4.10. Gli enti ebraici ed il loro regime giuridico.

Dopo avere sottolineato come le comunita' ebraiche, per quanto si e' gia' visto, debbano a buon diritto essere considerate come gli enti portanti dell'intera struttura ordinamentale ebraica, ed aver considerato le funzioni di coordinamento e di rappresentanza dell'ebraismo italiano attribuite all'Unione, la legge 101/1989 si occupa anche di altri enti della confessione ebraica, disciplinandone partitamente le modalita' di creazione, di mutamento del fine e di estinzione.

Nel precedente paragrafo, trattando specificamente delle comunita' ebraiche, abbiamo accennato come, oggi, esse possano essere fatte rientrare a pieno titolo nella categoria dei cosiddetti enti ecclesiastici, che costituirebbero una sorta di tertium genus tra le persone giuridiche pubbliche e quelle private1.

E' d'obbligo, ora, una precisazione di carattere terminologico: se, infatti, fino al 1984 venivano espressamente qualificati come enti "ecclesiastici" solamente gli enti, aventi determinati requisiti, appartenenti alla Chiesa cattolica2, l'attuale nozione, e la locuzione stessa, di "ente ecclesiastico civilmente riconosciuto", ha subi'to un'espansione ed un'evoluzione, frutto dei negoziati tra lo Stato e le diverse confessioni religiose3 - l'identica espressione si ritrova, infatti, tanto nella legge 222/1985, con riferimento agli enti della Chiesa cattolica, quanto nelle leggi di approvazione delle intese con le confessioni religiose di minoranza4 -, anche se nell'intesa ebraica non viene mai adoperata l'aggettivazione di "ecclesiastici" al fine della designazione degli enti della confessione, ai quali ci si riferisce qualificandoli invece come "enti ebraici civilmente riconosciuti", come risulta dagli artt. 21, 22 e 23 della legge 101/1989.

Nondimeno, al di la' di questa diversita' terminologica, "la perfetta simmetria nell'uso degli aggettivi "ebraici" ed "ecclesiastici" nella formulazione delle rispettive norme"5, ma, soprattutto, la sostanziale omogeneita' del regime giuridico delineato per questi enti, che emerge dall'esame dell'intero corpus normativo pattizio, inducono senz'altro a ritenere equivalenti, nella sostanza, le due espressioni considerate6, cosi' che pare indubitabile l'inclusione degli "enti ebraici civilmente riconosciuti" nella generale categoria, oggi pattiziamente delineata, degli "enti ecclesiastici", rimanendo agevole spiegare la peculiarita' della formulazione della legge 101/1989 come una diversita' puramente formale7, ancora una volta espressione, se vogliamo, della conclamata specifica identita' dell'ebraismo, e del suo rifiuto di "omologazione" al concetto di confessione religiosa fatto proprio dalla tradizione cristiana, di cui l'aggettivo "ecclesiastico" costituirebbe una chiara espressione8.

Fatte queste precisazioni, possiamo senz'altro passare a considerare brevemente la regolamentazione delle vicende giuridiche degli enti ebraici proposta dalla legge 101/1989, rimanendo avvertiti che, come si e' anticipato poc'anzi, essa si uniforma pressoche' totalmente ai princi'pi generali in materia di enti ecclesiastici che, delineati per la prima volta in riferimento agli enti cattolici, sono stati fatti propri anche dagli accordi finora raggiunti con le altre confessioni9, "come ampiamente dimostrato dalle profonde analogie se non dalla vera e propria sovrapponibilita' delle norme concordatarie con quelle delle intese con le confessioni di minoranza"10, tanto che si puo' ben dire che proprio attraverso la negoziazione bilaterale si sia cosi' gradualmente affermato e consolidato, nel nostro ordinamento, un preciso "modello normativo" di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto11.

Secondo la prima parte dell'art. 21, comma 1, della legge 101/1989, oltre alle comunita', altri enti ebraici aventi la loro sede in Italia possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, "in quanto abbiano fini di religione o di culto, ai sensi dell'art. 26, comma 2, lettera a), e siano approvati dalla Comunita' competente per territorio e dall'Unione": sono, questi, i presupposti per il riconoscimento della personalita' giuridica degli enti ebraici, che costituiscono parte integrante, ed essenziale, di quel "modello normativo" generale sugli enti ecclesiastici di cui si e' appena detto.

Il primo aspetto da sottolineare di questa disposizione, e' certamente la subordinazione della possibilita' di esistenza di altri soggetti giuridici, diversi dalle comunita', alla presenza di un "requisito soggettivo"12, costituito dall'approvazione dell'ente da parte della comunita' stessa, che non fa altro che confermare - e rendere efficace anche nell'ambito dell'ordinamento statuale - il tradizionale principio dell'ordinamento ebraico, secondo cui il potere di costituzione di soggetti giuridici spetta sempre alle comunita'13; tuttavia, nella norma e' stata anche contemplata la necessita' dell'approvazione da parte dell'Unione, e non in subordine, ma quale soggetto giuridico parimenti rilevante: cio' e' particolarmente significativo, soprattutto se si pensa alla possibilita' dell'esistenza di enti ebraici che vengano a superare o che, comunque, non coincidano del tutto con la circoscrizione territoriale di una singola comunita'14.

Come e' stato evidenziato dalla piu' recente dottrina15, la certificazione del legame organico tra l'ente e la confessione soddisfa, allo stesso tempo, tanto le esigenze della confessione - che vede cosi' tutelata, in sede civile, la propria "identita' strutturale", ossia la propria organizzazione cosi' come autonomamente definita nell'ordinamento confessionale16 -, quanto quelle dello Stato, che vede tutelato il proprio interesse all'individuazione - ed alla delimitazione - della categoria degli enti ecclesiastici, destinatari di una disciplina che e', per certi versi, una disciplina speciale, segnatamente riguardo, come si vedra', ai profili di autonomia degli enti in questione rispetto all'ordinamento statuale.

E', invece, in vista del soddisfacimento di esigenze di carattere esclusivamente statuale che si e' fatto riferimento alla necessita' che, ai fini del riconoscimento giuridico civile, l'ente debba avere la sua sede in Italia. Se, come e' stato osservato, tale previsione e' da riconnettersi logicamente "alla considerazione che l'attribuzione di personalita' giuridica da parte dello Stato puo' essere concessa solo agli enti che abbiano sede nell'ambito del territorio statale"17, non stupisce la mancata menzione del "principio di territorialita'"18 nell'intesa con i valdesi ed in quella con i "pentecostali": infatti, la confessione valdese e' caratterizzata da origini prettamente italiane, ed inoltre ha una diffusione estremamente limitata19, mentre la particolarita' della normativa sugli enti "pentecostali" sta proprio nel fatto che, nella relativa intesa, e' stato previsto il principio del numerus clausus degli enti20, cosi' che non si potra' mai porre, nei confronti di quest'ultima confessione, il problema della creazione di altri enti ecclesiastici civilmente riconosciuti oltre a quelli che sono stati esplicitamente, e nominativamente, considerati dal testo pattizio21, anche se cio' non preclude, naturalmente, la possibilita' di un riconoscimento degli eventuali ulteriori enti secondo le norme del diritto comune22.

Infine, la legge 101/1989 ha previsto per il riconoscimento degli enti ebraici un ulteriore presupposto, anch'esso di carattere squisitamente generale, concretantesi nel "requisito oggettivo"23 dei fini di religione o di culto, ovverosia attivita' dirette - giusta il disposto del gia' esaminato art. 26, comma 2, lett. a) - "all'espletamento del magistero rabbinico, all'esercizio del culto, alla prestazione di servizi rituali, alla formazione dei rabbini, allo stuD-o dell'ebraismo e all'educazione ebraica".

Indubbiamente, nel nuovo sistema risultante dalla legislazione bilateralmente convenuta, il requisito finalistico costituisce la vera ragione d'essere degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti24, e la ratio della specialita' della loro disciplina25, tanto che, in linea di principio, non potrebbe esistere ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che non abbia fine di religione o di culto26.

Questo spiega la cura con cui, in ogni intesa27 - e nella stessa legge 222/1985 -, il legislatore ha specificato quali siano le attivita' da considerarsi "di religione o di culto", e quali invece siano attivita' "diverse": nondimeno, nell'intesa ebraica questa distinzione di attivita' e' stata particolarmente "sofferta"28, attesa la peculiare natura delle comunita' ebraiche, e, come abbiamo gia' avuto modo di vedere nel paragrafo precedente, nei due commi dell'art. 26 della legge 101/1989 risultano evidenti le diverse concezioni fatte proprie dall'ebraismo, da una parte (comma 1), e dallo Stato, dall'altra (comma 2); naturalmente, e' appena il caso di sottolineare che sara' quest'ultima concezione a venire in rilievo al fine del riconoscimento civile degli enti ebraici, come specifica, del resto, lo stesso primo comma dell'art. 21 della legge 101/1989, che espressamente rimanda alla lett. a) del secondo comma dell'art. 2629. Nondimeno, questo esplicito rimando dimostra come, se la rispondenza al fine di religione o di culto dell'attivita' concretamente esercitata dall'ente di cui si chiede il riconoscimento non e' stata rimessa ad una insindacabile valutazione dell'autorita' confessionale, d'altra parte, essa non e' stata nemmeno lasciata ad una illimitata discrezionalita' da parte della pubblica amministrazione30, atteso che e' la stessa legislazione di derivazione pattizia che viene, in questo modo, ad individuare i parametri guida ed i criteri che l'apparato statuale dovra' utilizzare nel corso dell'accertamento31.

Ma questo accertamento non avviene sempre, dal momento che, nel caso delle nuove comunita' ebraiche che vengano a costituirsi - giusta il disposto dell'art. 18, quarto comma, della legge 101/1989 - in aggiunta a quelle gia' esistenti alla data di entrata in vigore della stessa legge - e riconosciute ope legis dal terzo comma del medesimo articolo32 -, e' stata ritenuta sufficiente la domanda congiunta della (costituenda) comunita' e dell'Unione.

La dottrina ha concluso che, in questi casi, il riconoscimento dell'ente-comunita' venga a configurarsi come un vero e proprio atto dovuto da parte della pubblica amministrazione - senza che rilevi, percio', alcun margine di discrezionalita' della stessa in ordine all'accertamento del fine ed alla concessione del riconoscimento -, "giustificato dalla particolare importanza e [...] dalla natura di ente esponenziale della confessione"33, proprie delle comunita' ebraiche. Tanto piu' che il fine di religione o di culto delle comunita' e' stato scolpito una volta per tutte dalla legge stessa nel primo comma dell'art. 18, che ha precisato, come si e' detto nel precedente paragrafo, che le comunita' devono provvedere al soddisfacimento delle esigenze religiose degli ebrei: e se e' pur vero che il comma successivo dello stesso articolo 18 contiene una presa d'atto, da parte dello Stato, delle numerose altre attivita' - diverse rispetto a quelle di religione o di culto - che vengono svolte dalle comunita' ebraiche, cio' non si risolve comunque in una eccezione al "modello normativo" di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, dato che non bisogna dimenticare che tali attivita' "diverse" sono comunque attivita' ulteriori che - come dispone il secondo comma dell'art. 27 - "restano, pero', soggette alle leggi generali dello Stato concernenti tali attivita' e al regime tributario previsto per le medesime".

Piuttosto, qualche dubbio circa la coerenza - sotto il profilo finalistico - con lo schema generale della "ecclesiasticita'" degli enti, puo' sorgere riguardo ad un altro intervento attuato, in materia di enti, dalla legge 101/1989: l'art. 21, infatti, confermando la personalita' giuridica di sette enti ebraici - nominativamente indicati nel secondo comma - aventi precipue finalita' di assistenza e sanita', viene a qualificare anche questi, secondo il terzo comma, come enti ebraici civilmente riconosciuti, pur perseguendo essi, in via principale, finalita' di certo non assimilabili a quelle di religione o di culto, come emerge, peraltro, dalla loro stessa denominazione di asili infantili, orfanotrofi, ospizi ed ospedali.

Parte della dottrina ha rilevato come cio' costituisca una evidente contraddizione "con la nozione di ecclesiasticita' degli enti"34, che ha assunto come elemento caratterizzante proprio il requisito finalistico; tuttavia, altri ha notato come il carattere per certi versi "anomalo" di questa disposizione venga comunque ad essere attenuato, e di molto, dal fatto che essa riguarda pur sempre un numero chiuso, ed estremamente ristretto, di strutture gia' esistenti, mentre non viene minimamente intaccato il principio generale espresso dal primo comma dell'art. 21, secondo cui nuovi enti potranno essere riconosciuti solo in quanto abbiano fini di religione o di culto35.

La denunciata anomalia della disposizione - e cio' viene ammesso dalla stessa dottrina che ha sottoposto a critica la norma36 - sarebbe, d'altra parte, ravvisabile unicamente sul piano formale, dal momento che la gia' citata "norma di salvaguardia" di cui al secondo comma dell'art. 27 assicura comunque, sul piano sostanziale, il rinvio al diritto comune per le attivita' diverse da quelle di religione o di culto, pur se svolte dagli enti ebraici civilmente riconosciuti.

Alcune osservazioni vanno fatte per quanto riguarda la seconda parte del primo comma dell'art. 21, che disciplina la fase conclusiva del procedimento di riconoscimento degli enti ebraici, uniformandosi anche qui ai criteri considerati nelle altre intese: secondo la disposizione de qua, il riconoscimento viene concesso "con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato", e analogamente dispone il quarto comma dell'art. 18, per quanto concerne il riconoscimento di nuove comunita' ebraiche, la modifica delle rispettive circoscrizioni territoriali, nonche' la unificazione e la estinzione di quelle gia' esistenti.

Se sulla competenza del Presidente della Repubblica a concedere il riconoscimento della personalita' giuridica non sussistevano dubbi fino a tutto il 1990, occorre pero' considerare che, nel prosieguo, l'art. 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 1337, nel determinare - con una elencazione espressamente indicata come tassativa, e che "non puo' essere modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso" - gli atti amministrativi che possono essere emanati nella forma del decreto presidenziale - oltre a quelli previsti espressamente dalla Costituzione e quelli relativi all'organizzazione e al personale del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica -, non ha piu' contemplato, tra di essi, il decreto di concessione della personalita' giuridica, mentre il successivo art. 2 ha disposto nel senso che gli atti sottratti, in questo modo, alla competenza presidenziale, debbano essere emanati con decreto del Presidente del consiglio dei Ministri o con decreti ministeriali, "a seconda della competenza a formulare la proposta sulla base della normativa vigente".

Allo stato attuale, dunque, la competenza per la concessione del riconoscimento agli effetti civili deve ritenersi sussistere in capo al Ministero dell'Interno38, e devono considerarsi modificate quelle previsioni pattizie - tra cui, appunto, quelle dell'intesa ebraica - che, essendo anteriori alla legge 13/1991, prevedono invece il riconoscimento nella forma del decreto del Presidente della Repubblica, atteso che, come riferisce la dottrina, sono stati raggiunti degli accordi, seppure informali, con le confessioni religiose stipulanti, circa l'applicazione della legge de qua ai rispettivi enti ecclesiastici39.

Ma piu' spinosa si rivela essere un'altra questione, che sorge dalla riforma dell'attivita' consultiva del Consiglio di Stato, cosi' come operata dall'art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 12740, che ha abrogato ogni disposizione di legge che prevedeva il parere obbligatorio del Consiglio di Stato (comma 26), facendo salvi solo alcuni casi (comma 25), tra i quali non e' stata inclusa l'ipotesi dell'emanazione del decreto ministeriale di riconoscimento della personalita' giuridica.

Invero, non c'e' dubbio che la legge 127/1997 non sia in grado di modificare le disposizioni delle diverse intese sul riconoscimento degli enti confessionali, le quali, a causa della natura "rinforzata" derivante loro dal principio di bilateralita' necessaria, resistono alle modificazioni apportate con legge ordinaria. Tuttavia, alcuni stuD-osi non hanno potuto fare a meno di rilevare come questa difesa della capacita' di resistenza delle disposizioni pattizie alla riforma amministrativa sul punto, fatalmente finisca "per essere controproducente per lo stesso interesse degli enti religiosi al riconoscimento e per assegnare, a posteriori, alle piu' complesse procedure pattizie sul riconoscimento degli enti una carica di sospetto nei confronti di questi ultimi (sospetto che potrebbe legittimare l'aggravio procedurale del parere previo del Consiglio di Stato) di cui, a priori, le norme pattizie erano sicuramente prive", suggerendo, cosi', di procedere quantomeno ad "una interpretazione delle norme pattizie che ne renda possibile l'adattamento automatico alla riforma"41.

Pur riconoscendo come queste conclusioni siano state ispirate, nella citata dottrina, da legittime preoccupazioni per la salvaguardia di quel principio del favor religionis a cui il nostro ordinamento appare indubbiamente ispirato42, non riusciamo, tuttavia, a vedere come sia possibile operare, nel concreto, questo auspicato adattamento automatico delle disposizioni pattizie ai nuovi princi'pi enunciati dalla citata legge di riforma, soprattutto tenendo conto che - come ha rilevato lo stesso Consiglio di Stato -, le disposizioni pattizie, nel caso specifico, non costituiscono delle semplici norme di rinvio a quanto disposto in materia dalle leggi civili, ma prevedono in via autonoma che l'amministrazione possa procedere al riconoscimento solo con l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato43: cio' posto, non si puo' dunque fare altro che auspicare che siano al piu' presto avviate, con l'ebraismo e le altre confessioni interessate, le procedure di rinegoziazione delle disposizioni pattizie rese inattuali dalla riforma amministrativa44.

Ricalcati anch'essi sul "modello normativo" generale degli enti ecclesiastici che risulta dalla legge 222/1985 e dalle intese finora concluse, i diversi livelli di intervento previsti, nel corso dell'esistenza degli enti ebraici civilmente riconosciuti, dall'art. 22 della legge 101/1989, dimostrano come tali enti, agli effetti civili, non rimangano affatto insensibili ad "ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza" che dovesse verificarsi rispetto alla situazione di alcuno di tali enti nell'ordinamento confessionale: infatti, secondo il primo comma, ogni mutamento in tal senso "acquista efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica [ora: del Ministero dell'Interno], udito il parere del Consiglio di Stato".

Gia' nel regime precedente alla revisione del Concordato ed alla "stagione delle intese", la dottrina piu' autorevole - con riferimento agli enti della Chiesa cattolica -, si era interrogata sul se e sul come un mutamento potesse considerarsi "sostanziale"; e, se conveniva sull'esistenza, in materia, di una certa discrezionalita' dell'interprete, era altresi' dell'avviso che, comunque, la relativa indagine dovesse rimanere circoscritta ai soli mutamenti idonei ad interessare lo Stato45.

Su questa linea, e' stato ritenuto che, anche nell'odierno sistema, sembra logico ritenere che i mutamenti "sostanziali" di cui parlano tutte le disposizioni bilateralmente concordate, vadano "apprezzati in base ai parametri statuali che presiedono al riconoscimento degli enti ecclesiastici in generale, e delle singole figure di enti in particolare"46. Dalla casistica, risulta che puo' aversi mutamento sostanziale nel fine quando le attivita' principali dell'ente si spostino dall'una all'altra delle fattispecie classificate, agli effetti civili, come di religione o di culto47, mentre un mutamento nella destinazione dei beni si verificherebbe, ad esempio, nel caso della perdita di una parte rilevante del patrimonio esistente all'epoca del riconoscimento dell'ente48. Possono, invece, integrare casi di mutamento nel modo di esistenza, il cambiamento della denominazione dell'ente49, il trasferimento della sua sede50, oppure il passaggio del controllo sullo stesso da un'autorita' confessionale all'altra51.

Il secondo comma dello stesso articolo 22 prende invece in considerazione l'ipotesi, piu' radicale, del mutamento che importi la perdita, da parte dell'ente, di uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento - pensiamo alla perdita del fine di religione o di culto -, disponendo che in tal caso "puo' essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Presidente della Repubblica [ora: del Ministero dell'Interno], sentita l'Unione e udito il parere del Consiglio di Stato".

Parte della dottrina, raffrontando la disposizione in esame con quelle corrispondenti delle altre intese, e aderendo ad una interpretazione strettamente letterale della stessa - secondo cui il riconoscimento puo' essere revocato -, e' giunta a ritenere che, anche in caso di un mutamento che faccia perdere all'ente ebraico uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento, "il disconoscimento non e' un atto dovuto, ma puo' essere effettuato o meno, e il parere dell'autorita' confessionale e del Consiglio di Stato hanno proprio la funzione di dare alla pubblica amministrazione tutti gli elementi per effettuare una ponderata valutazione discrezionale"52.

Riteniamo, tuttavia, piuttosto discutibile tale conclusione, atteso che, nonostante la lettera della disposizione possa indurre a opinare diversamente, ci pare decisiva la considerazione secondo cui, al venire meno di uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento dell'ente, viene meno la stessa ragione del permanere dello stesso nella categoria degli enti ecclesiastici, per cui non si vede come l'amministrazione dello Stato, una volta constatata l'obliterazione del principio di continuita' dei presupposti di ecclesiasticita' dell'ente, possa conservare una qualche discrezionalita' in merito al disconoscimento dell'ente: e' dunque piu' plausibile ritenere che, anche nei confronti degli enti ebraici, una volta venuto meno uno dei presupposti indispensabili ai fini del riconoscimento degli stessi, la revoca del riconoscimento stesso si ponga, per la pubblica amministrazione, come un atto dovuto53.

Evidentemente diversa dal caso della revoca del riconoscimento dell'ente operata dallo Stato, a causa della perdita di uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento, e' l'ipotesi della soppressione o della dichiarazione di estinzione per altre cause, avvenuta nell'ordinamento confessionale, di un ente ebraico gia' civilmente riconosciuto, alla quale il terzo comma dell'art. 22 della legge 101/1989 dispone che sia data "efficacia civile mediante l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell'organo statutariamente competente che sopprime l'ente o ne dichiara l'avvenuta estinzione". A tale fine - secondo il quarto comma -, l'Unione o la comunita' interessata devono trasmettere il provvedimento confessionale al Ministro dell'Interno "che, con proprio decreto, dispone l'iscrizione di cui al comma 3".

In questo caso, la dottrina e' unanime nel ritenere che non vi sia spazio per alcuna valutazione discrezionale da parte dell'autorita' amministrativa, la quale dovra' limitarsi a dare "esecuzione", nell'ordinamento civile, al provvedimento emanato dall'autorita' confessionale54: indubbiamente, la ratio di questa disposizione e' ravvisabile unicamente nell'adeguamento della condizione civile dell'ente ebraico gia' civilmente riconosciuto a quella che, nel frattempo, si e' venuta delineando nell'ambito dell'ordinamento confessionale, agli evidenti fini della tutela dei terzi e del principio della certezza dei rapporti giuridici55.

Ancora, il quarto comma dell'art. 22 prevede che lo stesso decreto del Ministero dell'Interno debba provvedere alla devoluzione dei beni dell'ente dichiarato estinto, o soppresso, nel rispetto di quanto preveda, in proposito, il provvedimento adottato in sede confessionale, ma facendo salvi, in ogni caso, "la volonta' dei disponenti, i diritti dei terzi, le disposizioni statutarie e osservate, in caso di trasferimento ad altro ente, le leggi civili relative agli acquisti da parte delle persone giuridiche".

In sostanza, secondo la norma, il parere dell'organo confessionale che provvede alla soppressione o alla dichiarazione di estinzione dell'ente - l'Unione o della comunita' interessata -, e' da considerarsi vincolante anche per quanto riguarda la destinazione della massa patrimoniale dell'ente soppresso o dichiarato estinto, ne' puo' essere ammesso un intervento in via autonoma da parte della pubblica amministrazione, se non nelle indicate ipotesi-limite, che si risolvono nell'obliterazione di diritti fondamentali del nostro ordinamento giuridico, di violazione della volonta' dei fondatori dell'ente, o delle norme statutarie dello stesso, o, ancora, dei diritti acquisiti dai terzi56.

Ma quello che, ora, va piu' sottolineato di questa disposizione, e' senz'altro l'espresso richiamo alle leggi civili relative agli acquisti delle persone giuridiche. Lo stesso rinvio a queste leggi e' operato anche dalla disposizione, di applicazione piu' generale, del terzo comma dell'art. 25, secondo la quale, in ordine all'acquisto di beni immobili, all'accettazione di eredita' e donazioni, nonche' al conseguimento di legati da parte degli enti ebraici civilmente riconosciuti, vanno applicate, appunto, "le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche".

Fino non molto tempo fa, l'applicazione delle leggi civili sugli acquisti delle persone giuridiche costituiva una pietra angolare "al centro della disciplina degli enti ecclesiastici"57, che ribadiva la validita', anche nei confronti di questi, di una regola generale del nostro ordinamento, volta ad impedire la concentrazione in poche mani del potere economico, ed il cumulo e l'immobilizzazione di grandi ricchezze per un lunghissimo tempo: a questa stregua, ogni acquisto tra persone giuridiche richiedeva la previa autorizzazione della pubblica amministrazione, a pena dell'annullabilita' dello stesso atto di alienazione. L'autorizzazione era necessaria in tutti i casi in cui vi fosse un incremento di patrimonio della persona giuridica in conseguenza dell'acquisto di beni immobili - sia a titolo gratuito, che a titolo oneroso -, facendo rientrare tra gli acquisti a titolo oneroso anche gli immobili acquistati tramite permuta58. Se l'acquisto era a titolo gratuito, l'autorizzazione era, poi, richiesta indipendentemente dalla natura del bene, mentre non era necessaria per l'acquisto a titolo oneroso di beni mobili: e qui la normativa dimostrava tutta la propria obsolescenza, atteso che, allo stato attuale, e' proprio la ricchezza mobiliare a costituire la parte piu' rilevante dell'economia del nostro Paese59. Ma cio' non stupisce piu' di tanto, dato che la normativa in parola trovava le sue radici nel secolo scorso, fino alla legge Siccardi del 185060, che, all'epoca, costituiva sicuramente un valido strumento di politica economica, quando la parte piu' cospicua della ricchezza nazionale era costituita, appunto, dal patrimonio immobiliare.

Con la riforma della pubblica amministrazione, attuata con la gia' citata legge 127/1997, il legislatore e' intervenuto in modo drastico anche sull'istituto dell'autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche. L'art. 13 della legge di riforma ha, infatti, abrogato tutte le disposizioni - tra le quali, anche l'art. 17 cod. civ. - che prevedevano l'autorizzazione governativa per l'acquisto di beni immobili e per l'accettazione di eredita' e legati da parte delle persone giuridiche, con l'effetto di provocare, come e' stato efficacemente sottolineato, "una vera e propria scossa tellurica nei confronti della legislazione pattizia"61: infatti, venute meno le norme che prescrivevano le autorizzazioni agli acquisti, devono considerarsi percio' stesso parzialmente "esaurite" le disposizioni di rinvio previste dalle diverse intese62, con la conseguenza che, per quanto riguarda la confessione ebraica, il quarto comma dell'art. 22, ed il terzo comma dell'art. 25 della legge 101/1989, rimangono in vita limitatamente al richiamo delle norme civili attinenti agli acquisti delle persone giuridiche, ma diverse dalla materia dell'autorizzazione governativa63, mentre viene, correlativamente, a dilatarsi il principio della non ingerenza degli organi dello Stato nell'amministrazione degli enti ebraici, consacrato nei primi due commi dell'art. 25.

Passando, ora, all'esame dell'art. 23 della legge 101/1989, esso esordisce con un elenco dettagliato di ventuno enti ebraici, specificando che devono considerarsi soppressi con l'entrata in vigore della legge stessa, mentre, nel secondo comma, una norma transitoria prevedeva la possibilita' di sopprimere altri enti ebraici - mediante delibera dei rispettivi organi amministrativi - entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge.

Il terzo comma dello stesso articolo ha disposto il trasferimento, in favore delle comunita' di appartenenza, dei cespiti patrimoniali degli enti soppressi, mentre il quarto comma prevedeva l'esenzione "da ogni tributo ed onere" dei trasferimenti e di tutti gli adempimenti necessari a norma di legge, che venissero effettuati entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge.

Una disposizione cosi' particolare e dettagliata su singoli enti costituisce, indubbiamente, la piu' efficace testimonianza degli sforzi compiuti da parte dello Stato, e dell'ebraismo italiano, nel processo di ristrutturazione degli enti ebraici, volto ad accentuare in modo sostanziale il ruolo delle comunita', anche nei settori dell'assistenza e dell'istruzione64: la situazione preesistente all'intesa, infatti, vedeva la presenza - oltre che dell'Unione e delle varie comunita' su base territoriale -, di tutta una serie di enti minori, di carattere religioso ma al contempo con diverse caratterizzazioni culturali ed assistenziali, molti dei quali, nel periodo liberale, avevano ottenuto il riconoscimento ai sensi del diritto comune, tanto che se la loro denominazione richiamava l'origine ebraica, nondimeno la loro esistenza veniva disciplinata unicamente dall'ordinamento statuale, per il quale era del tutto irrilevante la posizione che essi occupavano nell'ambito dell'ordinamento confessionale65.

Questa situazione sarebbe stata insostenibile alla luce dello statuto del 1987, secondo il quale e' la comunita' l'ente istituzionalmente competente a gestire e ad organizzare orfanotrofi, scuole, ospedali e case di riposo, ed e' sempre la comunita' che esercita una funzione di vigilanza e di controllo sugli enti ebraici di carattere locale, tale da permetterle di assumersi - ricorrendone i presupposti - anche l'amministrazione degli stessi: cio' che non sarebbe stato possibile, ovviamente, nei confronti degli enti ebraici sottoposti al diritto comune dello Stato66.

Proprio per questo, se, per un verso, il secondo comma dell'art. 21 ha confermato la personalita' giuridica a sette di questi "enti ebraici locali", per altro verso, come abbiamo appena visto, l'art. 23 ha optato per una piu' radicale soluzione di "conglobamento" degli enti minori nelle rispettive comunita', ed ha confermato, cosi', la prevalenza delle stesse sugli enti che ne esercitano in parte le finalita', "prediligendo quel sistema organico su cui si basa l'ebraismo e che e' costituito dalla Comunita', intesa quale ente di riferimento anche per ogni altra persona giuridica esistente sul proprio territorio"67.

Con l'art. 24, la legge 101/1989 prevede la necessita' di dare una adeguata pubblicita' all'esistenza di tutte le persone giuridiche ebraiche: questa si realizza, secondo quanto dispone il primo comma, mediante la obbligatoria iscrizione dell'Unione, delle diverse comunita', e degli altri enti ebraici civilmente riconosciuti, nel registro delle persone giuridiche istituito presso i Tribunali. A tale fine, il secondo comma prescrive che l'Unione e le comunita' debbano depositare "lo Statuto dell'ebraismo italiano indicando le rispettive sedi, il cognome e nome degli amministratori, con la menzione di quelli ai quali e' attribuita la rappresentanza", mentre per gli altri enti ebraici civilmente riconosciuti68, il terzo comma prevede che dal registro dovranno comunque risultare, "con le indicazioni prescritte dagli articoli 33 e 34 del codice civile, le norme di funzionamento e i poteri degli organi di rappresentanza di ciascun ente".

Indubbiamente, la ratio dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche e' quella di rendere conoscibili - e quindi opponibili -, ai terzi che entrino in rapporti con gli enti ebraici, le norme che regolano il funzionamento dei medesimi nell'ambito dell'ordinamento della confessione, soprattutto con riguardo ai controlli esercitati dalle autorita' confessionali, alla sussistenza dei quali, secondo lo stesso ordinamento confessionale, siano condizionate la validita', e l'efficacia, degli atti stipulati tra i detti terzi e gli enti in questione69.

Non bisogna sottovalutare, invero, l'ampia sfera di autonomia che, come abbiamo anticipato, il nuovo sistema ha riconosciuto agli enti ecclesiastici di tutte le confessioni, e che - per quanto concerne piu' specificamente quelli ebraici -, bene e' stata riassunta dall'art. 25 della legge 101/1989, che al primo comma precisa che l'attivita' di religione e di culto dell'Unione, delle comunita' e degli altri enti si svolge "a norma dello Statuto dell'ebraismo italiano e degli statuti dei predetti enti, senza ingerenze da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali", aggiungendo, al secondo comma, che gli atti di gestione ordinaria e straordinaria dei detti enti sono sottoposti esclusivamente al controllo dei competenti organi confessionali, anche qui a norma dello statuto e "senza ingerenze da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali": d'altronde, proprio per questo gli enti ebraici civilmente riconosciuti possono essere definiti come "enti ecclesiastici", sottolineando come, nel momento in cui perseguono fini di religione o di culto, non possono essere fatti oggetto di alcun controllo da parte dello Stato70. E abbiamo visto poc'anzi come, oggi, questa sfera di autonomia si sia ulteriormente espansa in seguito alla scomparsa, dal nostro ordinamento, dell'istituto dell'autorizzazione governativa agli acquisti delle persone giuridiche.

L'art. 24 della legge 101/1989, allora, a buon diritto puo' essere visto come una norma di bilanciamento, e di coordinamento, dei princi'pi enunciati nell'articolo successivo con le ineludibili esigenze di certezza del diritto - che si manifestano nel momento in cui un soggetto estraneo all'ordinamento confessionale entra in rapporto con lo stesso -, dal momento che, con l'istituto della registrazione, garantisce la conoscenza "esterna" della struttura degli enti e dei controlli confessionali sugli stessi, venendo in tal modo ad assicurare, in ultimo, proprio la certezza dei rapporti giuridici71, avviando a soluzione, nello stesso tempo, la dibattuta problematica - nata in passato con riguardo ai controlli previsti dal diritto canonico sugli enti della Chiesa cattolica, ma oggi di attualita' per tutte le confessioni -, della rilevanza nell'ordinamento civile dei controlli confessionali72, che costituisce oggi una delle piu' evidenti esplicazioni dell'autonomia statutaria delle confessioni religiose73.

Nei confronti degli enti ebraici la cui personalita' giuridica e' stata confermata - o riconosciuta - dalla stessa intesa, il primo comma dell'art. 24 aveva fissato un termine - due anni dall'entrata in vigore della legge di approvazione - per adempiere all'obbligo di iscrizione nel suddetto registro, decorso il quale, secondo il quinto comma, essi non avrebbero potuto concludere negozi giuridici se non previa iscrizione. Nell'opinione di una accreditata dottrina, anche i nuovi enti ebraici che vengano a costituirsi in persona giuridica dopo l'entrata in vigore della legge 101/1989, in mancanza della loro iscrizione nel registro delle persone giuridiche, sarebbero privi della facolta' di concludere negozi giuridici agli effetti civili74: tuttavia, una lettura siffatta del combinato disposto del primo e del quinto comma dell'art. 24 contrasterebbe con la disposizione del quarto comma dello stesso articolo75, secondo cui ai fini della registrazione, all'Unione, alle comunita', come a tutti gli altri enti ebraici civilmente riconosciuti, non puo' essere fatto "un trattamento diverso da quello previsto per le persone giuridiche private", ed e' noto che l'art. 33 cod. civ., nel caso della mancata registrazione di una persona giuridica riconosciuta, prevede non il difetto di legittimazione negoziale della stessa, ma la responsabilita' personale e solidale dei suoi amministratori - insieme a quella della persona giuridica stessa - per le obbligazioni assunte. Su questa linea, altri autori hanno quindi sostenuto una interpretazione restrittiva della deroga al regime generale prevista dal quinto comma dell'art. 24, limitando la sanzione del "congelamento" dell'attivita' negoziale ai soli enti gia' riconosciuti prima dell'entrata in vigore della legge 101/1989 - quelli che, naturalmente, non abbiano ancora ottemperato all'onere della registrazione -, che sono stati i soli a risentire del passaggio dal vecchio al nuovo regime, e che proprio per questo dovrebbero essere maggiormente "sollecitati" ad iscriversi, facendo fronte ad un obbligo che prima della stessa legge era, nei loro confronti, inesistente76.

Ancora con riferimento agli enti ebraici, rimane da esaminare la loro regolamentazione agli effetti tributari: in proposito, il primo comma dell'art. 27 della legge 101/1989, dispone che "agli effetti tributari, l'Unione, le Comunita' e gli enti ebraici civilmente riconosciuti aventi fini di religione o di culto, come pure le attivita' dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fini di beneficenza o di istruzione".

La disposizione e' assai risalente, dal momento che gia' l'art. 12 del R.D. 289/1930 aveva equiparato, agli effetti tributari, i fini di culto delle persone giuridiche che fossero emanazione dei "culti ammessi", a quelli di beneficenza e di istruzione, cosi' che la normativa pattizia non prevede "privilegi tributari" nuovi, o diversi, da quelli che erano gia' propri del precedente regime, e derivanti appunto dalla equiparazione delle finalita' di religione o di culto a quelle di beneficenza o di istruzione77: possiamo citare, a titolo di esempio, il beneficio dell'esenzione dalle imposte di successione e dall'INVIM, mentre l'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) viene ridotta del cinquanta per cento78.

Ma, almeno secondo la dottrina piu' accreditata, la norma della legge 101/1989 avrebbe comunque una portata piu' ampia della precedente, nel senso che, con essa, le agevolazioni tributarie derivanti dalla suddetta equiparazione sarebbero state estese anche agli enti ebraici privi del riconoscimento statuale come persone giuridiche, nonche' agli enti ebraici riconosciuti in base alle norme del diritto comune: questo in virtu' della lettera della norma de qua, la quale ha equiparato ai fini di beneficenza o di istruzione non solo i fini di religione o di culto, ma anche le attivita' dirette a tali scopi79.

Sempre per quanto riguarda il richiamo ai fini di religione o di culto - e alle attivita' dirette a tali scopi -, e' appena il caso di notare come esso rappresenti una chiara conferma dei limiti che definiscono il regime di specialita' degli enti ecclesiastici, e che risultano qui estesi alla materia tributaria: infatti, anche qui il requisito finalistico delimita il confine oltre il quale le agevolazioni tributarie previste per questa categoria di enti non possono evidentemente trovare applicazione, indicando, al contempo, il fondamento stesso del regime agevolato, che riguarda gli enti - eccettuate l'Unione e le comunita', il cui fine di religione o di culto, come si e' visto, e' presunto ex lege - non tanto in ragione della loro derivazione dall'ordinamento confessionale, ma piuttosto in quanto perseguano i fini indicati80. E coerentemente, percio', il secondo comma dell'art. 27, gia' precedentemente esaminato, ha disposto che tali enti conservano comunque il "diritto di svolgere liberamente attivita' diverse da quelle di religione o di culto che restano, pero', soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attivita' e al regime tributario previsto per le medesime".

E' da dire, ancora, che solo ultimamente il ventaglio delle agevolazioni tributarie agli enti ecclesiastici si e' sostanzialmente allargato, come effetto indiretto del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 46081, che, delineando la categoria delle "organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" (ONLUS), vi ha inserito, tra l'altro, "gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese" (art. 10, comma 9).

Nel sistema delineato dal D.Lgs. 460/1997, le ONLUS sono destinatarie di agevolazioni in materia di imposte sui redditi - per le quali si esclude sia la natura commerciale dello "svolgimento delle attivita' istituzionali nel perseguimento di esclusive finalita' di solidarieta' sociale", sia il concorso alla formazione del reddito imponibile dei "proventi derivanti dall'esercizio delle attivita' direttamente connesse" - e sul valore aggiunto, e di una serie di esenzioni dal pagamento dell'imposta di bollo, delle tasse sulle concessioni governative e dell'imposta sulle successioni e donazioni, oltre a molte altre esenzioni ed agevolazioni di vario genere, di cui non e' possibile qui dare conto82, ma a cui sembrano fare da "contrappeso" le condizioni imposte per la concreta fruizione delle stesse: segnatamente, la tenuta di una specifica contabilita', la redazione di bilanci e rendiconti annuali, e l'onere di iscrizione nell'anagrafe delle ONLUS, istituita presso il Ministero delle Finanze.

La dottrina piu' recente non ha potuto fare a meno di giudicare positivamente il sistema delineato con il decreto del 1997, poiche' se, da un lato, l'ampliamento del numero dei possibili soggetti destinatari delle agevolazioni tributarie ha ridotto, e di molto, "le eventuali "tentazioni" di perseguire strumentalmente il riconoscimento della personalita' giuridica come ente ecclesiastico, in quanto tale qualifica non si presenta come la sola [...] per conseguire nell'esercizio di determinate attivita' un congruo numero di agevolazioni tributarie", dall'altro lato, si sono imposti "anche agli enti ecclesiastici regole ed oneri [...] che sembrano funzionali ad assicurare una maggiore trasparenza della gestione e a supplire in qualche misura [...] all'obsoleto ed ormai abrogato controllo sugli acquisti"83, anche se non e' sfuggita, agli stuD-osi, la possibile questione di costituzionalita' della norma che ha previsto la parificazione alle ONLUS unicamente degli enti delle confessioni che abbiano stipulato patti, accordi o intese con lo Stato84.

Peculiare dell'intesa ebraica e di quella con la Tavola valdese85, il tema delle c.d. "istituzioni ebraiche di assistenza" viene preso in considerazione dall'art. 29 della legge 101/1989, che al primo comma, con una norma dal taglio prettamente garantistico, prevede che per gli ebrei assistiti da istituzioni ebraiche che svolgono attivita' assistenziale e sanitaria, rimane impregiudicato "il godimento dei diritti riconosciuti dalle leggi civili nella specifica materia" - configurando cosi' l'esercizio di funzioni sanitarie o assistenziali da parte degli enti ebraici, solamente come una forma ulteriore di assistenza, prestata nei confronti dei propri appartenenti -, mentre il secondo comma si preoccupa di precisare che alle predette istituzioni, comunque, non puo' essere riservato "un trattamento diverso da quello che le leggi civili prevedono per altre istituzioni private che erogano servizi assistenziali e sanitari", ribadendo, cosi', "una regolamentazione comune ed un principio di uguaglianza di trattamento per ogni istituzione privata che si prefigga quelle finalita'"86.

Gli ulteriori profili di disciplina delle istituzioni ebraiche di assistenza, cosi' come vengono configurati nel terzo comma dell'art. 29, sono gia' stati specificamente considerati trattando della questione dell'assistenza religiosa nell'ambito delle strutture e delle istituzioni segreganti, per cui, ad evitare ridondanze e ripetizioni, non possiamo che rinviare a quanto e' gia' stato scritto in quella sede87.

Note:

  1. In questo senso, oltre alla dottrina citata supra, § 4.9, cfr. anche R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 370 s.Torna
  2. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 301.Torna
  3. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti. Standards normativi e modelli giurisprudenziali, Torino, 1997, p. 105.Torna
  4. V. l'art. 12, L. 449/1984; l'art. 23, L. 516/1988; l'art. 14, L. 517/1988; l'art. 11, L. 116/1995, e l'art. 19, L. 520/1995.Torna
  5. P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, Milano, 1992, p. 11, in nota.Torna
  6. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 200, e R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 347.Torna
  7. Cfr. ancora P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., p. 11, in nota.Torna
  8. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 344. Secondo P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, p. 13, interrogarsi sulla validita' intrinseca dell'aggettivo "ecclesiastici" per designare, in modo onnicomprensivo, gli enti confessionali che godono della disciplina che stiamo per delineare, porta a concludere che l'aggettivazione de qua risulta palesemente insufficiente, ed inadeguata, ad indicare le molteplici espressioni "entificate" delle confessioni religiose, tanto che G. Fubini, voce Enti ecclesiastici, cit., p. 1, ha suggerito l'uso di termini piu' "neutri". In questo senso si muovono le recenti intese stipulate con i testimoni di Geova e con i buddhisti: infatti, la prima - pur essendo stata conclusa con una confessione di derivazione cristiana -, all'art. 10, parla semplicemente di "enti della confessione", mentre nell'art. 11 dell'intesa con i buddhisti, l'espressione usata e' quella di "enti religiosi".Torna
  9. V. gli artt. 12 s., L. 449/1984; gli artt. 19 ss., L. 516/1988; gli artt. 13 ss., L. 517/1988; gli artt. 1 ss., L. 116/1995; gli artt. 17 ss., L. 520/1995; gli artt. 10 ss. dell'intesa con i testimoni di Geova, e gli artt. 10 ss. dell'intesa con i buddhisti.Torna
  10. P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., p. 12.Torna
  11. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 347.Torna
  12. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 307.Torna
  13. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., pp. 200 s.Torna
  14. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 248.Torna
  15. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., pp. 107 s.Torna
  16. In senso conforme cfr. anche G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 200.Torna
  17. Cosi', P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., p. 81.Torna
  18. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 333.Torna
  19. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 85, che ricorda, tuttavia, come la Tavola valdese abbia concluso l'intesa in rappresentanza anche della confessione metodista, di origine inglese, e con una piu' diffusa comunita' di adepti.Torna
  20. Su questo punto, cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 205.Torna
  21. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 358.Torna
  22. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., pp. 302 s.Torna
  23. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 307. Cfr. anche A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., pp. 327 s.Torna
  24. Cfr. A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 419.Torna
  25. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 363.Torna
  26. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 335.Torna
  27. Tuttavia, nell'intesa con i valdesi manca una articolata distinzione tra le varie attivita' degli enti della confessione: secondo R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 364 s., la ragione sembra essere "solo quella della stipulazione dell'intesa in epoca precedente alla elaborazione della disciplina di default in materia".Torna
  28. Cosi', G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 202.Torna
  29. V. supra, § 4.9.Torna
  30. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 363.Torna
  31. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 335, e P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., p. 115.Torna
  32. V. supra, § 4.9.Torna
  33. Cosi', R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 363 s., che parla di una presunzione assoluta (iuris et de iure), operata dal sistema pattizio, circa la sussistenza del fine di religione o di culto in capo agli enti esponenziali della Chiesa cattolica e delle altre confessioni di minoranza. Contra, cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 148, che, anche nel caso di riconoscimento della personalita' giuridica agli enti "costituzionali" delle confessioni religiose, ritiene che l'autorita' civile ben possa procedere all'accertamento dell'attivita' concretamente esercitata, negando il riconoscimento nel caso dalla disamina condotta emerga che il fine di culto e' assente.Torna
  34. Cosi', P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 134.Torna
  35. In questo senso, cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 342.Torna
  36. Cfr., infatti, P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., pp. 134 s.Torna
  37. In G.U., 17 gennaio 1991, n. 14.Torna
  38. Su questo punto la dottrina e' unanime: cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 355, F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 299, C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 333, e P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., specialmente p. 150 e p. 91, dove l'A. rileva, tra l'altro, la non necessita' di un ulteriore accordo tra lo Stato e le confessioni religiose per modificare le rispettive disposizioni pattizie, perche' queste, nella sostanza, sono da considerarsi come meramente ricognitive, o dichiarative, "dell'autorita' statale cui ordinariamente spetta il potere di concessione della personalita' giuridica, gia' individuata nel Presidente della Repubblica dalla piu' generale previsione formulata nell'art. 12 del Codice civile". In effetti, come concorda P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 142, in nota, "puo' dirsi che l'impegno formulato in sede pattizia a carico dello Stato e' quello di riconoscere gli enti ecclesiastici, qualora ricorrano tutte le condizioni ed i requisiti previsti al riguardo; mentre rimane nella piena disponibilita' dello Stato la scelta dell'atto con il quale procedere al riconoscimento, nel rispetto sempre delle condizioni enucleate in sede pattizia".Torna
  39. Cfr., infatti, C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 333, anche in nota, e Id., Alcune innovazioni in materia di enti ecclesiastici, in QDPE, 1997/3, pp. 915 ss.Torna
  40. In G.U., 17 maggio 1997, n. 113, suppl. ord.Torna
  41. Cosi', R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 361 s.Torna
  42. V. supra, § 3.1.Torna
  43. Cons. Stato, Sez. I, par. 30 settembre 1997, n. 1041, citato da R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 361.Torna
  44. e' appena il caso di notare come le recenti intese concluse con i testimoni di Geova (art. 10, comma 1) e con i buddhisti (art. 10), che attendono tuttora di essere tradotte in legge, non abbiano piu' previsto l'intervento del parere del Consiglio di Stato nella procedura volta al riconoscimento dei rispettivi enti.Torna
  45. Cfr. A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., pp. 314 s.Torna
  46. Cosi', P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 218.Torna
  47. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 219.Torna
  48. Cfr. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 369 s.Torna
  49. Cons. Stato, Sez. I, par. 11 ottobre 1989, n. 1727, in QDPE, 1990/1, p. 741.Torna
  50. Cons. Stato, Sez. I, par. 28 giugno 1989, n. 1174/89, in QDPE, 1990/1, p. 741.Torna
  51. Cons. Stato, Sez. I, par. 20 marzo 1991, n. 627, in QDPE, 1991 92/1, p. 539. Cfr. anche P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 218.Torna
  52. Cosi', V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 87, che estende la stessa considerazione fatta per gli ebrei anche all'art. 19, comma 2, L. 517/1988 (la cui formulazione ricalca quella dell'intesa ebraica, secondo cui il riconoscimento puo' essere revocato), mentre ritiene che il disconoscimento sia un atto dovuto nei confronti degli enti valdesi ed avventisti, in ossequio alla formulazione letterale dell'art. 12, comma 7, L. 449/1984 (secondo cui il mutamento dei fini dell'ente comporta la revoca del riconoscimento), e dell'art. 27, comma 2, L. 516/1988 (che dispone che, in caso di mutamento che faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento, il riconoscimento stesso e' revocato). Le piu' recenti intese con i battisti e i luterani si esprimono negli stessi termini dell'intesa ebraica (v. l'art. 15, comma 2, L. 116/1995, e l'art. 20, comma 2, L. 520/1995), e cosi' anche l'art. 13, comma 2, dell'intesa con i buddhisti, mentre invece l'art. 15, comma 2, dell'intesa con i testimoni di Geova riprende la disposizione dell'intesa con gli avventisti.Torna
  53. Sostanzialmente su questa linea, cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 249.Torna
  54. Cfr., per tutti, C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., e P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 217.Torna
  55. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 217.Torna
  56. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., pp. 249 s.Torna
  57. C. Cardia, Alcune innovazioni in materia di enti ecclesiastici, cit., p. 932. Si vedano le corrispondenti disposizioni delle altre intese: l'art. 12, comma 4, L. 449/1984; l'art. 25, comma 2. L. 516/1988; l'art. 16, comma 2, L. 517/1988; l'art. 12, comma 2, L. 116/1995, e l'art. 23, comma 2, L. 520/1995.Torna
  58. Cons. Stato, Sez. I, par. 6 febbraio 1987, n. 856/86, in QDPE, 1987, pp. 395 ss.Torna
  59. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 367.Torna
  60. V. supra, § 2.1.Torna
  61. Cosi', C. Cardia, Alcune innovazioni in materia di enti ecclesiastici, cit., p. 937.Torna
  62. In questo senso, cfr. C. Cardia, Alcune innovazioni in materia di enti ecclesiastici, cit., p. 932, e F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 369.Torna
  63. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 369.Torna
  64. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 251.Torna
  65. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 204.Torna
  66. Cfr. ancora G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 204.Torna
  67. Cosi', P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., pp. 251 s.Torna
  68. A prescindere dalla specifica questione dell'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, gli altri enti ebraici civilmente riconosciuti dovranno, comunque - ai sensi del secondo comma dell'art. 20 - depositare il proprio statuto, e ogni sua eventuale modifica, presso il Ministero dell'Interno, il quale, secondo il successivo terzo comma, rilascera' copia di tali atti, attestandone la conformita' al testo depositato.Torna
  69. Cfr., per tutti, F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 365.Torna
  70. Cfr. P. Ronzani, L'attuale rilevanza delle Comunita' ebraiche italiane, cit., p. 254.Torna
  71. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 193.Torna
  72. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 372, e P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 193. Sostanzialmente nello stesso senso, cfr. anche A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., pp. 421 s.Torna
  73. Cfr. P. Picozza, L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., p. 153.Torna
  74. In questo senso, cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 372, che richiama a conforto della tesi la circolare del Ministero dell'Interno 28 ottobre 1987, n. 64.Torna
  75. In questo senso, se ben s'interpreta, argomenta infatti P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 197.Torna
  76. Al di la' di quest'ultima considerazione, propende per tale soluzione C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 372.Torna
  77. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 349.Torna
  78. Cfr. A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 353. Una disamina piu' particolareggiata delle agevolazioni in parola e' effettuata da F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., pp. 374 ss., e da P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., pp. 245 ss.Torna
  79. Cfr., in questo senso, F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 374, che riferisce queste considerazioni, oltre che all'art. 27, comma 1, L. 101/1989, anche all'art. 7, comma 3, del nuovo Concordato, e all'art. 23, comma 1, L. 516/1988.Torna
  80. Cfr. P. Floris, L'ecclesiasticita' degli enti, cit., p. 240, e A. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico, cit., p. 328.Torna
  81. In G.U., 2 gennaio 1998, n. 1, suppl. ord.Torna
  82. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 377.Torna
  83. Cosi', R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 386.Torna
  84. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 377.Torna
  85. V. l'art. 9, L. 449/1984.Torna
  86. Cosi', V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 95.Torna
  87. V. supra, § 4.5.Torna

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