4.5. L'assistenza religiosa nelle strutture segreganti.

E' interessante notare come, dei complessivi trentaquattro articoli che compongono l'intesa ebraica, ben quattro di essi si occupino ex professo della questione dell'assistenza religiosa nelle cosiddette "strutture segreganti", e cio' a dimostrazione dell'estrema importanza che viene ad assumere il tema in oggetto, a causa di quelle vere e proprie "situazioni di soggezione speciale in cui si vengono a trovare i cittadini durante il servizio militare, la detenzione o la degenza ospedaliera, in riferimento a quel "bene" generalmente protetto dai princi'pi costituzionali che e' il fenomeno religioso"1.

Anche i cittadini che devono permanere all'interno di queste strutture collettive, invero, possono avere esigenze religiose, che tuttavia non sono in grado di soddisfare, alla stregua della generalita' dei consociati, andando direttamente la' dove opera il personale che fornisce tali servizi religiosi, attesa la situazione di privazione o, comunque, di forte limitazione della liberta' di movimento sottesa alla permanenza in tali istituzioni segreganti. Cio' si risolverebbe in una limitazione ingiustificata del loro diritto di liberta' religiosa, se lo stesso apparato amministrativo dello Stato non prevedesse la possibilita', per gli interessati, di venire in contatto con il personale di parte confessionale che solo puo' fornire tali servizi di assistenza religiosa2.

Occorre subito precisare, a questo punto, che anche se le espressioni di "assistenza spirituale" e di "assistenza religiosa" sono state adoperate, nella tradizione giuridica italiana, come sinonimi - le stesse disposizioni dell'intesa ebraica che stiamo per esaminare parlano piu' volte di "assistenza spirituale", intendendo invero, come diremo subito, il servizio di "assistenza religiosa" -, tale coincidenza di significati non e' in effetti riscontrabile, poiche', come e' stato notato3, la prima espressione si rivela di portata assai piu' ampia, venendo a ricomprendere nel proprio ambito tutte quelle attivita' che siano, comunque, rivolte a fornire quel "supplemento di cuore, oltre che di anima"4, ovverosia quegli aiuti che sono necessari al pieno sviluppo della persona umana, situandosi cosi' in un orizzonte ben piu' vasto rispetto a quello, pur caratterizzato da una certa ampiezza, della liberta' religiosa5.

La piu' classica dottrina amministrativistica6, del resto, distinguendo le attivita' della pubblica amministrazione rivolte al "benessere materiale" dei cittadini da quelle rivolte, invece, al "benessere spirituale" degli stessi, ha avuto modo di precisare come in quest'ultima categoria rientrino attivita' non solamente religiose, ma anche morali, culturali e di istruzione: ambiti, com'e' facile constatare, assai diversi tra loro, ma accomunati, come e' stato lucidamente sottolineato, da quella concezione antropologica che guarda finalmente all'uomo nella sua integralita', con la consapevolezza, da parte del moderno Stato sociale, che la qualita' della vita non e' riducibile ad uno stato di benessere puramente materiale, cosi' che con la locuzione di "assistenza spirituale" deve intendersi, piu' propriamente, tutto quell'insieme di prestazioni - di attivita' personali o anche di cose determinate - che concorrono a soddisfare i bisogni dei cittadini che prescindono da esigenze di natura strettamente materiale.7.

L'assistenza religiosa stricto sensu, per contro, puo' essere identificata unicamente con quel servizio confessionale-cultuale garantito, dagli organi dell'apparato amministrativo, ai cittadini che si trovano in una di quelle gia' menzionate strutture obbliganti, servizio che si pone, allo stesso tempo, come una garanzia, e come una misura, del grado di effettivita' del diritto di liberta' religiosa all'interno dell'ordinamento statuale8, il quale deve farsi carico di supplire ad una situazione di impedimento intervenendo anche positivamente per assicurare la concreta fruibilita' di tale diritto, in ossequio al principio di uguaglianza sostanziale dei cittadini e delle confessioni consacrato nell'art. 3 della Costituzione9.

La norma di carattere squisitamente generale con cui si apre l'art. 7 della legge 101/1989, secondo il cui disposto "L'appartenenza alle forze armate, alla polizia o ad altri sevizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio della liberta' religiosa e nell'adempimento delle pratiche di culto", costituisce l'ennesimo contatto con il testo del nuovo Concordato (art. 11, comma 1).

Questo contatto potrebbe rappresentare, ancora una volta, la conseguenza dell'applicazione all'ebraismo della piu' volte menzionata "clausola della religione piu' favorita", ma come e' stato notato da parte della dottrina10, la constatazione che la disposizione in oggetto non e' presente nelle diverse bozze d'intesa che hanno preceduto il testo definitivo - le quali, costituendone i primi progetti, piu' dovrebbero essere state impostate sull'applicazione della "famigerata" clausola -, rende piu' verosimile concludere che essa sia stata, piuttosto, dettata dalla piu' o meno consapevole volonta' del legislatore di costruire in questo modo, per mezzo della legislazione "contrattata" con le singole confessioni, una disciplina uniforme sul fatto religioso, tanto piu' che, se la disposizione de qua non e' rintracciabile nel testo delle altre intese finora concluse, deve comunque considerarsi come una premessa implicita della disciplina di dettaglio dei servizi di assistenza religiosa specificamente previsti in ogni testo pattizio11. e' interessante notare, a questo proposito, che il primo comma dell'art. 8 del disegno di legge generale sulla liberta' religiosa del 1997, di cui si e' gia' accennato12, a sua volta riproduce quasi letteralmente la disposizione di cui al primo comma dell'art. 7 della legge 101/1989, "riaffermando per tutti una garanzia di liberta' che, se limitata ai soli aderenti ad alcune confessioni, sarebbe non adeguata al principio costituzionale di uguaglianza"13.

Ma se il primo comma dell'art. 7 dell'intesa ebraica contiene una disposizione di carattere prettamente generale, il comma successivo dello stesso articolo ne introduce invece una tesa, ancora una volta, a cogliere in tutta la sua portata un ulteriore tratto caratteristico della confessione ebraica: vi si riconosce, infatti, agli ebrei che si trovino nelle comunita' separate, "il diritto di osservare, a loro richiesta e con l'assistenza della Comunita' competente, le prescrizioni ebraiche in materia alimentare, senza oneri per le istituzioni nelle quali essi si trovano".

Nel precedente paragrafo, abbiamo trattato ampiamente delle cosiddette norme di "identita' confessionale" rinvenibili nel testo dell'intesa ebraica; la disposizione ora al nostro esame puo' ben essere inquadrata, a pieno titolo, nella suddetta "categoria normativa", sebbene, per motivi puramente sistematici, abbiamo ritenuto opportuno trattarne solo ora, a motivo della connessione della norma con l'esercizio del diritto di liberta' religiosa dei cittadini di fede ebraica quando vengano a trovarsi in situazioni di soggezione, volontaria o coatta, all'interno di strutture a carattere coercitivo o, comunque, di tipo segregante.

E' da dire che, per un ebreo osservante, particolarmente stringenti si presentano alcune regole collegate all'alimentazione: in particolare, esistono animali che vengono considerati "puri", delle cui carni e' consentito alimentarsi, ed altri animali che, invece, sono considerati "impuri", con i quali e' assolutamente vietato ogni contatto14. Non e' pero', consentito cibarsi in modo integrale neanche degli animali cosiddetti "puri": infatti, il consumo di alcune loro parti, come ad esempio il sangue - che, come abbiamo gia' visto15, viene considerato la sede della vita - ed un certo tipo di grasso, e' ritenuto un peccato molto grave16. Una ulteriore regola, inoltre, impone la separazione tra la carne ed i suoi derivati da una parte, ed i latticini dall'altra17, separazione tuttora in auge nella cucina ebraica "ritualmente pura", o Kasher, che arriva ad esigere l'uso di stoviglie diverse per le due differenti tipologie di alimenti18.

Il riconoscimento della rilevanza delle pratiche rituali eterodosse in materia alimentare si ritrova, mutatis mutandis, anche nella recente intesa conclusa con i testimoni di Geova19: la dottrina piu' attenta non ha mancato di sottolineare la forte espansione del grado di tutela della liberta' religiosa verificatasi negli ultimi anni nel nostro ordinamento, nel quale, tra l'altro, anche la contrattazione aziendale gia' da tempo si e' mossa nella direzione del rispetto delle necessita' alimentari delle maestranze appartenenti a confessioni di minoranza, cosi' come il servizio di ristorazione viaggiante offre la possibilita' di consumare pasti speciali sui treni, quali il "vassoio islamico" o il "vassoio ebraico"20. In definitiva, lo Stato ha preso atto che, se per alcune confessioni l'alimentazione riveste anche l'importanza di un vero e proprio atto a contenuto religioso - nel compimento del quale si esprime la coerenza dei cittadini-credenti alla loro fede religiosa -, il non consentire a questi fedeli la possibilita' di osservare tali rituali alimentari li costringerebbe ad andare contro i dettami della loro coscienza religiosamente orientata, tenendo un comportamento proprio di una fede religiosa diversa da quella da essi professata, risolvendosi cosi', in ultimo, in una grave obliterazione del loro diritto di liberta' religiosa21.

Gli artt. 8, 9 e 10 della legge 101/1989, che si occupano della concreta regolamentazione dei diversi aspetti del servizio di assistenza religiosa in ognuna delle principali strutture segreganti, presentano una struttura ed una impostazione che ricalcano sostanzialmente il palinsesto delle altre intese, differenziandosene solamente per alcuni aspetti, del resto non marginali, sui quali cercheremo di focalizzare l'attenzione.

Innanzitutto, va rilevato come, nel testo definitivo dell'intesa ebraica, non sia stata riprodotta la norma, presente nei primi progetti22, che poneva espressamente a carico dell'apparato statuale - secondo modalita' da concordarsi con l'Unione delle comunita' - ogni onere finanziario relativo all'assistenza religiosa dei fedeli di religione ebraica nell'ambito delle dette istituzioni. La dottrina piu' autorevole aveva ritenuto la disposizione di dubbia opportunita', considerandola sostanzialmente distonica con quella conclamata rivendicazione dell'autonomia di finanziamento delle comunita', "voluta dall'ebraismo italiano come segno tangibile di liberta' di religione e del suo farsi carico totale delle esigenze del culto"23.

Se il fatto che la disposizione in oggetto sia stata espunta dal testo dell'intesa potrebbe forse deporre per una sorta di "ripensamento" dei compilatori circa la spettanza degli oneri finanziari dell'assistenza religiosa, non di meno non puo' essere sottovalutato il dato, anch'esso tutto giuridico, che l'intesa ebraica non contempla una norma - presente invece in tutti gli altri testi pattizi24 -, che ponga espressamente a carico degli organi confessionali le suddette spese per l'assistenza religiosa prestata ai rispettivi fedeli nelle strutture considerate.

Muovendo da questa constatazione, ed in forza dell'ulteriore considerazione secondo la quale l'addossamento allo Stato degli oneri finanziari per l'assistenza religiosa non si porrebbe, comunque, in posizione conflittuale con quelle che possono essere considerate, in astratto, le finalita' dell'odierno Stato sociale25, e' stato ritenuto che, in difetto di una esplicita rinuncia da parte della confessione ebraica, il contributo statuale sara' legittimo, e potra' ben essere previsto dal legislatore nazionale o, ancora meglio, in sede di "contrattazione locale" tra gli organi confessionali e quelli della struttura coercitiva nell'ambito della quale il servizio debba concretamente essere espletato26.

Veniamo, ora, ad esaminare brevemente i singoli "comparti" con riferimento ai quali e' preso in considerazione, sia dalle leggi unilaterali dello Stato, che da quelle di derivazione bilaterale, il servizio di assistenza religiosa, cominciando dalle forze armate. La disciplina del servizio di assistenza religiosa nelle forze armate e', certamente, quella che ha risentito in maggior misura del sistema di rapporti che, via via, si sono instaurati tra lo Stato e le diverse confessioni religiose: da sempre incentrato sulla figura del cappellano militare cattolico - anche se la prima regolamentazione organica, da parte dello Stato, della cappellania militare si sarebbe avuta solo nel 1926 -, il servizio religioso nelle strutture militari ha subi'to un'influenza tutta particolare dalla specifica disciplina delle forze armate risultando cosi', in ultimo, collegato allo stesso tempo con la gerarchia della Chiesa e con quella delle stesse strutture militari27.

Se e' vero che neppure il regime liberale soppresse del tutto i cappellani militari della Chiesa cattolica28, per un breve lasso di tempo, e precisamente durante la Prima guerra mondiale - in linea con la strumentalizzazione politica del sentimento religioso -, anche le confessioni di minoranza ebbero i loro cappellani: infatti, come riferisce la dottrina, in quel periodo la Chiesa valdese raggiunse facilmente un accordo con il Governo, cosi' che nel 1918 erano ben nove i cappellani evangelici, mentre numerosi furono anche i rabbini castrensi29.

Nel periodo successivo, dopo una breve parentesi in cui i cappellani militari vennero smobilitati, il regime fascista - che sentiva la necessita' di "stringere opportune alleanze con forze i cui interessi convergevano, in quel periodo storico, con i suoi"30 - riorganizzo' ex novo il servizio di assistenza religiosa, che divenne, grazie alla forte integrazione tra Chiesa cattolica e Stato, un forte mezzo di coesione, e di controllo sociale, dei cittadini sottoposti alla disciplina militare31: venne emanata la legge 11 marzo 1926, n. 41732, che garantiva stabilita' all'ufficio dei cappellani militari di tutte le forze armate, mentre il Concordato del 1929 confermava questi princi'pi, istituendo inoltre la figura dell'ordinario militare, con dignita' arcivescovile; inoltre, l'art. 1 della successiva legge 16 gennaio 1936, n. 7733, precisava che il servizio di assistenza religiosa nelle strutture militari era finalizzato ad integrare "la formazione spirituale della gioventu' che fa parte delle milizie secondo i principii della religione cattolica".

Il dictum della legge 77/1936 e' stato ripreso, in tempi piu' vicini a noi, ancora dalla legge 1 giugno 1961, n. 51234, tuttora vigente, che non e' stata modificata neppure dopo gli Accordi di Villa Madama, sebbene, come e' stato osservato, una riforma organica sarebbe quanto mai necessaria, al fine dell'adeguamento del servizio di assistenza religiosa nelle strutture militari non solo al principio di laicita' dello Stato, ma anche "a quelli stessi del Concilio Vaticano II, dal momento che una integrazione cosi' forte, di tipo economico, gerarchico e disciplinare, nelle Forze Armate non e' coerente ne' con lo Stato laico, ne' con la funzione spirituale affidata ai cappellani"35: proprio a questo scopo, il secondo comma dell'art. 11 del testo dei Nuovi Accordi ha previsto la possibilita' di stipulare intese tra gli organi della Chiesa e le competenti autorita' dello Stato, anche se, finora, l'unico esempio di tali accordi e' stato fornito dall'intesa sull'assistenza religiosa al personale della Polizia, attuata con il D.P.R. 17 gennaio 1991, n. 9236, e recentemente modificata con il D.P.R. 27 ottobre 1999, n. 42137

In questo quadro sommariamente delineato, l'art. 11 della legislazione di principio sulla disciplina militare, legge 11 luglio 1978, n. 38238, non solo ha previsto che i militari di qualunque religione possano "esercitare il culto e ricevere l'assistenza dei loro ministri" - garantendo sia il singolo credente nei suoi bisogni religiosi, che la stessa confessione espressamente legittimata ad operare39 -, ma ha affermato anche il principio della facoltativita' della partecipazione dei militari alle funzioni religiose "salvo nei casi di servizio", sottolineando in questo modo la liberta' personale di culto di ogni militare, anche nei confronti della propria confessione40.

Sul punto dell'assistenza religiosa nelle forze armate, l'art. 8 della legge 101/1989 si apre con una disposizione che ritroviamo solamente nell'intesa ebraica: il primo comma, infatti, dispone che l'assistenza religiosa ai militari di fede ebraica venga prestata da rabbini "designati a tal fine sulla base di intese tra l'Unione e le autorita' governative competenti", configurando cosi' l'ennesimo contatto, seppure "assai parziale"41, con il testo del nuovo Accordo con la Chiesa cattolica, o, se vogliamo, un'ulteriore caso di applicazione della piu' volte invocata "clausola della religione piu' favorita": se e' chiaro, infatti, che l'estrema esiguita' del numero dei militari ebrei non consente l'istituzione di un servizio stabile di cappellania, come e' quello della Chiesa cattolica, si stabilisce pur sempre l'obbligo, per il Ministero, di avvalersi dei ministri di culto appositamente designati dall'Unione delle comunita'42, configurando cosi', secondo parte degli stuD-osi, "un servizio di quasi-cappellania, affidato ad un corpo di "rabbini castrensi" e definito in sede nazionale tra l'Unione e le autorita' governative competenti"43, con il relativo onere finanziario a carico dell'apparato statuale, giusta quanto si e' detto poc'anzi44.

Ma, al di la' delle affermazioni di principio, e' comunque probabile che le difficolta' di ordine pratico connesse all'attuazione della norma faranno si', come e' stato scritto45, che la forma piu' comune di assistenza religiosa ai militari ebrei sara' costituita dalla partecipazione degli stessi alle attivita' di culto che si svolgono nella localita' in cui essi prestano servizio: tutte le intese, ad eccezione di quelle con i buddhisti e con i testimoni di Geova, contemplano un simile diritto, previsto, dalla legge 101/1989, al secondo comma dell'art. 8, mentre il comma successivo precisa che, nel caso non esistano locali di culto ebraici nel luogo di servizio, i militari di fede ebraica potranno comunque, "nel rispetto delle esigenze particolari di servizio", ottenere il permesso di frequentare la sinagoga piu' vicina; per contro, non e' qui prevista la possibilita' - contemplata in altre intese46 - di svolgere funzioni religiose in locali idonei messi a disposizione dalle autorita' militari nel caso in cui sia nel luogo di servizio, che nelle immediate vicinanze di esso, non esistano strutture della confessione interessata: ma ci si puo' facilmente dar conto della omissione, atteso che l'intesa ebraica prefigura un servizio di assistenza religiosa che ricalca da vicino, per quanto possibile, quello dei militari di fede cattolica, con il gia' visto "rabbinato castrense".

Queste ultime due disposizioni della legge 101/1989, se rappresentano un chiaro esempio di quello che e' il nucleo dei "princi'pi comuni"47 dell'intero corpus normativo della legislazione bilateralmente convenuta, rivestono una particolare importanza per gli ebrei, cosi' come per gli avventisti, il cui giorno festivo, o di preghiera, non coincide con la domenica: per questo motivo, esse vanno coordinate con il gia' esaminato48 art. 4 dell'intesa ebraica49, che riconosce il diritto al riposo sabbatico anche al personale militare50. e' chiaro, comunque, che andranno in ogni caso fatte salve le esigenze di servizio, come gia' specificato, del resto, dal regolamento di attuazione della legge 382/1978, emanato con il D.P.R. 18 luglio 1986, n. 54551, che al secondo comma dell'art. 35 precisa che proprio "compatibilmente con le esigenze di servizio, il comandante del corpo o altra autorita' superiore rende possibile ai militari che vi abbiano interesse la partecipazione ai riti della religione professata".

Anche l'ultimo comma dell'art. 8 della legge 101/1989 non presenta tratti di originalita' rispetto alle corrispondenti norme degli altri testi pattizi: vi si prevede che, in caso di decesso in servizio del militare, il comando debba avvertire la comunita' ebraica competente, allo scopo di assicurare "d'intesa con i familiari del defunto, che le esequie si svolgano secondo il rito ebraico".

Al momento dell'apertura della prima "stagione delle intese", con la stipulazione dell'intesa con la Tavola valdese, parte della dottrina aveva giudicato ambigua la disposizione di cui al terzo comma dell'art. 5 della legge 449/1984 - che, per l'appunto, assicurava ai militari valdo-metodisti un rito funebre secondo la liturgia evangelica -, nella parte in cui non lasciava intendere quale fosse lo specifico interesse posto alla sua base: se quello della confessione ad assicurare, in ogni caso, la prestazione religiosa confessionale, o, piuttosto, quello dei militari evangelici e delle loro famiglie52. Tutte le successive intese, comunque - non e' chiaro se proprio in forza di tale obiezione, o in seguito ad un semplice affinamento del linguaggio legislativo -, hanno incluso la precisazione della necessita' di agire "d'intesa con i familiari del defunto".

Passando all'esame della regolamentazione del servizio di assistenza religiosa negli ospedali e nelle case di cura, occorre premettere che essa, a differenza dell'assistenza religiosa nelle forze armate, per un lungo lasso di tempo non ha formato oggetto di regolamentazione da parte statuale: fin dall'Unita' del Paese, infatti, lo Stato non si e' mai preoccupato di disciplinare in maniera organica ed uniforme il settore ospedaliero-sanitario, limitandosi ad emanare norme sulla contabilita', l'amministrazione e la qualificazione giuridica dei singoli enti ospedalieri, con la conseguenza che, fino ai giorni nostri, l'assistenza religiosa dei malati e degli infermi e' dipesa, sostanzialmente, dalla sensibilita' e dal modo in cui ogni ospedale recepiva, nel proprio ordinamento o statuto interno, le esigenze religiose dei propri ricoverati53.

Lo stesso Concordato del 1929 non faceva menzione alcuna dell'assistenza religiosa negli ospedali, forse perche', come e' stato notato54, la grande maggioranza delle strutture ospedaliere italiane avevano visto la luce sotto l'egida della Chiesa cattolica - costituite dalle autorita' ecclesiastiche, dalle diverse congregazioni religiose operanti nel Paese o, comunque, dalle associazioni laicali di ispirazione cristiana -, per cui e' facilmente comprensibile come gli ecclesiastici potessero avere libero accesso in quasi tutti gli ospedali e i luoghi di cura, e non ci fossero cosi', al riguardo, problemi da risolvere tra Stato e Chiesa cattolica55.

Ma se cio' - unito alla circostanza che, nei tempi passati, il servizio infermieristico era svolto quasi esclusivamente dalle suore, anch'esse in grado di portare un qualche conforto religioso, pur se impossibilitate a somministrare i sacramenti - contribuiva a mitigare il quadro caratterizzato dalla mancanza del riconoscimento, sul piano dei princi'pi, di un vero e proprio diritto dei degenti all'assistenza religiosa, rimaneva pur sempre la situazione di estremo disagio in cui versavano i cittadini delle confessioni religiose di minoranza, che, se non ricoverati nelle strutture direttamente gestite dalla propria confessione, si trovavano praticamente nell'impossibilita' di ricevere i conforti della propria religione56.

La prima normativa statale sull'assistenza religiosa si sarebbe avuta solo con la legge 11 febbraio 1968, n. 13257, che al primo comma dell'art. 19 sanciva l'obbligo, per ogni ospedale, di istituire un servizio stabile di assistenza religiosa, che, in base al successivo art. 39, avrebbe dovuto essere disimpegnato da ministri del culto cattolico alle dirette dipendenze della struttura sanitaria, mentre per i degenti di religione diversa da quella cattolica era previsto il semplice diritto a fruire dell'assistenza religiosa da parte dei propri ministri. L'ordinamento interno del servizio stabile di assistenza religiosa cattolica doveva, poi, venire determinato dai regolamenti dei singoli ospedali d'intesa con gli ordinari D-ocesani competenti per territorio, giusta il disposto dell'art. 35, comma 2, del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 12858, che aggiungeva ancora, negli ultimi due commi, che le richieste di assistenza religiosa degli infermi di qualunque altra religione dovevano essere trasmesse alla direzione dell'ospedale, che avrebbe provveduto, accollandosene il relativo onere, al reperimento dei ministri del culto interessato.

Se, come e' stato notato dalla dottrina piu' autorevole, le citate disposizioni mettevano in rilievo unicamente l'aspetto funzionale dell'assistenza religiosa, "intesa come un aspetto complementare nel trattamento della malattia e nella cura del malato ospedalizzato"59, con la successiva riforma sanitaria, operata dalla legge 23 dicembre 1978, n. 83360, che ha istituito il servizio sanitario nazionale, si e' passati "dalla semplice previsione di un servizio ad un riconoscimento piu' diretto della centralita' della persona umana, delle sue opzioni religiose, che debbono andare esenti da imposizioni e vincoli anche nelle strutture e comunita' c.d. separate"61: l'art. 38 della legge in oggetto, infatti, dispone che presso ogni struttura del servizio sanitario nazionale l'assistenza religiosa debba venire assicurata "nel rispetto della volonta' e della liberta' di coscienza del cittadino", mettendo quindi in primo piano la sfera della coscienza e l'autonomia del cittadino-credente, mentre l'istituzione di un servizio di assistenza religiosa rappresenta qui soltanto un riflesso - pur se necessario - della questione, in ordine alla risoluzione della quale si prevedono intese tra l'ordinario D-ocesano - o le corrispondenti autorita' religiose delle altre confessioni - e l'unita' sanitaria locale. Sullo specifico punto, tuttavia, va detto che solo il nuovo Concordato del 1984 ha previsto, al secondo comma dell'art. 11, queste "mini-intese" per il servizio di assistenza religiosa, mentre i testi delle intese sinora concluse - e quella ebraica non fa eccezione - si limitano alla previsione delle sole garanzie di liberta' gia' enunciate, in via generale, dal citato art. 35 del D.P.R. 128/1969, la cui efficacia viene cosi' ad essere rinforzata62.

Venendo ad esaminare l'intesa ebraica sul punto, la legge 101/1989 si occupa dell'assistenza religiosa negli istituti ospedalieri, nelle case di cura e di riposo nell'art. 9, che allineandosi alla generalita' delle intese, contiene unicamente precise disposizioni garantiste "con le quali si e' voluto chiarire ad accentuare l'impegno gia' assunto unilateralmente dallo Stato per la liberta' religiosa dei ricoverati non cattolici"63.

In particolare, il primo comma ribadisce la competenza, in materia, dei ministri di culto muniti della certificazione rilasciata dall'Unione delle comunita' ai sensi dell'art. 364, mentre il comma successivo, con un inciso che e' ripetuto pedissequamente in tutte le altre intese65, specifica che l'accesso dei rabbini nelle citate strutture di ricovero e' "libero e senza limitazioni di orario".

Gia' con riferimento al progetto d'intesa del 1982, era stata espressa, da parte della dottrina, una certa insoddisfazione, dovuta al fatto che la disposizione di quello che, ai tempi, costituiva il primo comma dell'art. 7 della bozza, non prevedeva alcuna forma di "contatto" organizzativo fra l'amministrazione periferica ed i ministri di culto, quasi che le strutture amministrative dei detti istituti di cura non potessero porre (legittimi) limiti derivanti dalle esigenze organizzative delle strutture considerate66. Le perplessita' rimangono ancora oggi, visto che neppure nel testo definitivo dell'intesa ebraica e' stata contemplata una siffatta possibilita' di raccordi a livello decentrato, e vanno estese, sul punto, anche alle altre intese; tuttavia, l'omissione, per quanto riguarda la confessione ebraica, e' di maggiore momento, soprattutto se si pone mente al fatto che - come abbiamo gia' avuto modo di sottolineare -, la mancanza, nella legge 101/1989, di una disposizione che addossi esplicitamente alla confessione ebraica gli oneri finanziari per l'assistenza religiosa, deporrebbe per un ritorno alla "regola generale" dell'art. 35 del D.P.R. 128/1969, con conseguente accollo statale di tali oneri: ma proprio l'assenza di ogni forma di raccordo, a livello periferico, tra i rabbini competenti a fornire l'assistenza religiosa nelle strutture sanitarie, e l'apparato amministrativo delle stesse, potrebbe impedire, nel concreto, l'assunzione statuale dell'onere finanziario di queste prestazioni67.

Un'altra osservazione da fare riguarda la mancata riproduzione, nel testo dell'art. 9 ora al nostro esame, dell'inciso che, nella bozza del 1982, prevedeva l'accesso dei rabbini alle strutture sanitarie "nel rispetto della volonta' e della liberta' di coscienza degli ospiti", ma l'omissione e' qui, tuttavia, di poca rilevanza, atteso che, anche questo lo abbiamo gia' visto, la garanzia del "rispetto della volonta' e della liberta' di coscienza del cittadino" e' stata prevista, in via generale, dal citato art. 38 della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, che pone un principio di bilanciamento fra gli interessi delle confessioni ed i diritti individuali dei cittadini ricoverati, garantendoli cosi' contro possibili abusi da parte di tutte le confessioni religiose. Certo, l'inclusione nella legge 101/1989 sarebbe servita a rafforzare il principio, ma del resto e' noto il sostanziale disinteresse della confessione ebraica ad adoperarsi per il proselitismo, di modo che, almeno nella nostra opinione, e' estremamente improbabile che possano mai sorgere problemi al riguardo.

L'ultima parte del secondo comma dell'art. 9 prevede, anche qui in linea con le altre intese, la comunicazione alla comunita' ebraica competente per territorio delle richieste di assistenza avanzate dai ricoverati, che deve essere effettuata a cura delle direzioni degli istituti di ricovero: se e' vero che, trattandosi di istituzioni ospedaliere e case di cura, frequentemente potra' darsi il caso di degenti impossibilitati - a causa di particolari condizioni fisiche dovute alla malattia - a formulare esplicita richiesta di assistenza religiosa, sarebbe parso piu' opportuno rendere piu' "fluida" la disposizione in oggetto, con l'estensione della facolta' di richiedere tale assistenza anche ai familiari del ricoverato, o addirittura allo stesso personale ospedaliero che lo segue68.

Sempre per cio' che attiene alla regolamentazione dell'assistenza religiosa nelle strutture sanitarie contenuta nell'intesa ebraica, e' da dire qui di una peculiare disposizione della stessa, che costituisce un singolare caso di "interferenza" della legislazione bilateralmente concordata con quella unilaterale dello Stato, contemplata dal terzo comma dell'art. 29, concernente il servizio di assistenza religiosa nell'ambito delle istituzioni ebraiche di assistenza - delle quali si avra' modo di parlare anche nel prosieguo69 - operanti nel campo sanitario. La disposizione de qua esordisce innanzitutto con il garantire, ad ogni cittadino degente nelle dette istituzioni, la fruizione di un pieno diritto di liberta' religiosa, disponendo inoltre, in favore di tutti i ricoverati appartenenti ad una religione diversa da quella ebraica, il diritto di ricevere, dietro semplice richiesta, l'assistenza religiosa di un ministro del culto di appartenenza, anche qui senza alcun limite di orario.

Ma l'aspetto piu' "rivoluzionario" della disposizione, che concreta quella "interferenza" di cui si e' appena detto, e' costituito dalla specificazione, ivi contenuta, secondo la quale gli ospedali ebraici non sono tenuti a disporre il servizio obbligatorio di assistenza religiosa cattolica che e' contemplato erga omnes dal piu' volte citato art. 35 del D.P.R. 128/1969.

Se l'obbligo di istituire, negli ospedali, un servizio di assistenza religiosa dotato di caratteri di stabilita' solamente in favore della Chiesa cattolica puo' trovare una propria ratio nella differente dimensione quantitativa delle diverse "categorie" di utenti del servizio70, e "nei limiti in cui questa diversita' di situazioni sia di fatto cosi' rilevante, da rendere necessaria per una confessione religiosa e non per altre l'organizzazione di un servizio di assistenza religiosa permanente"71, sarebbe stato assurdo continuare ad imporre un siffatto obbligo anche in quegli ospedali gestiti direttamente dalle confessioni religiose diverse dalla cattolica, come l'ebraica e la valdese - la quale ultima, infatti, contempla nella propria intesa una norma simile a quella ora al nostro esame72 -, nei quali il rapporto tra maggioranza e minoranza si sovverte, quando non scompare del tutto per lasciare il posto ad una situazione di assoluta "uniformita' confessionale".

Del resto, come e' stato notato73, e' molto probabile che la disposizione "livellatrice" del D.P.R. 128/1969 sia stata originata da una svista del legislatore, che si e' dimenticato della presenza, nel Paese, di pochi ospedali appartenenti a confessioni minoritarie: la norma del terzo comma dell'art. 29 della legge 101/1989 si pone, allora, come una sorta di "correzione autentica" di quella svista, in linea, del resto, con lo scopo dello strumento dell'intesa, che e' proprio quello di "rimuovere le piu' flagranti (e probabilmente, all'origine, involontarie) discriminazioni subite dalla confessione che la stipula"74.

Passando al tema dell'assistenza religiosa nelle istituzioni carcerarie, e volgendo uno sguardo all'evoluzione della normativa statuale in materia, si puo' agevolmente constatare come, in passato, essa non solo abbia risentito fortemente della predominanza della religione cattolica e del conseguente clima di intolleranza nei confronti delle altre confessioni75, ma abbia sottinteso nettamente, qui piu' che altrove, una concezione strumentale della religione76.

Lo stesso Stato liberale affido' ai cappellani delle carceri compiti non tanto di garanzia della liberta' religiosa dei detenuti, quanto di dispensatori di un servizio che veniva considerato come essenziale allo stesso compito rieducativo, tale da comportare "l'immedesimazione dell'autorita' ecclesiastica nella struttura carceraria", e la sua "investitura quasi esclusiva a rappresentare e diffondere i princi'pi etici ai quali lo Stato era ispirato"77.

Con l'avvento al potere del fascismo, l'uso strumentale della religione venne ulteriormente accentuato, ma nella prospettiva - come si e' gia' detto parlando delle forze armate - di una piu' completa integrazione tra Stato e Chiesa cattolica, considerando la religione come un mezzo di coesione e di controllo sociale degli appartenenti alle strutture obbliganti, tanto che in questo periodo si accentuo' ulteriormente l'integrazione dei cappellani cattolici nelle strutture carcerarie78, mentre il quarto comma dell'art. 1 del R.D. 18 giungo 1931, n. 78779, stabiliva l'obbligo di partecipazione alle funzioni del culto cattolico per tutti i detenuti che, all'ingresso nel carcere, non avessero dichiarato esplicitamente di appartenere ad altra religione, con una normativa che non lasciava alcun margine di discrezionalita' o di libera scelta80: e' evidente come, al legislatore fascista, la funzione della religione come mezzo di disciplina e di rieducazione morale dei detenuti fosse parsa prevalente sulla liberta' di coscienza e di religione degli stessi81.

Questa concezione strumentale del fatto religioso e' perdurata a lungo, anche dopo la Costituzione repubblicana, fino a quando, in coincidenza con quella stagione delle riforme che, come abbiamo ormai avuto modo di vedere ampiamente, ha percorso l'intero decennio degli anni Settanta, la riforma carceraria operata con la legge 26 luglio 1975, n. 35482, ispirata finalmente ad un nuovo modo di concepire il diritto di liberta' religiosa negli istituti di pena, ha portato al superamento dei vecchi schemi: infatti, anche se la religione continua ad essere considerata utile nella prospettiva rieducazionale dei detenuti, certamente non si puo' piu' parlare di un suo uso strumentale, ma, semmai, di un apprezzamento della sua funzione sociale83; inoltre, altri fattori - come il lavoro, l'istruzione e le attivita' culturali in genere, insieme all'agevolazione di opportuni contatti dei detenuti con il mondo esterno e la famiglia -, concorrono, sullo stesso piano del fattore religioso, al trattamento rieducativo dei condannati e degli internati.

Una delle norme piu' importanti della citata legge di riforma penitenziaria e' costituita indubbiamente, per quanto qui interessa, dalla disposizione dell'art. 26, che riconosce ad ogni detenuto il diritto di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto, anche se rimane la differenziazione tra i cattolici, che usufruiscono dell'assistenza di un cappellano stabile84, ed i fedeli degli altri culti, che hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del culto di appartenenza, potendo usufruire, secondo il disposto dell'art. 55 del D.P.R. 29 aprile 1976, n. 43185, di locali idonei per la celebrazione del culto, messi loro a disposizione dalla direzione dell'istituto. Ma la differenza tra i due tipi di situazioni tende oggi a stemperarsi notevolmente, fin quasi a scomparire del tutto, grazie alla regolamentazione di origine bilaterale rinvenibile nelle rispettive intese.

Anche sul punto dell'assistenza religiosa nelle istituzioni penitenziarie, l'intesa ebraica si allinea completamente al compatto sistema di regolamentazione dell'istituto che ritroviamo nelle rispettive intese delle altre confessioni: alla norma di garanzia contenuta nel primo comma dell'art. 10 della legge 101/1989 - che assicura, negli istituti penitenziari, l'assistenza religiosa dei rabbini designati dall'Unione delle comunita' -, segue, nel secondo comma, la disposizione di attuazione pratica del servizio, che prevede la trasmissione all'autorita' competente, a cura dell'Unione, dell'elenco dei ministri di culto responsabili dell'assistenza religiosa compresi nella circoscrizione delle singole comunita' ebraiche. Tali ministri di culto, prosegue la norma in parola, "sono compresi tra coloro che possono visitare gli istituti penitenziari senza particolare autorizzazione": in proposito, e' da dire che, giusta il disposto dell'ultimo comma dell'art. 67 della legge 354/1975, i ministri di culto di tutte le confessioni (cattolica compresa) potevano accedere allo stabilimento carcerario solamente previa autorizzazione del direttore dello stesso; ora il dictum di quest'ultima disposizione va combinato con quello della teste' citata norma dell'intesa ebraica, che viene cosi' ad innovare, seppure parzialmente, il sistema di accesso alle carceri. Tanto premesso, si puo' allora fondatamente ritenere che i rabbini competenti per territorio, ed i cui nominativi siano stati previamente comunicati alle competenti autorita', giusta il disposto della legge 101/1989, potranno accedere agli istituti di pena senza alcuna autorizzazione, mentre per i ministri di culto che si trovino fuori della competenza territoriale loro propria, pur se notificati all'autorita' amministrativa, tornera' ad avere efficacia la regola generale dell'ordinamento penitenziario, per cui essi potranno accedere all'istituzione penitenziaria unicamente dietro autorizzazione del direttore della stessa, al pari di tutti i ministri di culto delle confessioni che attualmente sono ancora prive di un'intesa con lo Stato86.

E' appena il caso di ricordare che, atteso quanto si e' detto ormai piu' volte circa il reciproco allineamento dei vari testi pattizi sul tema dell'assistenza religiosa, le stesse considerazioni andranno ripetute, mutatis mutandis, per le altre confessioni religiose con intesa.

La disposizione del terzo ed ultimo comma dell'art. 10 della legge 101/1989, sulla falsariga di quanto gia' disposto per gli ospedali e le case di cura, prevede che il direttore dell'istituto informera' la comunita' ebraica competente di ogni richiesta avanzata dai detenuti in ordine loro bisogni religiosi. Ma, a differenza che negli ospedali, si dilata il campo dei potenziali richiedenti il servizio, atteso che, secondo la norma de qua, l'assistenza religiosa potra' essere richiesta non solo dai detenuti, ma anche dalle loro famiglie; inoltre, anche in mancanza di tali richieste, il servizio potra', comunque, essere prestato su autonoma iniziativa degli stessi ministri di culto competenti.

Probabilmente, si e' qui tenuto in considerazione il particolare regime restrittivo degli istituti di pena, e la conseguente situazione di disagio che connota la permanenza in tali strutture, che potrebbe piu' facilmente portare a situazioni di vera e propria alienazione dell'individuo. Ma, come e' stato notato, occorre prestare molta attenzione a tale aspetto della questione, proprio ad evitare di cadere nell'eccesso opposto, che i singoli possano subire "molestie" da parte dei ministri di culto, ove questi ultimi decidano di non attenersi ad un certo self restraint nell'utilizzazione delle facilitazioni concesse dall'apparato amministrativo per il migliore svolgimento della loro opera pastorale87.

Con specifico riguardo al tema dell'assistenza religiosa negli istituti di pena, si puo' solo accennare, in questa sede, alla circostanza che - anche grazie alle rilevanti innovazioni legislative che hanno attraversato l'ultimo decennio, tra le quali una delle piu' importanti e' stata, indubbiamente, l'emanazione del nuovo codice di procedura penale -, il nostro ordinamento ha recentemente visto il rapido moltiplicarsi del ricorso a misure alternative alla custodia cautelare in carcere e, nella fase dell'esecuzione, alla pena detentiva.

Se e' vero che, con alcune di queste misure alternative - segnatamente, la semidetenzione e la semiliberta' -, il soggetto conserva senz'altro un margine di liberta' personale che e' tale da consentirgli, comunque, l'esercizio della liberta' religiosa, e' anche innegabile che, in altri casi - si pensi alle situazioni dell'imputato in regime di arresti domiciliari o ricoverato in comunita' terapeutiche per tossicodipendenti o alcoldipendenti, o, ancora, del condannato alla detenzione domiciliare - il soggetto e' invece sottoposto ad uno status detentionis che, seppure diverso da quello che si realizza nelle carceri, presenta, tuttavia, quei caratteri tipicamente coercitivi che rendono necessario un intervento statuale per rendere possibile anche qui, al credente, la concreta fruibilita' del diritto di liberta' religiosa, soprattutto nelle sue manifestazioni cultuali88.

Se nella legislazione - tanto unilaterale, quanto di derivazione pattizia - non c'e' ancora traccia di una soluzione alla questione dell'assistenza religiosa nell'ambito di queste nuove forme di custodia cautelare e di esecuzione penale, molto resta affidato, almeno per ora, agli interpreti, che si trovano cosi' a dover affrontare, sempre piu' di frequente, un problema eminentemente "empirico" percorrendo, molto spesso, la strada dell'analogia, nella ricerca di soluzioni che siano almeno tendenzialmente equipollenti a quelle proposte dalla legislazione carceraria, anche perche', opinando diversamente, sarebbe estremamente difficile evitare una censura d'incostituzionalita' ai sensi degli artt. 3, primo comma, e 19 della Costituzione, per la diversita' di trattamento in materia di assistenza religiosa che si verrebbe in tal modo a realizzare89.

Note:

  1. Cosi' V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, Napoli, 1985, p. 168. Secondo A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 355, si tratta di rapporti di "supremazia speciale".Torna
  2. Cfr. A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 356.Torna
  3. Cfr., in proposito, P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, in Aa. Vv., Codice dell'assistenza spirituale, a cura di P. Consorti - M. Morelli, Milano, 1993, p. 4.Torna
  4. L'espressione e' di R. Bertolino, Assistenza religiosa, obiezione di coscienza e problemi morali e psicologici nel prisma della struttura ospedaliera, in Aa. Vv., Studi in onore di Lorenzo Spinelli, Modena, senza data (ma 1989), I, p. 118.Torna
  5. Cfr., in questo senso, P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., pp. 4 s.Torna
  6. Cfr., in questo senso, A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, II, pp. 1052 ss., e, specialmente, p. 1086.Torna
  7. Cfr. G. Dalla Torre, Assistenza spirituale nelle forze armate e "qualita' della vita", in Iustitia, 1990/4, p. 378.Torna
  8. Cfr. L. De Luca, voce Assistenza religiosa, in Enc. dir., III, Milano, 1958, p. 797.Torna
  9. Cfr. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 5.Torna
  10. Cfr. R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 101.Torna
  11. Cfr. ancora R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 100, e V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 52, in nota. V. gli artt. 5 8, L. 449/1984; gli artt. 7 10, L. 516/1988; gli artt. 3 7, L. 517/1988; gli artt. 5 7, L. 116/1995; gli artt. 5 9, L. 520/1995; l'art. 4 dell'intesa con i buddhisti, e gli artt. 3 e 4 dell'intesa con i testimoni di Geova.Torna
  12. V. supra, § 4.1, in nota.Torna
  13. Cosi' si esprimeva il Presidente del Consiglio dei Ministri nella relazione introduttiva alla presentazione del disegno di legge in questione (in DE, 1998, I, p. 167).Torna
  14. Tutto cio' in base, ancora una volta, a precise disposizioni di origine biblica (in particolare, v. Levitico, 11).Torna
  15. V. supra, § 4.4.Torna
  16. Sull'argomento, rimandiamo a P. Stefani, Gli ebrei, cit., pp. 41 s.Torna
  17. Secondo la prescrizione biblica (Esodo, 34, 26): "Non cuocerai un capretto nel latte di sua madre".Torna
  18. Cfr. P. Stefani, Gli ebrei, p. 42.Torna
  19. Art. 3, quarto comma, e art. 4, quarto comma, dell'intesa con i testimoni di Geova.Torna
  20. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 277.Torna
  21. Cfr. ancora R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 275 s.Torna
  22. Si tratta del quarto comma dell'art. 7 delle bozze d'intesa del 1977 e del 1982.Torna
  23. R. Bertolino, ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 592.Torna
  24. Si vedano, infatti, l'art. 5, comma 5, L. 449/1984; l'art. 10, comma 1, L. 516/1988; l'art. 7, comma 1, L. 517/1988; l'art. 6, comma 3, L. 116/1995; l'art. 9, L. 520/1995; gli artt. 3, comma 5, e 4, comma 5, dell'intesa con i testimoni di Geova, e l'art. 4, comma 4, dell'intesa con i buddhisti.Torna
  25. Cfr., in questo senso, V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 223.Torna
  26. Cfr. R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 103. In proposito, cfr. anche G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 180, secondo il quale "e' da intendere che si rinvia alle disposizioni statali sulle singole materie".Torna
  27. Cfr. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 9.Torna
  28. Cfr. A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., p. 496.Torna
  29. Cfr., sull'argomento, R. Morozzo Della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti soldati 1915 1919, Roma, 1980, specialmente p. 9.Torna
  30. C. Cardia, Ateismo e liberta' religiosa, Bari, 1973, p. 60.Torna
  31. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 408 s.Torna
  32. In G.U., 16 marzo 1926, n. 417.Torna
  33. In G.U., 1 febbraio 1936, n. 26.Torna
  34. In G.U., 30 giugno 1961, n. 159.Torna
  35. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 410.Torna
  36. In G.U., 21 marzo 1991, n. 68.Torna
  37. In G.U., 15 novembre 1999, n. 268.Torna
  38. In G.U., 21 luglio 1978, n. 203.Torna
  39. Cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 45.Torna
  40. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 52.Torna
  41. Cosi' R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 102.Torna
  42. Cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 223, il quale ha sottolineato, inoltre, come la disposizione in parola sposti la contrattazione "dal livello locale, immediatamente afferente gli interessi religiosi personali dei militari di leva, a quello verticistico, con evidente imitazione per questo aspetto dei moduli di relazioni correnti fra Stato e Chiesa cattolica".Torna
  43. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 175.Torna
  44. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., pp. 53 s.Torna
  45. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 175.Torna
  46. Si vedano l'art. 5, secondo comma, L. 449/1984; l'art. 3, terzo comma, L. 517/1988; l'art. 5, secondo comma, L. 116/1995, e l'art. 5, terzo comma, L. 520/1995.Torna
  47. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 413.Torna
  48. V. supra, § 4.4.Torna
  49. Per gli avventisti, si veda l'art. 17, L. 516/1988.Torna
  50. La prassi vuole che ai militari di confessione ebraica vengano concesse delle speciali licenze in occasione della ricorrenza delle loro principali festivita', come avviene per i cattolici nel caso del Natale e della Pasqua: cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 53. Torna
  51. In G.U., 15 settembre 1986, n. 214.Torna
  52. Cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 214.Torna
  53. Cfr. A. Drigani, L'assistenza spirituale negli ospedali e nelle carceri, Roma, 1988, pp. 20 s.Torna
  54. Cfr. ancora A. Drigani, L'assistenza spirituale negli ospedali e nelle carceri, cit., p. 20.Torna
  55. In tal senso, cfr. L. Vannicelli, Le confessioni religiose ed il ruolo dello Stato nel campo dell'assistenza spirituale, in Aa. Vv., Studi in Onore di Lorenzo Spinelli, cit., III, p. 1208.Torna
  56. Cfr. F. Bolognini, voce Assistenza spirituale, in Enc. giur., III, Roma, 1988, p. 3.Torna
  57. In G.U., 12 marzo 1968, n. 68.Torna
  58. In G.U., 23 aprile 1969, n. 104, suppl. ord.Torna
  59. Cosi' R. Bertolino, Assistenza religiosa, cit., p. 96.Torna
  60. In G.U. 28 dicembre 1978, n. 360, suppl. ord.Torna
  61. R. Bertolino, Assistenza religiosa, cit., p. 97.Torna
  62. Cfr. ancora R. Bertolino, Assistenza religiosa, cit., p. 98.Torna
  63. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 22. Cfr. anche R. Bertolino, Assistenza religiosa, cit., p. 98.Torna
  64. V. supra, § 4.3.Torna
  65. Si vedano, infatti, l'art. 6, comma 2, L. 449/1984; l'art. 8, comma 2, L. 516/1988; l'art. 4, comma 5, L. 517/1988; l'art. 6, comma 1, L. 116/1995; l'art. 6, comma 2, L. 520/1995; l'art. 4, comma 2, dell'intesa con i buddhisti, e l'art. 3, comma 2, dell'intesa con i testimoni di Geova.Torna
  66. Cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 226.Torna
  67. In questo senso, cfr. ancora V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 226.Torna
  68. Cfr., in questo senso, e in riferimento a tutte le intese, P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 22.Torna
  69. V. infra, § 4.10.Torna
  70. Cfr. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 22.Torna
  71. Cosi' gia' C. Mirabelli, L'assistenza religiosa negli ospedali, in Citta' e Regione, 1976/6, p. 215. Ma, contra, cfr. F. Bolognini, voce Assistenza spirituale, cit., p. 3.Torna
  72. Si tratta dell'art. 7, L. 449/1984.Torna
  73. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 179.Torna
  74. Cosi', ancora G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 179.Torna
  75. Cfr. F. Bolognini, voce Assistenza spirituale, cit., p. 3.Torna
  76. Cfr. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 15.Torna
  77. Cosi' C. Cardia, Ateismo e liberta' religiosa, cit., pp. 36 s.Torna
  78. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 408 s.Torna
  79. in G.U., 27 giugno 1931, n. 147, suppl. ord.Torna
  80. Cfr. F. Bolognini, voce Assistenza spirituale, cit., p. 3.Torna
  81. Cfr. G. Coletti, Considerazioni su alcuni problemi relativi all'assistenza religiosa, in Aa. Vv., Studi per la revisione del Concordato, Padova, 1970, p. 747.Torna
  82. In G.U., 9 agosto 1975, n. 212.Torna
  83. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 410.Torna
  84. I cui compiti, tuttavia, sono stati notevolmente ridimensionati con L. 4 marzo 1982, n. 68 (in G.U., 10 marzo 1982, n. 67), che li ha limitati alle funzioni piu' propriamente religiose, cancellando in via definitiva i compiti di natura amministrativa, come, ad esempio, le incombenze disciplinari. Cfr. P. Consorti, L'assistenza spirituale nell'ordinamento italiano, cit., p. 18, e A. Drigani, L'assistenza spirituale negli ospedali e nelle carceri, cit., pp. 47 s.Torna
  85. In G.U., 22 giugno 1976, n. 162.Torna
  86. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., pp. 180 s.Torna
  87. Cfr. V. Tozzi, Assistenza religiosa e diritto ecclesiastico, cit., p. 216, e G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 180.Torna
  88. Cfr. V. Turchi, Misure alternative alla custodia cautelare e alla pena detentiva: la garanzia della liberta' religiosa, in Iustitia, 1989/2, pp. 149 s.Torna
  89. In questo senso, cfr. ancora V. Turchi, Misure alternative alla custodia cautelare e alla pena detentiva, cit., p. 155.Torna

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