4.9. Le comunita' ebraiche e l'Unione delle comunita'.

Costituisce un dato storico - e sociologico - acquisito che ogni gruppo minoritario abbia sempre cercato di organizzarsi per la tutela e la salvaguardia delle proprie specifiche esigenze, con la creazione di apposite strutture permanenti: a maggior ragione, quindi, non puo' suscitare sorpresa che gli ebrei della diaspora, a causa della necessita' di difendere e preservare il proprio retaggio religioso ed etnico-culturale, non si siano limitati, nel tempo, ad assumere sporadiche iniziative a carattere associativo, ma abbiano, piuttosto, dato vita a strutture comunitarie secondo una tradizione che, con il lento trascorrere del tempo, e' divenuta legge1.

Nel secondo capitolo, in una prospettiva eminentemente storica, abbiamo gia' visto come, nel nostro Paese, fino al 1930 le comunita' ebraiche avessero figure giuridiche differenti a seconda delle diverse Regioni in cui si trovavano: talvolta, addirittura nella stessa Regione non era cosa rara il trovarsi di fronte a comunita' con fisionomia e caratteri distinti sia sotto il profilo dell'organizzazione, che sotto quello amministrativo e delle strutture interne2.

Vi erano comunita', ad esempio - come quelle di Roma e Napoli - che erano riconducibili, quanto alla loro natura giuridica, alle "associazioni volontarie", piu' o meno dotate di personalita' giuridica, disciplinatesi autonomamente con statuti, che potevano essere compiutamente integrate da fondazioni con specifici fini di culto o beneficenza3; altre comunita', invece - come quelle toscane della prima meta' dell'Ottocento - venivano regolate dal diritto statuale come "corporazioni pubbliche necessarie", le quali, oltre ad avere una autonoma personalita' giuridica, erano capaci di imporre tributi ai propri appartenenti e di emanare norme di autorganizzazione4. Altre comunita' ancora, infine, al carattere dell'associazionismo spontaneo avevano sostituito quello della partecipazione obbligatoria ex lege, oltre ad un articolato sistema di controlli statuali sulla loro gestione: e', questo, il caso delle comunita' del Piemonte e della Liguria - e, dopo il 1857, anche dell'Emilia e delle Marche -, che erano disciplinate, sotto la denominazione di "universita' israelitiche", dalla c.d. legge Rattazzi del 1857, che, comunque, anche dopo l'Unita' del Paese, non venne mai estesa a tutto lo Stato italiano5.

Solamente con la normativa del 1930, a cui si arrivo', come abbiamo gia' evidenziato6, per volonta' tanto di vari settori dell'ebraismo italiano - la cui organizzazione interna era, per alcuni profili, ritenuta assai carente -, quanto del regime fascista - che voleva arrivare a dare una regolamentazione organica e, soprattutto, unitaria alla confessione ebraica7 -, si giunse all'unificazione del regime di tutte le comunita' ebraiche, e trovo', inoltre, pieno compimento il processo di costituzione di un'organizzazione comunitaria di vertice, col raggruppamento delle diverse comunita' in una Unione obbligatoria, che prendeva il posto del Consorzio delle comunita' israelitiche - basato invece sul principio della volontaria adesione delle comunita'8 -, istituito nel 1911, e che dal 1920 era stato eretto in ente morale9.

Riservandoci di tornare fra poco a parlare dell'Unione, giovera' qui soffermarsi, in primis, sulle comunita' israelitiche, seguendo, del resto, l'ordine nel quale i due istituti sono considerati anche nell'ambito dell'intesa ebraica.

Ci siamo gia' brevemente soffermati sul tema della regolamentazione delle comunita' israelitiche, cosi' come risultante dal R.D. 1731/1930 e dal relativo regolamento di attuazione emanato nell'anno successivo10: basti qui solo ricordare come - in ossequio alla volonta' del legislatore fascista di tutto regolare, prevedere e controllare -, da parte della dottrina ecclesiasticistica piu' autorevole non si manco' di sottolineare come, con il provvedimento in parola, si fosse "risolutamente sul terreno della "costituzione civile" di una confessione, opera del legislatore statale"11.

E proprio a causa di questa ingerenza dello Stato nella vita delle comunita', attraverso la fitta rete di controlli intessuta dal R.D. 1731/1930, dottrina e giurisprudenza12 erano state pressoche' unanimi nel sostenere che le comunita' israelitiche e la loro Unione fossero enti pubblici, nonostante l'art. 1 del R.D. del 1930 definisse le comunita' israelitiche come semplici corpi morali13.

Ma la vigilanza e la tutela statuale sulla vita delle comunita' non erano cosi' invise ai vertici dell'ebraismo nazionale - e anche questo lo si e' gia' visto in altra sede14 -, perche', se non altro, contribuivano a mantenere l'ordine e l'unitarieta' di regime tra le diverse comunita' che, prima del 1930, erano state soggette a regimi quanto mai variegati: ecco perche' la specifica questione ha costituito, per lungo tempo, l'oggetto privilegiato di un serrato dibattito all'interno dell'ebraismo italiano, nel corso delle trattative per giungere alla firma dell'intesa.

Si scontravano, qui, due tesi, che costituivano il frutto di altrettante concezioni fra di loro radicalmente opposte, e, di conseguenza, inconciliabili: quella che identificava nei controlli esterni di parte statuale - che si volevano, percio', conservati - la garanzia di una corretta gestione da parte degli amministratori comunitari; quella, invece, che rivendicava, in favore di ogni comunita', la piu' completa autonomia e liberta' di autodisciplina e di autocontrollo15.

Nelle more delle trattative, comunque, l'accesa disputa aveva poi finito per perdere ogni sua concreta ragione d'essere, poiche' se, da un lato, il cambiamento nella concezione generale dello Stato importava la presa di distanza, da parte dello stesso, da tutte quelle attivita' non attinenti ai suoi fini specifici16, dall'altro lato, a seguito della piu' volte citata sentenza 239/1984 del Giudice della costituzionalita'17 - che, come e' stato efficacemente evidenziato, "sottolineava soprattutto l'inadeguatezza di una legge statuale per una regolamentazione sistematica di realta' confessionali"18 -, venivano necessariamente a cadere, una volta per tutte, le tesi che propugnavano la trasfusione, nell'intesa con lo Stato, dei capisaldi dell'organizzazione comunitaria ebraica, quali la questione dell'appartenenza, dei contributi e del contenzioso tributario19.

Il testo della nuova bozza d'intesa del 1985 si presentava, cosi', altamente innovativo rispetto ai precedenti progetti, in quanto aboliva ogni norma attinente ai profili organizzativi delle comunita' e dell'Unione, e ogni riferimento alla questione dell'appartenenza alle comunita', ai contributi ed ai relativi ricorsi, rimandando, per la relativa disciplina, alle disposizioni statutarie20.

Oggi, a piu' di un decennio dalla firma dell'intesa, guardando allo statuto dell'ebraismo italiano, si puo' agevolmente notare come esso trovi autodefinizione nel suo stesso preambolo, qualificandosi come la "libera espressione dell'autonomia di organizzazione che la Costituzione italiana riconosce e garantisce alle Comunita' ebraiche, formazioni sociali originarie, la cui esistenza plurimillenaria si basa sui princi'pi religiosi, etici e sociali dell'ebraismo": come e' evidente anche ad una prima lettura della disposizione, essa sottolinea la natura dell'ebraismo come realta' giuridicamente e socialmente complessa, che trova la sua organizzazione in strutture ben definite costituite dalle comunita', la cui definizione e' rinvenibile unicamente nell'ambito della legge e tradizione ebraiche21.

E assai significativa in proposito e' anche la corrispondente - e speculare - descrizione delle comunita' ebraiche offertaci dal primo comma dell'art. 18 della legge 101/1989, secondo il cui disposto le comunita', "in quanto istituzioni tradizionali dell'ebraismo in Italia, sono formazioni sociali originarie che provvedono, ai sensi dello Statuto dell'ebraismo italiano, al soddisfacimento delle esigenze religiose degli ebrei secondo la legge e la tradizione ebraiche": come si evince chiaramente dalla lettera della disposizione, essa non solo ha saputo tenere nel debito conto la natura "essenzialmente collettiva"22 dell'ebraismo, ma ha preso atto della natura delle comunita' ebraiche come formazioni sociali dotate dei caratteri di originarieta' e di autonomia "che trovano definizione in un ordinamento esterno a quello statuale [...] e che le rendono soggetti giuridici capaci di entrare in rapporto con lo Stato"23.

La disposizione del primo comma dell'art. 18 costituisce, si puo' dire, il "cuore pulsante" dell'intera legge 101/1989, comportando, nella sostanza, il riconoscimento - melius, la "presa d'atto" - dell'originarieta' e dell'autonomia dello stesso ebraismo-ordinamento giuridico24: un ordinamento giuridico, si e' detto, dotato del carattere della originarieta', esso solo competente a determinare i soggetti che costituiscono il substrato dell'ordinamento confessionale stesso, in quanto "non puo' contestarsi ad un ordinamento giuridico la potesta' di determinare tali soggetti senza contestarne l'originarieta'"25.

Ma l'importanza dell'art. 18 della legge 101/1989 emerge anche sotto un ulteriore aspetto, sebbene strettamente collegato al precedente. Se, come si e' visto, con la citata disposizione viene, infatti, solennemente riconosciuto il carattere istituzionale tradizionale delle comunita' ebraiche che e' stato tramandato loro attraverso il lungo corso dei secoli, ne discende eo ipso che l'intesa non abbia potuto - e voluto - ridurre l'ebraismo al rango di pura e semplice confessione religiosa26: se l'ebraismo e' una concezione del mondo e della storia, una regola pratica di condotta ed una morale di vita dell'individuo, e' proprio la comunita' il soggetto deputato alla soddisfazione dei bisogni spirituali, ma anche sociali, culturali e finanche economici del nucleo ebraico27. E questo emerge non tanto dal primo comma dell'art. 18, che parla di "esigenze religiose", quanto dal secondo comma dello stesso articolo, nel quale la Repubblica ha preso atto che le comunita' "curano l'esercizio del culto, l'istruzione e l'educazione religiosa, promuovono la cultura ebraica, provvedono a tutelare gli interessi collettivi degli ebrei in sede locale, contribuiscono secondo la legge e la tradizione ebraiche all'assistenza degli appartenenti alle Comunita' stesse".

Come abbiamo gia' visto28, intenzionalmente l'ebraismo ha accettato di autorappresentarsi come una confessione religiosa, allo scopo di poter stipulare l'intesa con lo Stato29. Al contempo, tuttavia, nella stessa intesa non ha potuto fare a meno di dare risalto a quella sua specialissima natura, "in cui l'aspetto strettamente religioso costituisce la parte di un tutto assai piu' complesso"30. Il secondo comma dell'art. 18 costituisce un valido esempio di quanto appena detto: vi si afferma, sostanzialmente, che la Repubblica prende atto di questo ruolo "plurimo" svolto dalle comunita' ebraiche.

Ma, se e' vero che la storia recente e passata mette in evidenza come le comunita' ebraiche siano sempre state caratterizzate da una tale ampiezza di compiti, e' anche comprensibile che lo Stato abbia sentito la necessita' di distinguere comunque, e in modo netto, le finalita' di culto da tutte le altre31, mentre la necessita' di trovare una adeguata tutela della propria specifica identita' anche a livello della normativa statuale, ha portato l'ebraismo italiano a cercare di rapportarsi allo Stato "secondo schemi concettuali che, pur mantenendo l'integrita' dei valori specifici del medesimo, privilegino le possibilita' di adeguarli agli schemi ordinamentali esterni"32.

Ne e' scaturito, nell'intesa, non tanto un compromesso, quanto piuttosto un difficile equilibrio, tra l'impostazione statuale e quella ebraica, ben rappresentato dall'art. 26: come ha notato la stessa dottrina di parte ebraica33, infatti, se nel primo comma emerge ancora una volta l'impostazione dell'ebraismo, dove lo Stato, con una - significativa - affermazione unilaterale, prende atto che, secondo la tradizione ebraica, "le esigenze religiose comprendono quelle di culto, assistenziali e culturali", nel comma successivo spicca, invece, l'impostazione della controparte statuale, che cerca di dare una definizione delle attivita' di religione o di culto che possa essere considerata valida agli effetti delle leggi civili. Segnatamente, si considerano tali, secondo la lett. a), "quelle dirette all'espletamento del magistero rabbinico, all'esercizio del culto, alla prestazione dei servizi rituali, alla formazione dei rabbini, allo stuD-o dell'ebraismo e all'educazione ebraica", mentre invece si qualificano come attivita' "diverse da quelle di religione o di culto", secondo la lett. b), "quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, comunque, le attivita' commerciali o a scopo di lucro".

Tornando all'art. 18 della legge 101/1989, il relativo terzo comma elenca ventuno comunita', attribuisce loro la nuova denominazione di "comunita' ebraiche" - in conformita' alle risoluzioni del Congresso del 1968 -, e dispone affinche' esse mantengano la personalita' giuridica di cui erano gia' dotate.

Quest'ultima specificazione ci riporta alla vexata quaestio sulla natura della personalita' giuridica delle comunita' e dell'Unione - atteso che il primo comma dell'art. 19 sancisce anche per essa il mantenimento della personalita' giuridica acquistata nel regime precedente -, che nel vigore del R.D. 1731/1930 era stata risolta, come si e' visto, optando per una loro qualificazione pubblicistica.

Nemmeno la legge 101/1989 e' riuscita a fugare del tutto i dubbi circa la natura giuridica delle comunita' e dell'Unione: infatti, se per un verso appare innovativo il riconoscimento alle comunita' della qualifica di "formazioni sociali originarie", operata dall'art. 18, dall'altro lato la stessa norma, specificando che esse mantengono la personalita' giuridica "di cui sono attualmente dotate", pare voler creare una precisa e ben definita linea di continuita' per cio' che concerne, se non tutte le comunita' in assoluto, quantomeno quelle in essa elencate; e la stessa linea di continuita' sarebbe riscontrabile, per cio' che concerne l'Unione, nell'art. 1934. Allo stesso tempo, pero', la lettera del quarto comma dell'art. 24 deporrebbe nel senso di una qualificazione privatistica di questi enti, disponendo che "all'Unione, alle Comunita' e agli altri enti ebraici civilmente riconosciuti non puo' essere fatto, ai fini della registrazione, un trattamento diverso da quello previsto per le persone giuridiche private".

Le soluzioni accolte in dottrina sono state, cosi', piuttosto variegate: accanto a chi, occupandosi principalmente dell'Unione, ne ha dedotto la sua qualificazione pubblicistica sulla base della considerazione secondo cui essa assolverebbe "finalita' annoverabili tra quelle di interesse pubblico"35, vi e' stato chi, invece - e con riferimento alle comunita' -, ha sostenuto che esse abbiano innanzitutto una personalita' giuridica di diritto pubblico, ma che, in virtu' della iscrizione nel registro delle persone giuridiche prevista nell'art. 24, possano acquisire anche quella di diritto privato36. Altri ancora, basandosi sulla gia' citata sentenza 259/1990 della Corte costituzionale37, ha sostenuto la natura delle comunita' ebraiche e dell'Unione come persone giuridiche private38.

Nella nostra opinione, al di la' delle suggestioni letterali, alcuni elementi depongono per una diversa impostazione - e soluzione - del problema, che sara' utile affrontare per gradi. Innanzitutto, pare ragionevole escludere la tesi pubblicistica, atteso che la stessa Corte costituzionale l'ha cosi' autorevolmente esclusa. Ma, una volta esclusa la tesi che voleva le comunita' e l'Unione enti pubblici, non rimane la sola alternativa della tesi privatistica: infatti, come inizia a constatare la dottrina piu' attenta, bisogna prima di tutto imparare ad uscire dalla logica a cui ci aveva abituati la legislazione del 1930, per comprendere cosi' come sia oltremodo riduttivo continuare a discutere se la natura pubblicistica delle comunita' prevalga, oppure no, su quella privatistica. La logica che presiede all'intesa, infatti, prescinde dalle categorie tradizionali, riconoscendo che le comunita' ebraiche sono vere e proprie istituzioni, ordinamenti distinti da quello dello Stato, che presuppongono l'esistenza di una sorta di tertium genus, rintracciabile nel punto d'incontro del diritto dello Stato e di quello confessionale: tale tertium genus e' costituito proprio da quegli organismi, come le comunita' ebraiche, con fini di religione e di culto e dotati di personalita' giuridica propria39. Insomma, "le caratteristiche, che definiscono giuridicamente la Comunita', a ragione, la collocano nell'ampia categoria degli enti ecclesiastici dotati di precise funzioni organiche rispetto alla confessione di cui sono enti esponenziali"40. Riteniamo che le stesse considerazioni possano essere fatte anche in riferimento all'Unione delle comunita'.

Secondo la disposizione del quarto comma dell'art. 18, la costituzione di nuove comunita', la modifica delle circoscrizioni territoriali di comunita' gia' esistenti, nonche' la unificazione o la estinzione di alcuna di esse, "sono riconosciute con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato, su domanda congiunta della Comunita' e dell'Unione". Rinviando, per gli specifici profili relativi alla forma dell'atto di concessione della personalita' giuridica, a quanto si dira' nel prossimo paragrafo circa gli enti ebraici in generale, basti qui rilevare come la necessita' della domanda congiunta della comunita' interessata e dell'Unione lasci intravedere, gia' qui, quel ruolo di coordinamento che - come vedremo tra poco -, l'intesa ebraica assegna all'Unione delle comunita', quale organo esponenziale dell'ebraismo italiano nei confronti dello Stato.

Nel contesto della legislazione del 1930, l'Unione nasceva principalmente a causa della necessita', per lo Stato dell'epoca, di porre dinanzi a se' un organo che rappresentasse unitariamente gli ebrei italiani e che, di conseguenza, rendesse piu' facile il controllo sul fenomeno associativo ebraico - in corrispondenza alla tendenza del legislatore fascista "alla legittimazione dell'intervento dell'autorita' dello Stato su ogni possibile diffusa articolazione dei poteri sociali, proprio attraverso una loro istituzionalizzazione"41 -, e veniva disciplinata sul modello di quanto disposto per le singole comunita', atteso che l'ordinamento tradizionale ebraico non aveva mai preso in considerazione la possibilita' di costituzione, o di disciplina, di una simile istituzione "confederativa" delle diverse comunita'42. e' stato giustamente osservato, quindi, che l'Unione veniva cosi' a costituire un unicum nella storia dell'ebraismo della diaspora, che ha sempre conosciuto, unicamente, una pluralita' di sole comunita'43.

Nel nuovo contesto costituzionale, ci si era posti l'interrogativo se l'Unione potesse essere considerata come un'effettiva espressione dell'ebraismo italiano, e se essa, pertanto, avesse titolo a configurarsi come organo, o ente, rappresentativo della confessione ebraica, requisito necessario ai fini della capacita' di stipulare l'intesa: a cio', infatti, sembravano ostare proprio la sua natura di organo di esclusiva creazione statuale, oltre alla sua posizione, all'interno della legislazione del 1930, in qualita' di organismo unus inter pares - che non era in posizione gerarchica preminente, ne' aveva alcun rilevante potere, sulle singole comunita' israelitiche44 -, per cui vi era il timore che essa non sarebbe stata in grado di "imporre" le pattuizioni convenute con l'intesa, cosi' da assicurare una sorta di "uniformita'" al fenomeno ebraico sul territorio italiano45.

Tentando di giustificare la "rappresentativita'" dell'Unione, parte della dottrina aveva rilevato che, pur non essendo l'Unione una struttura tradizionale dell'ebraismo, nondimeno, derivando dall'associazionismo delle diverse comunita' italiane, essa ne costituiva tuttavia - per cosi' dire - "un'espansione derivata dall'evoluzione politica della societa' circostante"46, mentre altri, sulla base di piu' pregnanti argomentazioni giuridiche, ebbe modo di sostenere la tesi che le delibere adottate dal Congresso straordinario del 196847 avessero sostanzialmente recepito, come norme interne, la regolamentazione contenuta nei decreti del 1930-1931, dimostrando, in tal modo, la volonta' dell'ebraismo italiano di accogliere tale legislazione anche a livello dello "statuto organizzativo" interno delle comunita', in conformita', del resto, al secondo comma dell'art. 8 della Carta costituzionale, che, essendo una norma sulla produzione giuridica, non avrebbe potuto comportare l'illegittimita' costituzionale delle norme legislative emanate anteriormente all'entrata in vigore della stessa Costituzione48.

Su tale linea, quindi - almeno secondo quest'ultima tesi -, l'Unione avrebbe potuto essere considerata a buon diritto come l'organo competente a stipulare l'intesa con lo Stato italiano, e questo "non tanto perche' cio' si puo' desumere dall'ordinamento ebraico, ma poiche', pur essendo stata istituita da una legge statuale, la sua esistenza e le sue funzioni sono state recepite a livello di norma interna, a carattere statutario, in forza delle recezioni, a livello congressuale tra Comunita', di delibere dell'Unione"49.

Comunque, gli eventi successivi hanno poi reso obsoleta la questione. Come abbiamo gia' visto50, infatti, il disposto dell'art. 34 dell'intesa del 1987 - non trasfuso, poi, nella successiva legge di approvazione -, ha configurato il deposito dello statuto dell'ebraismo italiano presso il Ministero dell'Interno come la condicio sine qua non per la presentazione in Parlamento, da parte del Governo, del testo del disegno di legge di approvazione dell'intesa stessa: e proprio lo statuto - la cui seconda parte e' interamente dedicata all'Unione ed alla disciplina e al funzionamento dei suoi organi interni -, con l'art. 37, ha riconosciuto pienamente, all'Unione delle comunita' ebraiche italiane, il carattere di ente esponenziale dell'ebraismo italiano per quanto riguarda la rappresentanza degli interessi generali dell'ebraismo stesso51.

Coerentemente, il secondo comma dell'art. 19 della legge 101/1989 riprende la formulazione statutaria, prospettandoci anch'esso l'Unione come l'ente "rappresentativo della confessione ebraica nei rapporti con lo Stato e per le materie di interesse generale dell'ebraismo", che, ai sensi del primo comma, conserva la personalita' giuridica di cui era gia' dotata in precedenza.

Il terzo comma dell'art. 19 prende poi in considerazione i compiti dell'Unione, che "cura e tutela gli interessi religiosi degli ebrei in Italia; promuove la conservazione delle tradizioni e dei beni culturali ebraici; coordina ed integra l'attivita' delle Comunita'; mantiene i contatti con le collettivita' e gli enti ebraici degli altri paesi": come si evince dal testo, nella disposizione in parola si tutelano sia princi'pi di carattere spiccatamente generale - quale puo' essere, infatti, quello della conservazione delle tradizioni e dei beni culturali ebraici -, sia princi'pi di ordine organizzativo interno della confessione ebraica - come quello del coordinamento dell'attivita' delle diverse comunita'52.

Essendo le comunita' ebraiche del tutto autonome e capaci di ordinarsi secondo propri statuti, giustamente l'art. 19 attribuisce all'Unione, nei loro riguardi, solo un compito di coordinamento, che, tuttavia, sara' suscettibile di concretarsi in un'attivita' integrativa laddove quella di una determinata comunita' sia deficitaria per qualche rilevante aspetto, ma questo unicamente al fine di assicurare a tutte le comunita' ebraiche italiane la permanenza su di un piano di assoluta uguaglianza anche sostanziale53.

Sempre per quanto riguarda l'Unione delle comunita', va rapidamente menzionato, qui, un altro compito attribuitole dalla legge 101/1989: secondo il disposto del primo comma dell'art. 20, infatti, spetta ad essa il deposito presso il Ministero dell'Interno, entro trenta giorni dalla loro adozione, delle modifiche allo statuto dell'ebraismo italiano.

In una recente pronunzia, la Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare il ruolo dell'Unione delle comunita' ebraiche come rappresentante non solo degli interessi religiosi dell'ebraismo italiano, ma anche dell'elemento piu' specificamente etnico-razziale dello stesso54, anche se - come ha sottolineato la dottrina a commento -, la Corte non ha fatto altro che esplicitare una funzione di rappresentanza dell'identita' etnica ebraica da ritenersi gia' implicita nella disciplina risultante dall'intesa, atteso che se - stando al secondo comma dell'art. 19 della legge 101/1989 - l'Unione, oltre a rappresentare la confessione ebraica nei suoi rapporti con lo Stato, ha anche il compito di porsi come interlocutore privilegiato per tutto cio' che concerne le materie di interesse generale dell'ebraismo, non si riesce a vedere quale altro interesse piu' generale possa configurarsi in capo all'Unione stessa, di quello di salvaguardare, appunto, la specifica identita' etnico-razziale del popolo ebraico55.

Note:

  1. Cfr. V. Ottolenghi, Struttura dell'Unione e nuovo statuto dell'ebraismo italiano, in RMI, 1985/3 (Scritti in memoria di Sergio Piperno Beer), p. 672.Torna
  2. V. supra, cap. II, specialmente §§ 2.1 e 2.2. Cfr. G. Disegni, Considerazioni sulla storia e la natura giuridica delle comunita' ebraiche, cit., p. 629, C. Mirabelli, voce Israeliti, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 971, e G. Ascoli, voce Comunita' israelitiche. II) Contribuzioni a favore delle Comunita' israelitiche, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, p. 1.Torna
  3. Cfr. M. F. Maternini Zotta, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 131.Torna
  4. Cfr. R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 565.Torna
  5. Cfr. G. Fubini, L'anno della svolta, cit., p. 328. Sulle origini storiche della legge Rattazzi, amplius, supra, § 2.1.Torna
  6. Su questo punto, v. supra, § 2.2.Torna
  7. Cfr. G. Disegni, Considerazioni sulla storia e la natura giuridica delle comunita' ebraiche, cit., p. 634.Torna
  8. Cfr. . F. Maternini Zotta, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 136.Torna
  9. Cfr. G. Sacerdoti, voce Comunita' israelitiche. I) Diritto ecclesiastico, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, pp. 1 s.Torna
  10. In particolare, v. § 2.2.Torna
  11. A. C. Jemolo, Alcune considerazioni sul R.D. 30 ottobre 1930 n. 1731, cit., p. 75.Torna
  12. In dottrina, cfr. specialmente M. Falco - A. Bertola, voce Comunita' israelitiche, in NNDI, III, Torino, 1959, pp. 917 s., mentre per la giurisprudenza piu' recente in proposito, cfr. Cass., Sez. un. civ., sent. 14 gennaio 1987, n. 194, in FI, 1987, I, c. 1789., e Corte cost., sent. 25 maggio 1990, n. 259, in QDPE, 1990/1, pp. 516 ss.Torna
  13. Cfr. M. Falco, La nuova legge sulle comunita' israelitiche italiane, cit., p. 518.Torna
  14. V. supra, § 2.4.Torna
  15. Cfr. V. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., pp. XIX s., e G. Disegni, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 179.Torna
  16. Cfr. ancora V. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., p. XX.Torna
  17. Cfr., infatti, Corte cost., sent. 239/1984, cit., che ha dichiarato incostituzionale l'art. 4 del R.D. del 1930 non solo in quanto tale disposizione, attribuendo un essenziale rilievo alle caratteristiche religiose ed etniche, creava una insostenibile disparita' di trattamento tra i cittadini - ponendosi, percio', in contrasto con il principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione -, ma anche perche', nel sancire l'obbligatoria appartenenza alla comunita' per il solo fatto di essere ebrei e di risiedere nel territorio di pertinenza della comunita' stessa - senza che l'appartenenza fosse accompagnata da alcuna manifestazione di volonta' in tal senso -, si ricadeva nella violazione della liberta' di adesione tutelata dagli artt. 2 e 18 della Costituzione.Torna
  18. Cosi', P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane e dell'Unione delle comunita' nell'ordinamento giuridico italiano, in Aa. Vv., Principio pattizio e realta' religiose minoritarie, cit., p. 243.Torna
  19. Cfr. M. F. Maternini Zotta, voce Comunita' israelitiche, cit., p. 265.Torna
  20. V. supra, § 2.4.Torna
  21. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 246.Torna
  22. G. Sacerdoti, Ebraismo e Costituzione, cit., p. 93.Torna
  23. Cosi', M. F. Maternini Zotta, voce Comunita' israelitiche, cit., p. 266.Torna
  24. Cfr. R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 110. V. anche supra, § 1.2.Torna
  25. Cosi', G. Fubini, voce Enti ecclesiastici. III) Enti ecclesiastici delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Enc. giur., XII, Roma, 1989, p. 9.Torna
  26. Cfr. D. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., p. XVII, e M. Toscano, Le comunita' ebraiche, cit., p. 22.Torna
  27. Cfr. G. Sacerdoti, voce Comunita' israelitiche, cit., p. 6, e D. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., p. XVII.Torna
  28. V. supra, § 3.4.Torna
  29. Come esattamente precisa G. Fubini, L'intesa, cit., p. 34: "l'ebraismo e' tante cose insieme [...]. Di questo erano bene coscienti i nostri interlocutori in tutto il periodo della trattativa per l'intesa; piu' volte hanno ritenuto di ricordarci che la Costituzione della Repubblica, seppur prevede la tutela con apposite norme delle minoranze linguistiche (art. 5), non prevede le intese ne' con le minoranze linguistiche ne' con le diverse componenti culturali, ma solo con le confessioni religiose (art. 7 e 8): se vogliamo l'intesa con lo Stato, dobbiamo presentarci come una confessione religiosa".Torna
  30. Cosi', D. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., p. XVII.Torna
  31. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 159.Torna
  32. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 257.Torna
  33. Cfr. G. Fubini, L'intesa, cit., pp. 34 s.Torna
  34. Cfr. E. Camassa Aurea, I beni culturali d'interesse religioso, cit., p. 208.Torna
  35. Cosi', P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 243.Torna
  36. In questo senso, cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 82.Torna
  37. In questa sentenza la Corte, se pure ha affermato che le comunita' israelitiche e l'Unione delle stesse, nel regime del R.D. 1731/1930 fossero da considerarsi enti pubblici, ha recisamente escluso che tale qualifica pubblicistica sia oggi compatibile con l'art. 8 della Costituzione, nella parte in cui si prevede l'autonomia statutaria ed organizzativa delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.Torna
  38. Cfr. E. Camassa Aurea, I beni culturali d'interesse religioso, cit., pp. 208 s.Torna
  39. Cfr. G. Disegni, Considerazioni sulla storia e la natura giuridica delle comunita' ebraiche, cit., p. 636, e G. Fubini, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 127. In senso conforme, F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 306.Torna
  40. Cosi', M. F. Maternini Zotta, voce Comunita' israelitiche, cit., p. 266.Torna
  41. Cosi', ancora M. F. Maternini Zotta, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 197.Torna
  42. Cfr. M. F. Maternini Zotta, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 198, e R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 586.Torna
  43. Cfr., in questo senso, R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 586.Torna
  44. Cfr. M. F. Maternini Zotta, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 165.Torna
  45. Cfr., in questo senso, V. Pedani, Considerazioni sullo statuto dell'ebraismo italiano, cit., pp. 620 s.Torna
  46. Cosi', V. Ottolenghi, Struttura dell'Unione e nuovo statuto dell'ebraismo italiano, cit., p. 673, secondo il quale "anche prescindendo, infatti, dalla definizione della struttura rappresentativa nazionale come Unione "delle Comunita'" e non "degli ebrei" o "dell'ebraismo", va rilevato che la struttura stessa promana totalmente ed esclusivamente dalle Comunita' in quanto tali, essendo i rispettivi Consigli, per il tramite dei delegati al Congresso, ad eleggerne gli organismi rappresentativi (Consiglio, Giunta, Presidente) e ad indirizzarne, con l'espressione di appositi "voti", l'attivita' politica ed amministrativa".Torna
  47. Su questo Congresso, amplius, supra, § 2.4.Torna
  48. In questo senso, cfr. F. Finocchiaro, Le comunita' israelitiche e la Costituzione repubblicana, in DE, 1984, I, p. 765.Torna
  49. M. F. Maternini Zotta, voce Comunita' israelitiche, in Dig. disc. pubbl., III, Torino, 1989, p. 264.Torna
  50. In particolare, v. supra, § 4.1, anche in nota.Torna
  51. Cfr. V. Pedani, Considerazioni sullo statuto dell'ebraismo italiano, cit., p. 621.Torna
  52. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., pp. 244 s.Torna
  53. Cfr. ancora P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 245.Torna
  54. Corte cost., sent. 17 luglio 1998, n. 268, in DE, 1998, II, pp. 413 ss. Cfr. anche A. Albisetti, Il diritto ecclesiastico nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., p. 106.Torna
  55. Cfr. V. Pedani, Note sul ruolo dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane, cit., p. 420.Torna

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