Riccardo Pacifici

Notizie storiche sulla comunita' di Genova

Non e' mio intento ricostruire qui, sia pure per sommi capi, le vicende della vita degli ebrei in Genova. Del resto, una delineazione storica di questo genere e' stata gia' fatta (M. Staglieno - degli ebrei in Genova, in giornale linguistico di archeologia, storia e belle arti , vol.3 (1876)) ed uno studio piu' completo e definitivo richiederebbe ricerche e materiali storici, l'elaborazione dei quali si estenderebbe di gran lunga oltre i limiti che ho disponibili nel presente opuscolo. Per lo scopo che qui mi sono prefisso, ritengo invece sufficiente fornire alcune notizie sulla vita e l'organizzazione interna della comunita' di Genova intorno ai secoli XVII-XVIII, e cioe' nell'epoca in cui risulta che si venne a costituire stabilmente un nucleo ebraico in questa citta'.

Queste notizie sono desunte da varie fonti, ma soprattutto da due grossi registri che si conservano nell'archivio della comunita' di Genova e che si riferiscono agli atti di questa comunita' e ai verbali di sedute durante tutto il secolo XVIII. Una considerazione d'indole generale che si puo' fare scorrendo questi verbali, e' che appunto nel periodo su accennato si cerca, da parte dei capi della comunita', di dare un assetto stabile alla medesima, sia avvalendosi delle concessioni fatte dalla repubblica, sia attraverso vari provvedimenti di ordine interno. Questa constatazione coincide perfettamente coi dati storici in nostro possesso, perche' se e' vero che notizie su ebrei a Genova risalgono all'epoca di Teodorico, questo dato storico e gli altri sporadici sino alla fine del secolo XV, non ci permettono di affermare che a Genova vivesse un nucleo ebraico stabilmente organizzato.

Solo con l'afflusso di ebrei che si ebbe a registrare anche a Genova dopo l'espulsione dalla Spagna nel 1492, si puo' dire che si inizi un nuovo periodo nella comunita' genovese, ed e' infatti da questo momento che si fanno piu' frequenti le notizie sugli ebrei e si accenna ad un magistrato per gli ebrei. D'altra parte, le vicende di costoro in questa citta' subiscono tali alternative di ammissioni ed espulsioni, di concessioni e relative revoche da parte della repubblica - influenzata spesso dagli interessi delle autorita' ecclesiastiche - che per tutto il '500 e fino a meta' del '6oo, non si puo' parlare di una comunita' ebraica propriamente detta. Quando pero' nel 1648 si costitui' a Genova il portofranco per tutte le merci e per tutte le nazioni, il governo vi comprese anche gli ebrei, disponendosi ad alcune concessioni verso i medesimi, come piu' tardi venne stabilito attraverso la pubblicazione di speciali capitoli che furono stipulati a meta' del 1658 e che comprendono le condizioni per la residenza degli ebrei in Genova, condizioni che furono fissate tra i deputati ai negozi di san Giorgio, i collegi della repubblica e due rappresentanti della nazione ebraica, nelle persone di Abram Da Costa di Leone a Aronne De Tovar (Staglieno, op. Cit., pag. 399).

Son questi, per quanto ci consta, i primi capitoli completi emanati dal governo della repubblica e che provvedono a regolare ordinatamente il soggiorno degli ebrei nel territorio della medesima. In questi capitoli si stabilisce, tra l'altro, che gli ebrei godranno della protezione del governo, dovranno riunirsi in un quartiere speciale o ghetto, ove sara' anche la loro sinagoga, potranno inoltre acquistare un campo ad uso di cimitero e pagheranno annualmente un testatico, anziche' nella misura di otto reali, come per l'addietro, in quella di uno scudo d'oro. L'osservanza di queste e delle altre disposizioni e' affidata a due senatori, detti eccellentissimi di palazzo, che saranno chiamati protettori degli ebrei , e che, come si vedra', dovranno invigilare sull'andamento della comunita' ebraica.

I capitoli avrebbero avuto la validita' di dieci anni e sarebbero stati prorogabili, salvo che il governo avesse creduto di diffidarli cinque anni prima della scadenza. I capitoli avrebbero dovuto andare in vigore col primo gennaio 1659, ma in effetti questo non avvenne che al 13 marzo successivo perche', date le solite influenze dell'autorita' ecclesiastica, e soprattutto della romana inquisizione, furono apportati ai capitoli certi emendamenti, senza dei quali la s. sede non avrebbe data la sua approvazione.

Fu cosi' che circa il 1660 si provvide anche alla assegnazione di un ghetto, nella contrada del campo, presso le case dei vachero, sul territorio della parrocchia di S. Agnese. E' questo il primo ghetto di cui si abbia notizia a Genova, ma che doveva essere alquanto limitato, se gia' nel 1662, epoca in cui gli ebrei ascendevano a soli 200 individui, alcuni tra gli ebrei stessi dovevano domiciliarsi fuori del ghetto, col consenso delle autorita'. A questo riguardo si deve subito notare che sebbene piu' tardi, e precisamente verso il 1674, il ghetto fosse trasferito nelle case attigue alla piazza dei tessitori, vicino a S. Agostino, la questione non fu neppure cosi' risolta e, come confermano i cronisti del tempo, un vero ghetto, grande e spazioso ove raccogliere tutti gli ebrei, non si ebbe mai a Genova, e la questione ghetto costitui' sempre una questione aperta ed insoluta.

Nel 1669 scadevano i capitoli e vi furono vivaci discussioni nei consigli del governo e nella citta', se rinnovarli o meno. A queste discussioni sembra non fossero estranee anche le lotte che, per ragioni di concorrenza, si facevano in citta' contro gli ebrei, e poiche' agli occhi dei migliori appariva chiaro che nessun appunto si poteva fondatamente muovere contro di essi, si decise di conceder loro un avvocato che ne difendesse i diritti, e fu scelto il magnifico cancelliere Felice Tassorello. Cosi' il buon senso prevalse e con un po' di ritardo rispetto alla scadenza dei capitoli, nel settembre del 1674, la signoria deliberava di concedere agli ebrei un nuovo permesso di soggiorno per dieci anni. Ma sembra che i cambiamenti fatti ai capitoli e l'aumento della tassa del testatico, aggravassero le condizioni degli ebrei al punto che molti di essi spontaneamente abbandonarono la citta' e questo fatto non resto' senza influenza sulla futura composizione numerica della comunita' ebraica che anche per tutto il secolo XVIII dovette raramente superare i 100 individui.

Un piccolo nucleo dovette tuttavia rimanere e sebbene, per queste particolari condizioni, spesso convenisse alla repubblica fare agli ebrei concessioni individuali, tuttavia nel 1700 e nel 1710 si ha notizia di nuove pubblicazioni di capitoli e intorno allo stesso periodo, precisamente nel 1707, gli ebrei provvidero all'apertura di una sinagoga nelle vicinanze della Malapaga.

Cio' non tolse pero' che, forse per le solite pressioni esercitate sul governo dal partito opposto agli ebrei, questi fossero fatti oggetto di una nuova espulsione in massa che fu intimata con speciale decreto in data 3 febbraio 1737. In seguito a questo provvedimento, molti ebrei, specialmente i meno abbienti, si ritirarono nel vicino granducato di toscana, verso il quale furono presto attirati anche i piu' ricchi ed i commercianti, del che, sembra, comincio' a preoccuparsi il governo, tanto che si decise di accordare ad alcuni il permesso d i soggiorno, in deroga al decreto anzidetto. Fra gli ebrei che, almeno per un certo tempo, usufruirono di queste speciali concessioni, si ricordano: Israel Elia Sinigaglia, negoziante, Giuseppe rosa, mediatore di assicurazioni e corrispondente della casa sayon di Lisbona per tabacchi del Brasile, Bonaiuto Amar, Elia Benedetto Vitali, Raffaele Pugliesi, Abram Lucerna, angelo levi, Moise' Foa'. Quest'ultimo merita un cenno a parte perche' ottenne dal minor consiglio una eccezionale autorizzazione a risiedere in Genova, per particolari servigi resi alla repubblica.

Il documento nel quale si fa allusione a questa concessione e' del 1748 ed e' interessante riprodurlo perche' ci illumina sulla vita e l'attivita' di questo personaggio: sono cosi' noti i servigi prestati in questi ultimi anni a vostre signorie ser.me dall'ebreo Moise' Foa' colla provvista loro fatta da Livorno di ben trenta pezzi di cannoni fra i quali dieci da batteria e di copiosa quantita' di palle, bombe e polvere, il tutto a lui riuscito con gran rischio ed a fronte anche di gagliarde opposizioni fatteli cola' dai ministri austro-sardi ed inglesi (motivo per cui oggi e' bandito dal re sardo del quale e' stato suddito, che Resene Elleno intese si sono degnate unitamente al minor consiglio di accordargli, ad esclusione di ogni altro di' sua nazione ebrea, il privilegio di continuare la sua permanenza in questa citta'.

Ma qualche anno piu' tardi il governo fu costretto a ritornar sulle deliberazioni prese nel 1737 e cio' soprattutto per ragioni commerciali: l'esperienza infatti aveva dimostrato come i ricchi commercianti preferivano Livorno, ove godevano di estesi privilegi, a Genova. Fu cosi' che nel 1752 furono riammessi gli ebrei in citta' e furono emanati nuovi capitoli, questa volta molto liberali, tanto che in essi non si fa piu' menzione ne' di ghetto, ne' di obbligo a frequentare le prediche, ne' di obbligo del segno. Gli ebrei avrebbero potuto abitare in qualsivoglia parte della citta', con l'obbligo pero' di denunciarsi al magistrato della consegna (incaricato delle registrazioni anagrafiche); avrebbero potuto commerciare liberamente, ma non possedere fondachi pubblici, avrebbero potuto aprire la sinagoga e continuare nel possesso del cimitero. Date queste nuove garanzie, gli ebrei si stabilirono definitivamente in Genova e da quell'epoca niente di particolare importanza va rilevato sul conto loro, tranne il fatto che ogni tanto alcuni bambini, dallo zelo indiscreto di pie domestiche, venivano clandestinamente battezzati, nonostante gli espliciti divieti delle autorita' governative.

Una di queste conversioni, certamente anch'essa preparata da qualche anima pia, fu quella di regina del mare. La mattina del 4 agosto 1756, nella famiglia ebraica Foa' (quello stesso di cui abbiamo parlato sopra), non si trovo' la giovinetta quindicenne regina del mare, che, orfana di padre, abitava con la madre nella casa dello zio. Dalla famiglia si ricorse subito al governo ed all'ecc.mo Giovanni Francesco Brignole, uno dei protettori per la nazione ebrea. In seguito alle ricerche fatte fu appurato essere stato motivo della fuga di detta giovane, la spontanea risoluzione di abbracciare la cattolica fede, esser seguita la fuga di nottetempo dalla casa dell'ebreo Foa' di lei zio, alla scorta di alcuni cristiani secolari. Cosi' nello stesso anno 1756 un bambino ebreo figlio di Mose' Accohen fu allontanato dai genitori, perche' una domestica l'aveva celatamente battezzato; e due anni piu' tardi, nel 1758, lo stesso accadde alla bimba Marianna di anni 5 figlia di primo ebreo ed al bimbo Mose' figlio di Zaccaria Galfor.

Come si vede, data la frequenza di simili episodi, erano ben giustificate le severe proibizioni del governo, proibizioni che ritornano nei vari capitoli concessi agli ebrei, a cominciare da quelli dell'anno 1710 coi quali si apre il primo dei due registri degli atti della comunita', cui ho fatto cenno al principio di questo studio.

Un esame sommario di questi registri ci da' la possibilita' di spinger lo sguardo nella vita interna del piccolo nucleo ebraico genovese, lungo il secolo XVIII. Appare chiaro che proprio al principio di questo secolo la comunita' cercava di darsi un nuovo ordinamento interno, prendendo come base i capitoli di recente emanati che, non senza motivo, sono riprodotti integralmente all'inizio del primo registro degli atti. A tenore degli stessi capitoli, la comunita' internamente era retta da due massari o capi della nazione ebraica, la cui elezione spettava alla comunita', ma che dovevano essere riconosciuti dalle autorita' della repubblica e soprattutto dai protettori degli ebrei che, come ho rilevato, esercitavano una specie di controllo su tutte le attivita' della comunita' ebraica.

Accanto ai massari che rappresentavano come il potere esecutivo della comunita', v'era un vaad o congrega, costituita dagli elementi piu' in vista della comunita' stessa. Le sedute di cui i verbali ci danno notizia, sono sempre indette dai massari, ma ad esse intervengono anche i membri della congrega che partecipano alle discussioni sui vari argomenti, in merito ai quali si decide sempre per votazione (ballottazione). Nelle prime sedute del gennaio 1711, viene tra l'altro deciso di nominare una commissione di regolatori, col compito di redigere uno statuto o regolamento interno della comunita' da approvarsi dalla comunita' stessa ed una analoga commissione viene nominata per avere rapporti con le autorita' governative, circa l'esecuzione dei nuovi privilegi e circa le trattative sulla localita' da scegliersi per l'erigendo ghetto. La custodia di questo era affidata ai massari che ne ricevevano in consegna le chiavi e che avevano la responsabilita' dell'apertura e della chiusura alle ore stabilite.

Nessun cristiano avrebbe potuto trattenersi di nottetempo nel ghetto, dopo la sua chiusura, senza speciale licenza, e delle infrazioni a questa regola i massari erano tenuti ad informare le competenti autorita'.

Quanto agli ebrei, anche coloro che godendo di particolari privilegi avrebbero potuto abitare fuori del ghetto, non erano autorizzati ad erigere un oratorio o sinagoga a parte, ma avrebbero dovuto recarsi nella sinagoga del ghetto e quivi concorrere a tutte le spese necessarie per il mantenimento e per le sovvenzioni ai poveri ed ai forestieri di passaggio.

Nel ghetto gli ebrei potevano vendere qualsivoglia mercanzia, sia ad ebrei sia a cristiani, all'ingrosso e al minuto ed avevano altresi' facolta' di esercitare le arti, ma con l'obbligo di osservare le leggi e costituzioni dell'arte. Data questa attivita' commerciale e professionale degli ebrei, era naturale che molte norme fossero emanate per regolarne lo sviluppo, sotto il controllo delle autorita'.

Accadeva talvolta che, forse per ragioni di concorrenza, alcune arti o corporazioni fossero in contesa con gli ebrei: a meta' del secolo XVII, le corporazioni che piu' si distinguevano in queste specie di dissidi erano quelle dei merciai, correggiai, venditori di panni e rigattieri. I capitoli percio' prevedevano che le cause e liti tra ebrei e cristiani fossero rimesse ai magistrati della citta', pur restando sospese nei giorni di sabato o altri festivi; quelle invece che insorgessero tra ebrei ed ebrei, potevano essere rimesse al giudizio dei rabbini e massari, secondo gli usi della legge ebraica. Ai massari erano affidati anche altri importanti incarichi, da parte del governo, come, ad esempio, l'obbligo di denunciare al magistrato della consegna, l'elenco delle famiglie e i membri delle medesime residenti a Genova, o come l'obbligo di denunciare gli stranieri di passaggio per la citta'.

All'interno della comunita', si puo' dire che i massari avevano la responsabilita' e la direzione morale ed amministrativa della medesima. Tra l'altro, essi dovevano seguire e vigilare la condotta degli appartenenti alla comunita', sia locali che stranieri, e ricorrere alle autorita' per segnalare i casi per i quali si giudicasse necessario l'applicazione di sanzioni; dovevano inoltre procedere alla revisione degli statuti e delle costituzioni e farli approvare dai ser.mi collegi.

Circa l'andamento della vita interna del kaal e della sinagoga, era compito dei massari, esercitare un controllo esatto sui conti della hebra', regolare il bilancio interno, tenendo speciali registri di entrata ed uscita da consegnarsi poi ai massari subentranti in carica; dovevano altresi' esigere la riscossione delle tasse, dei proventi delle Mizvod e delle offerte volontarie, con facolta' di obbligare i renitenti al pagamento, ricorrendo, se del caso, anche alle autorita'. A loro spettava pure la distribuzione delle entrate, per sopperire ai bisogni del kaal e pertanto dovevano provvedere al pagamento della pigione della scuola o sinagoga e dell'inserviente addetto alla medesima, nonche' a tutti gli accessori; del tempio, come illuminazione, ecc.; essi dovevano infine somministrare le elemosine ai forestieri di passaggio. I massari avevano anche ingerenza nello svolgimento della pubblica Tefilla' ed avevano facolta' di chiamare a sSeferi membri della comunita', di assegnare le tefillod dei giorni penitenziali (iamim noraim), di designare la persona che avrebbe suonato il Shofar.

I massari restavano in carica un anno, allo scader del quale, e precisamente dal 15 al 25 elul, essi proponevano l'elezione di altri due massari, scegliendoli tra gli appartenenti al kaal e che, come i loro predecessori, avrebbero esercitato l'ufficio a turno sei mesi per ciascuno.

Circa le altre cariche pubbliche della comunita', e specialmente quelle attinenti al culto, in uno dei primi verbali del 1700 si parla della necessita' di avere un rabbino, un shochet e hazan, oltre ad un cancelliere per la registrazione degli atti. Da questa e da altre notizie, si desume che fino ad allora non si era provveduto in forma completa e organica ad assicurare il regolare svolgimento di tutte le attivita' religiose.

Su questo fatto aveva dovuto influire soprattutto l'esiguita' delle risorse finanziarie della comunita', piu' volte lamentata nel corso dei verbali. In ogni modo, ad alcune delle cariche religiose si provvide e cosi', in un atto del 1770, si prende la deliberazione di nominare shaliah zibbur (pubblico ufficiante) effettivo, il signor Moise' Iacob Foa' e sochet e maestro il signor Abram figlio di Elia Foa', cancelliere della congrega. Per sopperire appunto agli oneri della comunita', i massari ed il vaad della medesima, decidono a piu' riprese l'applicazione di speciali forme di tassazione che, contenute in misura modesta in un primo tempo, sono poi aumentate progressivamente. Cosi' nel 1712 si parla di una tassa di 40 soldi mensili che colpisce tutti i capi famiglia e di una percentuale del 10 % su tutti gli affari che sarebbero stati fatti dai correligionari e che doveva essere devoluta a pro' dei poveri.

Il controllo di questa parte di proventi, spettava a un corpo di sensali, che, in numero di sei, dovevano tenere una speciale registrazione di tutti gli affari conclusi dagli ebrei. Un'altra specie di sopratassa, nella misura del 4 % sopra agli affari che i forestieri avrebbero concluso in Genova, viene applicata a beneficio del fondo per il riscatto dei prigionieri (pidijon shevuim) e la si giustifica con la motivazione che questa spesa non puo' esser sopportata da questo poco numero di nazione che qui si trova . Analogamente, i forestieri che fossero venuti in citta' per affari, avrebbero dovuto deporre 1/4 % dei loro proventi su compre e vendite, in una speciale cassetta apposta nell'atrio del tempio, con la pena di scomunica herem a chi avesse prevaricato. La solennita' con cui viene presa questa decisione e' attestata anche dalla compilazione di uno speciale testo ebraico che commina la severa pena ai trasgressori ed in genere a coloro che si fossero rifiutati di corrispondere la tassa stabilita dalla congrega.

Che l'anzidetta decisione non restasse lettera morta, ma fosse all'occorrenza applicata, si rileva dall'episodio di herem pronunciato in data 16 novembre 1715 contro certo rahamin cabib il quale viene interdetto dalla scuola sino al giorno di sabato prossimo, nel qual giorno venendo nella scuola domandera' in pubblico perdono a dio alla congrega ed al rabbino e poi si accettera' di nuovo la sua offerta.

Tuttavia queste ed analoghe misure coercitive non si dimostrano sufficienti a regolare stabilmente il bilancio della modesta comunita', tanto che questa, a meta' circa del '700, dovette attraversare una grave crisi accompagnata da non meno gravi dissensioni interne. Per superare il difficile momento e per procedere a una revisione totale della contabilita', in data 11 dicembre 1769, furono nominati due commissari, nelle persone di David vita franco e Abraham Rodriguez Miranda da Livorno, che riscuotevano la completa fiducia del kaal. A revisione avvenuta, si sarebbero dovuti distruggere nel fuoco i vecchi registri della contabilita' e si sarebbe iniziato un nuovo periodo di gestione amministrativa. Allo scopo di appoggiare su piu' solide basi l'avvenire finanziario della comunita', lo stesso Abraham Rodriguez Miranda ebbe l'incarico di raccogliere fondi eccezionali, rivolgendo un appello anche ad altre keillod, per la costituzione di un capitale base di almeno lire 3000, coi proventi del quale assicurare le spese occorrenti alla comunita'.

Il sunnominato Abraham Rodriguez Miranda, assunto l'incarico, si rivolse per iscritto alle comunita' sefardite di Amsterdam e Londra, per la richiesta di una congrua sovvenzione. Dalla lettera che diresse a quelle comunita', si deduce che la vita del piccolo nucleo ebraico genovese si doveva condurre stentatamente, anche in ragione dell'esiguo numero di coloro che lo componevano. Una riprova di cio' ci viene offerta dal ruolo dei componenti la nazione ebrea abitanti e commoranti in questa serenissima dominante, ruolo che in data 6 ottobre 1763 viene rimesso al signor cancelliere della consegna. Il ruolo, che e' diviso per gruppi famigliari, non registra che circa 70 individui, la maggior parte dei quali residenti nelle vicinanze della Malapaga o presso alle muraglie di S. Marco. Questo nucleo, se non rimase sempre cosi' esiguo, dovette subire solo lievi aumenti, verso la fine del secolo, ma, comunque, si ha ragione di ritenere che esso si aggirasse, durante il periodo qui considerato, fra i 100 e i 200 individui, e che pertanto la comunita' di Genova fosse da annoverarsi fra le piu' modeste comunita' italiane in quel tempo.

Da questa condizione essa era destinata poi a salire a maggior importanza durante il secolo XIX, ma soprattutto agli inizi del secolo xx, grazie al vigoroso incremento subito nel primo quarto di questo secolo, incremento che doveva portare di colpo la comunita' ligure in prima linea tra le comunita' italiane.

Riccardo Pacifici
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