4.11. Il sistema di finanziamento della confessione ebraica. La svolta del 1996.

Per quanto concerne il finanziamento della confessione ebraica, abbiamo gia' avuto modo di vedere1 come il terzo comma dell'art. 2 della legge 101/1989 abbia dichiarato come libere, e non soggette ad alcun onere, le raccolte di fondi eseguite all'interno ed all'ingresso dei luoghi di culto, cosi' come nelle sedi delle comunita' ebraiche e dell'Unione.

Invero, la disposizione ha una portata meno rilevante di quanto possa apparire ictu oculi, dal momento che gia' l'art. 3, comma 7, della legge 18 novembre 1981, n. 6592, aveva "liberalizzato" l'effettuazione delle collette, espungendo dall'ordinamento l'art. 156 del T.U. di pubblica sicurezza del 1931, che sanzionava penalmente l'inosservanza delle prescrizioni derivanti - in materia di collette effettuate in ambito ecclesiastico - dalla legislazione sui culti ammessi, per il cui art. 3 anche la raccolta di fondi da parte del ministro di culto era subordinata alla approvazione governativa dello stesso.

Nondimeno, si puo' comunque guardare alla disposizione di cui all'art. 2, terzo comma, della legge 101/1989, come ad una norma rafforzativa, a livello pattizio, di questa possibilita' di fund raising, che in tal modo l'ebraismo italiano si e' voluto garantire contro eventuali revirement del legislatore3.

Se, come si e' dianzi detto, la norma dell'intesa ebraica sulle collette non e' del tutto pleonastica, di certo non e' questo il profilo innovativo del finanziamento delle confessioni religiose che emerge dal complesso della legislazione di derivazione pattizia: in effetti, la vera e propria "invenzione" del legislatore pattizio e' ravvisabile in un altro istituto, costituito dal c.d. sistema dell'otto per mille, che, com'e' noto, consiste nella possibilita', per le confessioni religiose, di ricevere una quota-parte del gettito IRPEF annuale, determinata in proporzione alle relative indicazioni dei contribuenti. Tale istituto e' divenuto, col tempo, il modello a cui le confessioni religiose si sono ispirate sempre di piu' nel disciplinare i propri rapporti finanziari con lo Stato, tanto che, allo stato attuale, esso sembra essere divenuto il "modello normativo primario della disciplina dei rapporti finanziari tra Stato e confessioni religiose"4.

Se e' vero che la nuova normativa derivante dalle intese considera le confessioni religiose come ordinamenti giuridici originari, cioe' non derivati da quello dello Stato5, non puo' essere posto in dubbio come proprio da tale considerazione derivi, come corollario, il principio che esclude ogni ingerenza di parte statuale nella regolamentazione e negli affari interni di ogni confessione; nondimeno, come e' stato efficacemente evidenziato da parte della dottrina, questo principio di autonomia delle confessioni religiose non esclude, di per se', la partecipazione dello Stato alle spese delle confessioni stesse6.

E il sistema dell'otto per mille proprio questo realizza, la partecipazione dello Stato al finanziamento delle confessioni religiose, seppure attraverso un meccanismo del tutto peculiare7, e questo ci porta al motivo per cui, fino a tempi recenti, questo sistema ha incontrato la ferma opposizione dell'ebraismo italiano.

La confessione ebraica, infatti, si e' sempre sostenuta autonomamente, attraverso i contributi che gli ebrei versano alla comunita' di appartenenza, rivendicando anzi questi profili di autonomia finanziaria come tratti specifici della propria identita'. Il sistema del R.D. 1731/1930 era caratterizzato dal principio dell'appartenenza obbligatoria alla comunita' di tutti gli ebrei residenti nel territorio della stessa, principio da cui si faceva discendere la natura obbligatoria del contributo che ogni iscritto doveva alla comunita' stessa, che, ai sensi dell'art. 29 della medesima legge, veniva riscosso "con le forme e con i privilegi stabiliti per la riscossione delle tasse comunali", cio' che configurava dei veri e propri privilegia fisci in favore delle comunita' ebraiche8.

Venuta meno - con la piu' volte citata sentenza 239/1984 della Corte costituzionale - l'obbligatorieta' dell'appartenenza alla comunita', veniva anche meno, automaticamente, la natura obbligatoria del contributo annuale: abbiamo gia' visto9 che le trattative con il Governo per giungere all'intesa, nelle more della decisione della Corte costituzionale, furono sospese su richiesta degli stessi vertici dell'ebraismo italiano, i quali ritennero che fosse piu' saggio ed opportuno predisporre subito un ulteriore progetto, che non contemplasse piu' il principio di obbligatorieta' dell'appartenenza alla comunita', per non correre il rischio di giungere alla conclusione di un'intesa che, successivamente, si sarebbe potuta facilmente rivelare in conflitto con la Carta costituzionale.

Da parte della delegazione governativa, anche allo scopo di uniformare il piu' possibile le disposizioni afferenti alle diverse confessioni, fu proposta all'Unione la partecipazione al riparto dell'otto per mille dell'IRPEF, a condizione che anche essa accettasse di sottoporre le spese delle comunita' al controllo statale10, ma l'Unione rifiuto' recisamente, e per svariati motivi, la proposta: innanzitutto, perche' il sistema proposto era ancorato ad una quota fissa del gettito IRPEF, e non alle esigenze, autonomamente stabilite, delle diverse comunita'11. Tale sistema, inoltre - almeno cosi' come delineato dal terzo comma dell'art. 47 della legge 222/1985 -, non era gradito all'ebraismo italiano a causa del c.d. "meccanismo di trascinamento" che veniva a realizzare prevedendo, in caso di scelte inespresse da parte dei contribuenti, la destinazione in base alle scelte espresse, con il risultato del finanziamento di una confessione religiosa anche da parte di chi non l'avesse espressamente voluto, cio' che sembrava incompatibile con gli stessi princi'pi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 239/198412. Infine, si era sottolineato come lo stesso meccanismo operasse come una sorta di referendum, in quanto il cittadino non veniva a devolvere l'otto per mille del proprio reddito imponibile ai fini dell'IRPEF, ma partecipava ad una specie di votazione sulla ripartizione complessiva13.

Come e' stato rilevato dalla dottrina, peraltro, oltre a questi motivi, altri due ordini di preoccupazioni avevano influito profondamente sulla scelta dell'Unione, la prima delle quali era legata al timore che gli iscritti alle comunita', una volta liberati dalla adesione obbligatoria, con la devoluzione dell'otto per mille dell'IRPEF potessero sentirsi in qualche modo "sollevati" da ogni ulteriore dovere nei confronti della comunita' di appartenenza, "facendo cosi' venir meno il sistema contributivo sul quale si basava la vita comunitaria, senza possibilita' di intervento "coattivo" da parte delle comunita' stesse"14.

Ancora di piu' grande momento, sebbene connessa con la precedente, la seconda preoccupazione era quella di dover dipendere in larga misura dai contributi elargiti dallo Stato, perdendo in questo modo l'autonomia sia dell'Unione, che delle comunita', che sarebbero state sottoposte, oltretutto, all'obbligo di presentare un rendiconto annuale circa le spese effettuate grazie alla devoluzione di questa parte del gettito IRPEF15: invero, questo ordine di considerazioni riprendeva quanto era gia' stato affermato in via piu' generale, e de iure condendo, da autorevoli esponenti della dottrina ebraica ancora alla vigilia dell'avvio delle trattative per l'intesa, secondo i quali il sussiD-o finanziario da parte dello Stato avrebbe finito con l'essere gravemente pregiudizievole alla stessa liberta' di essere ebrei e, quindi, alle istanze - fortemente sentite da una parte degli esponenti dell'ebraismo - di conservazione di una specifica identita' ebraica, atteso che tale sostegno economico, come si sostenne allora, "potrebbe condizionare facilmente l'attivita' delle Comunita' e ostacolarne dall'interno la liberta'. L'autonomia del finanziamento e' dunque insieme requisito di non confessionismo dello Stato [...] e esigenza di liberta' per la confessione"16.

Fu cosi' che si raggiunse, di comune accordo tra la parte statuale e quella ebraica, una soluzione che venne ritenuta, da molti, come piu' rispondente sia alla nuova autonomia che, con l'intesa, si intendeva riconoscere all'ebraismo italiano17, sia "al riconoscimento e alla valorizzazione dell'identita' specifica dell'ebraismo"18: a questa stregua, la rinuncia della confessione ebraica ai finanziamenti statali erogati sotto la forma dell'otto per mille del gettito IRPEF - che nel frattempo erano stati bene accolti, invece, dagli avventisti e dai "pentecostali" nelle rispettive intese19 -, veniva compensata con la defiscalizzazione dei contributi versati da ogni ebreo alla comunita' di appartenenza, fino alla concorrenza del dieci per cento del reddito, e, comunque, per un importo non superiore a sette milioni e mezzo di lire20.

L'originaria formulazione dell'art. 30 della legge 101/1989 - in cui, al primo comma, e' stata inserita la presa d'atto, da parte della Repubblica, "che le entrate delle Comunita' ebraiche di cui all'articolo 18 sono costituite anche dai contributi annuali dovuti, a norma dello Statuto, dagli appartenenti alle medesime" -, veniva in questo modo a prevedere, al secondo comma, una soglia di deducibilita' dei contributi comunitari molto piu' elevata rispetto a quella pattuita con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni - che era stata fissata nella somma di due milioni di lire21 -, giustificando tale innalzamento "in considerazione delle finalita' assistenziali e previdenziali perseguite dalle Comunita', a norma dello Statuto, in favore dei propri appartenenti". Un ulteriore elemento di differenziazione con le altre intese, inoltre, era costituito dal fatto che era prevista unicamente la deducibilita' dei contributi c.d. "obbligatori"22, e non delle erogazioni liberali: cio' che conferma la preoccupazione delle comunita' per la possibile perdita del gettito contributivo23.

e' da dire che, nell'opinione di parte della dottrina, il riferimento della disposizione alle finalita' assistenziali e previdenziali perseguite dalle comunita' ebraiche, oltre ad avvalorare la tesi secondo cui le contribuzioni alle dette istituzioni fossero da considerare "quasi come un corrispettivo dei servizi e dei benefici che i singoli ebrei ricevono per il fatto di appartenere alle comunita'"24, indicava che la ratio del maggior ammontare delle deduzioni previsto nei confronti degli ebrei iscritti alle comunita' fosse da rinvenire anche, e in misura determinante, nella "necessita', imposta dalla crisi "economica" del welfare state, di "incentivare" forme di "previdenza integrativa""25.

Nel periodo successivo alla stipulazione dell'intesa, comunque, con l'entrare a "pieno regime" dello strumento pattizio, l'Unione ebbe modo di approfondire il dibattito che intanto proseguiva, all'interno dell'ebraismo italiano, in merito alla vexata quaestio del finanziamento della confessione da parte dello Stato.

Questo perche' se, da una parte, le "croniche" insufficienze di fondi dell'Unione rendevano l'accesso al suddetto meccanismo di finanziamento una tentazione sempre piu' irresistibile, dall'altra, "il passaggio dalla stagione delle intese alla stagione della riforma delle intese"26 proprio sul tema dell'otto per mille dell'IRPEF - che aveva visto la storica "capitolazione" della stessa Tavola valdese27, che pure era apparsa come la piu' irremovibile nel suo rifiuto di ogni dipendenza nei confronti dello Stato -, stava trasformando quel particolare regime finanziario, come si e' gia' anticipato, in una sorta di "modello generale" applicato a tutte le confessioni religiose: da qui il rischio, per la confessione ebraica, di rimanere sempre piu' isolata sulle proprie posizioni di principio28.

Dopo lunghi dibattiti, approfondimenti e consultazioni, sia a livello locale che centrale, si arrivava, infine, al Congresso ordinario del 3-5 luglio 1994, nel quale una mozione unica della commissione appositamente istituita con riguardo all'argomento dell'otto per mille, deliberava "di dare mandato all'eligendo Consiglio di aprire con lo Stato italiano un negoziato mirante alla partecipazione dell'Unione alla ripartizione della quota pari all'8 per mille dell'IRPEF", con il proposito di destinare tali finanziamenti alle finalita' istituzionali dell'Unione, "con particolare riguardo alle attivita' culturali, alla salvaguardia del patrimonio storico, artistico e culturale, nonche' ad interventi sociali ed umanitari"29.

Nel frattempo, venivano concluse le intese con i battisti - che sceglievano pero' di non partecipare al riparto dell'otto per mille -, e con i luterani, che invece non solo accettavano di buon grado di parteciparvi, ma optavano anche per il concorso alle scelte inespresse30.

Alla firma dell'intesa integrativa si e' giunti, infine, il 6 novembre 1996 - in contemporanea con la modifica dell'intesa con gli avventisti, che hanno deciso di beneficiare anche delle scelte inespresse31 -, e poco dopo e' stata emanata la legge di approvazione 638/199632.

Cominciando dalle modifiche introdotte alla legge 101/1989, e' stato sostituito il secondo comma dell'art. 30, che, ora, allinea l'ebraismo alle altre confessioni in tema di defiscalizzazione dei contributi, stabilendo la deducibilita' non solo dei contributi annuali "obbligatori" versati alle comunita' ebraiche, ma anche delle erogazioni liberali in denaro "eseguite in favore della Unione delle Comunita' ebraiche italiane ovvero delle Comunita' di cui all'articolo 18 della presente legge, fino all'importo complessivo di lire due milioni".

Mentre il terzo comma dell'art. 30 non ha subi'to modifiche - vi si prevede ancora che deve essere il Ministro delle Finanze, con proprio decreto, a stabilire le modalita' relative alla deduzione fiscale -, il quarto comma prevede che - ora, su richiesta di una delle parti -, "al fine di predisporre eventuali modifiche, si potra' procedere alla revisione dell'importo deducibile e dell'aliquota IRPEF ad opera di una commissione paritetica, nominata dalla autorita' governativa e dall'Unione delle Comunita' ebraiche italiane".

Ma la modifica piu' rilevante, naturalmente, e' quella di cui all'art. 2 della legge 638/1996, che sancisce la partecipazione dell'Unione delle comunita' ebraiche "alla ripartizione della quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali": secondo l'espressa previsione della legge, l'Unione destinera' le somme cosi' percepite alle sue finalita' istituzionali, "con particolare riguardo alle attivita' culturali, alla salvaguardia del patrimonio storico, artistico e culturale, nonche' ad interventi sociali ed umanitari volti in special modo alla tutela delle minoranze contro il razzismo e l'antisemitismo". Risulta evidente come le direttive formulate dal Congresso del 1994 siano state pienamente rispettate, anche riguardo alla prevista destinazione delle somme cosi' percepite.

Come aggiunge il secondo comma, "in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la partecipazione stessa si stabilisce in proporzione alle scelte espresse": si e' visto poc'anzi come il "meccanismo di trascinamento" delle scelte inespresse costituisca uno dei profili del sistema che piu' erano stati considerati come inaccettabili da parte ebraica; tuttavia, la scelta non e' stata casuale, ed e' stata - pragmaticamente - giustificata con la considerazione secondo cui, se proprio era inevitabile rassegnarsi ad una parziale dipendenza economica dallo Stato, tanto valeva trarne il massimo beneficio conseguibile33.

Va da se' che, ora, anche l'ebraismo dovra' presentare annualmente, al Ministero dell'Interno - secondo l'art. 3 della legge 638/1996 -, un rendiconto annuale "relativo alla effettiva utilizzazione delle somme di cui all'articolo 2", diffondendone, inoltre, adeguata informazione.

Anche questo specifico profilo pare essere particolarmente confliggente con quelle che erano state le posizioni originariamente assunte, ma proprio per questo va dato atto, all'ebraismo italiano, del grande senso di dignita' con cui esso si e' apprestato a raggiungere quel compromesso, piu' volte temuto, che potra' anche essere riuscito, ad alcuni, sgradito, ma che era necessario - e anche di questo l'ebraismo ha dimostrato una matura consapevolezza - proprio ai fini della conservazione di quella complessa, specifica identita', di cui pure si era paventata la perdita a causa dell'adesione al nuovo sistema: nelle stesse parole di uno dei principali protagonisti delle trattative, "e' stata indubbiamente una scelta sofferta [...], nella quale il laicismo di molti congressisti e' dovuto venire a patti col nuovo pluralismo della societa' italiana al momento stesso in cui si e' dovuto prendere coscienza che, con la generalizzazione della partecipazione al riparto del'8 per 1000, la persistenza del rifiuto (indubbiamente giustificato nel 1987, al momento della firma dell'Intesa) si sarebbe tradotta in una auto-discriminazione. Gli impegni assunti dall'ebraismo italiano nei confronti non solo di se' stesso ma dell'intera societa' italiana sono enormi. Essi pongono in gioco una responsabilita' ineludibile, al livello della nostra storia"34.

Note:

  1. V. supra, § 4.2.Torna
  2. In G.U., 24 novembre 1981, n. 323.Torna
  3. Cfr. A. Guazzarotti, L'accesso al "mercato religioso" in Italia. Note critiche sul finanziamento delle confessioni religiose, in DE, 1997, I, p. 120.Torna
  4. Cosi', R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 324. Cfr. anche G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 206. Anche le due recenti intese concluse con i testimoni di Geova ed i buddhisti, non si discostano da questa linea: v. l'art. 17 dell'intesa con i testimoni di Geova, e l'art. 19 di quella con i buddhisti, i quali hanno scelto di beneficiare anche delle scelte inespresse.Torna
  5. Su questo punto, v. supra, § 1.2.Torna
  6. In questo senso, cfr. G. Fubini, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 122.Torna
  7. Che la devoluzione dell'otto per mille dell'IRPEF non costituisca una forma di autofinanziamento delle confessioni religiose, ma integri invece un'ipotesi di finanziamento statale delle stesse, e' stato dimostrato da tempo in dottrina: ad esempio, G. Vegas, Spesa pubblica e confessioni religiose, Padova, 1990, pp. 107 s., afferma, tra l'altro, che la dichiarazione effettuata dal contribuente circa la destinazione dell'otto per mille non ha altra funzione economica che quella di sottrarre risorse finanziarie allo Stato, "al quale appartengono in ragione della potesta' tributaria che questi esercita mediante l'IRPEF", per destinarle alla confessione religiosa. Ne consegue, come prosegue l'A., che "le risorse in tal modo trasferite non hanno carattere originario, bensi' derivano dal bilancio statale, dalla iscrizione nelle postazioni di entrata del quale dipendono, escludendosi anche per tal via che si tratti di una fonte autonoma di raccolta di mezzi finanziari" da parte delle confessioni religiose. Nello stesso senso, cfr. anche N. Fiorita, L'autofinanziamento agevolato, cit., p. 526, e A. Guazzarotti, L'accesso al "mercato religioso" in Italia, cit., p. 124.Torna
  8. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 152.Torna
  9. V. supra, § 2.4.Torna
  10. Sul punto, cfr. G. Fubini, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 123.Torna
  11. Cfr. G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 153.Torna
  12. Cfr. P. Dall'Oglio - G. Fubini, Il braccio secolare, in RMI, 1985/3 (Scritti in memoria di Sergio Piperno Beer), p. 719. e' da dire, comunque, che questo inconveniente sarebbe stato facilmente superabile evitando di partecipare alla ripartizione della quota parte risultante dalle scelte inespresse, come stabilito in alcune intese: v., ad esempio, l'art. 4, comma 3, L. 409/1993.Torna
  13. Cfr. G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola: le confessioni non cattoliche e l'otto per mille dell'IRPEF, in QDPE, 1998/1, p. 64.Torna
  14. Cosi', G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 65.Torna
  15. Cfr. ancora G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 65.Torna
  16. Cosi', G. Sacerdoti, Replica, cit., p. 195.Torna
  17. Cfr. G. Sacerdoti, Attuata l'intesa tra lo Stato italiano e le Comunita' ebraiche, cit., pp. 820 s.Torna
  18. Cosi', R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 113.Torna
  19. V. l'art. 30, L. 516/1988, e l'art. 23, L. 517/1988. Sia l'intesa con gli avventisti che quella con i "pentecostali", tuttavia, prevedevano il riparto delle quote dell'otto per mille sulla base delle sole scelte espresse da parte dei cittadini, mentre la Chiesa cattolica sin dall'inizio ha beneficiato del riparto anche sulla base delle scelte inespresse.Torna
  20. Come e' stato sottolineato in dottrina, nella relazione al disegno di legge di approvazione dell'intesa ebraica l'innalzamento di questa soglia di deducibilita' fiscale veniva giustificata proprio con la rinuncia, da parte dell'ebraismo italiano, alla partecipazione al riparto delle quote dell'otto per mille: cfr. G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 65, anche in nota.Torna
  21. V. l'art. 46, L. 222/1985; l'art. 29, L. 516/1988, e l'art. 21, L. 517/1988. Anche nel prosieguo, le successive intese con le altre confessioni non si sono mai discostate da questi limiti di deducibilita': v. l'art. 16, L. 116/1995; l'art. 26, L. 520/1995; l'art. 16 dell'intesa con i testimoni di Geova, e l'art. 18 dell'intesa con i buddhisti.Torna
  22. Va da se' che l'obbligatorieta' dei contributi degli iscritti alle comunita', prevista dallo strumento statutario, era (ed e' tuttora) tale solo ai fini dei rapporti interni alla confessione.Torna
  23. Cfr. ancora G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 65.Torna
  24. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche, cit., p. 108, secondo il quale la differenziazione di trattamento tributario e la specifica possibilita' di detrazione riservata agli ebrei trovavano giustificazione "nel principio di ragionevolezza derogatorio al piu' generale principio dell'eguaglianza". Cfr. anche G. Fubini, Prime considerazioni sull'intesa ebraica, cit., p. 134.Torna
  25. Cosi', R. Botta, L'intesa con gli israeliti, cit., p. 114.Torna
  26. Cosi', N. Fiorita, L'autofinanziamento agevolato, cit., p. 519.Torna
  27. La Tavola valdese ha aderito alla ripartizione dell'otto per mille con l'art. 4, L. 409/1993, peraltro, senza beneficiare delle scelte inespresse, mentre l'art. 3 della stessa legge ha autorizzato la deducibilita' fiscale dei contributi dei fedeli fino alla concorrenza della consueta cifra di due milioni di lire.Torna
  28. Cfr. G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 66.Torna
  29. Commissione otto per mille, mozione unica, in RMI, 1993/3, p. 108.Torna
  30. V. l'art. 27, L. 520/1995.Torna
  31. V. l'art. 2, L. 637/1996.Torna
  32. V. supra, § 4.1.Torna
  33. Cfr. ancora G. Long - V. Di Porto, Dall'eccezione alla regola, cit., p. 73.Torna
  34. Cosi' si e' espresso, con mirabile chiarezza, G. Fubini, Editoriale, in RMI, 1993/3, p. VI.Torna

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