporto rabbino comunita', cit., p. 68.Torna
  21. In questo senso, cfr. ancora G. Fubini, L'intesa ebraica, cit., p. 703. e' da dire, comunque, che la norma sembra verosimilmente avere un'ulteriore ratio: quella di certificare, di fronte allo Stato, la qualita' di rabbino del richiedente.Torna
  22. Su questo punto, amplius, supra, § 1.2.Torna
  23. Sostanzialmente in questo senso si esprime R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 174, sottolineando la diversita' di previsioni normative riscontrabile all'interno delle varie intese.Torna

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