Riccardo Pacifici

Discorso di Rosh Ha-Shana' 5704 (1943)

Mai, forse, in nessun Rosh Ha-Shana', il nostro tempio e' stato cosi'deserto e abbandonato e non ho visto, come di consueto, l'afflusso dei fratelli alla casa del signore; per contro, mai come in questo Rosh Ha-Shana', noi vi siamo entrati con l'animo cosi'appassionato e fervente di ardore religioso, col desiderio intenso di trovarci vicino a dio e di trovare in lui pace e conforto. Possiamo ben dire di essere noi, qui riuniti, gli autentici rappresentanti di quella comunita' d'Israele che mai mentisce se stessa, anche nelle piu' gravi e dolorose vicende della vita.

Perche' e' certamente vero che questo restera' forse il piu' grave, il piu' triste Rosh Ha-Shana' di questo periodo di guerra e forse di tutta la nostra vita; ma appunto per cio' noi abbiamo oggi l'occasione di valutare tutta la profondita' e la pienezza del sentimento religioso che pervade le Tefillod di queste giornate, perche' anche per noi e' giunta un' ora seria e difficile della vita e di solito mai come nei piu' tristi frangenti l'animo umano si sente vicino a dio e anche ad incontrarsi con lui.

Gravi avvenimenti si sono determinati nel corso di questo anno ebraico; gravi per l'umanita' e per Israele. Dinanzi al succedersi rapido ed incalzante di questi avvenimenti, il nostro animo e rimasto sconvolto, turbato, oppresso; spesso noi abbiamo perso il controllo di noi stessi. Sfiducia e smarrimento sono i due termini in cui si puo' riassumere la vita degli uomini in questi duri tempi: il fallimento di tutti gli ideali, le aspirazioni, le mete che gli uomini si erano tracciati nei loro deboli e vacui programmi terreni; la catastrofica esperienza di una guerra che tutte le altre ha superato per vastita' di estensione e per le proporzioni dei suoi effetti micidiali, tutto cio' ha ingenerato negli animi un senso di profondo disagio spirituale e come una rinuncia a quella specifica funzione che l'uomo ha sulla terra; per contro nessun contenuto di vita profondamente spirituale ha potuto occupare gli animi e percio' un senso di sbigottimento si e' ingenerato e diffuso, e purtroppo dobbiamo dire che anche noi, figli d'Israele, non abbiamo fatto eccezione e ci siamo anche noi abbandonati in preda all'angoscia e al tormento.

E questo e' ancora, anzi proprio ora, lo stato d'animo in cui versano gran parte dei nostri fratelli; ma dove e' allora quella forza dell'anima ebraica, quella capacita' di resistenza che lo spirito ebraico aveva da secoli ereditato dai padri e che si era temprata alle piu' dure prove?

Ma dove e' quello spirito di sacrificio e di rinuncia, di fede e di abnegazione all'idea che pure noi abbiamo imparato a conoscere, ad ammirare nelle pagine meravigliose della storia d'Israele?

E' forse questa la riprova del forte decadimento della nostra religiosita'? un fatto e' certo: che molti, forse troppi di noi, sono stati inferiori a loro stessi, dimenticando le piu' grandi verita' della vita d'Israele e le piu' grandi esperienze della nostra storia: la vita e la storia d'Israele ci hanno sempre insegnato l'alternarsi della dura e della fausta sorte, ci hanno sempre fatto conoscere la precarieta' e la caducita' di queste terrene vicende a cui invece noi diamo straordinaria importanza; esse ci hanno insegnato invece l'eternita' dello spirito e la sopravvivenza dell'idea di Israele. Se noi uomini siamo soggetti ed esposti al bene e al male, alla fortuna e alla sfortuna, alla vita e alla morte, sono verita' che mai dovremmo dimenticare, anche se siamo cosi'disperatamente attaccati alla vita nel suo significato piu' materiale e terreno; sono verita' che ci vengono rilevate in modo eloquente da queste solenni giornate, anzi da queste tremende giornate, yamim noraim, che stiamo attraversando e celebrando, della cui severa denominazione ora possiamo misurare tutto il significato.

Severe e tremende giornate perche' in esse si pesano i destini degli uomini e dei popoli, perche' in esse si decide la sorte degli individui, la sorte delle collettivita'; e noi in questi ultimi anni abbiamo avuto la riprova, che proprio nel giro di questo periodo si sono verificati grandi eventi e grandi decisioni. Ebbene, dopo un anno di travaglio, eccoci di nuovo al traguardo, eccoci di nuovo dinanzi al tribunale celeste e dinanzi a quel padre che noi ardentemente invochiamo, ma della cui grande giustizia e verita' mai dovremmo dubitare.

Ora proprio in questi giorni in cui noi dovremmo astrarci dal mondo e chiuderci nel nostro io piu' vero, proprio in questi giorni di preghiera e di ravvedimento, noi dovremmo ricordare che in mezzo a tanta rovina, a tante distruzioni e a tante delusioni, una cosa e' rimasta intatta e inviolata, una cosa sacra, alta e pura: la nostra coscienza. In mezzo alle sparizioni di tanti beni, noi dovremmo ricordare questo, che e' il nostro bene piu' prezioso e piu' caro, veramente eterno, di fronte alla vanita' di tutto.

Noi possediamo questo bene, ma spesso non sappiamo valorizzarlo: invece proprio ora dovremmo custodirlo, potenziarlo, farne uno scudo e una difesa per le tristi avversita' della vita. La nostra coscienza, la nostra fede, la nostra sicurezza di dio dovrebbero sempre sostenerci, proprio in queste ore gravi della vita: chi si abbatte, chi prega, chi non resiste, ha perduto la sua coscienza e la sua fiducia nel suo dio.

Lo kheelle che' leq yaaqov (Ger,X,16) (= non cosi'dovrebbe essere la sorte d'Israele). La coscienza di se', il valore assoluto ed eterno della vita ha sempre sostenuto Israele nelle sue ore piu' gravi e cosi'deve essere anche oggi per noi; e ci risuona l'eco del grido appassionato del poeta ebreo, che, di fronte alle tragiche esperienze della sua esistenza, esclamava nel duro esilio per se' e per i suoi fratelli di sventura: ma tishtochachinafshiuma' tehemi' alay hochili lelohim (Sal.XLII,12) (= perche' sei cosi'triste, o anima mia? perche' gemi per me? spera in dio). Spcra nell signorc, questo e' il grido dell'anima ebraica che non vuole piegare sotto il peso della sventura. Sperate nel signore, fratelli vicini e lontani, rivolgetevi a lui in questi giorni di Tefillah, implorate la sua clemenza e il suo perdono; immergetevi nella profondita' di queste nostre sublimi preghiere, di queste accorate invocazioni di cui difficilmente si potrebbe superare la potenza e la sincerita', ritrovare nei loro accenti tutto il pathos dell'anima secolare di Israele, tempratasi a tutte le avversita' della vita.

Unitevi a noi nella preghiera e pregate con intensita' e commozione nelle vostre case, ovunque vi troviate.

Un'onda di conforto scendera' sui vostri animi e su quelli dei tanti nostri fratelli, infinitamente piu' di noi provati da questa dura procella della vita: e' vero, purtroppo, che molti dei nostri fratelli han dovuto soccombere, e' vero che le comunita' sono disperse e frazionate, che alcuni dei nostri templi sono distrutti; e' vero che le famiglie smembrate e che molte madri sospirano e pregano per i figli lontani, che la desolazione e l'ansia dell'immediato domani amareggiano la nostra esistenza; ma e altresi'vero che anche le grandi calamita' hanno il benefico influsso di temprare e purificare e rafforzare gli animi, riportandoli a dio, e' vero soprattutto che grande e misericordioso e' il padre che e' nei cieli, che infinitamente provvidenti e salutari sono le sue vie e che egli, anche attraverso la sventura e il dolore, puo' far nascere e spuntare i germi del conforto e della speranza della vita.

E, questa speranza della vita, Israele non ha mai perduto, non ha mai dimenticato, anche quando la vita sembrava allontanarsi da lui; questa speranza di vita noi ricordiamo nel grido appassionato: zokhrenu lechayim melekh chafetz bachayim (dalla prima benedizione della amida') (= ricordaci per darci vita, re cui e' grato accordar la vita). Con questa verita' nel cuore, fatevi forti, fratelli, ed io sono certo che il dio d'Israele, dei nostri padri, che ci ha guidati e sorretti fino a questo giorno, che ci ha preservati in vita da tanti pericoli e insidie, egli, padre clemente e misericordioso, ricordera' ancora noi tutti per la vita in questo fatidico giorno di Rosh Ha-Shana' e vorra' benedire noi, le nostre famiglie e i nostri cari e vorra' ancora, come dice il poeta, consolarci un giorno in proporzione di quanto ci ha addolorati, e fara' si'che se nel pianto abbiamo seminato, possiamo raccogliere nel giubilo e veder spuntare presto quell'epoca di shalom, di pace e di salvezza, di conforto e di speranza, di guarigione e di risollevamento, che noi imploriamo nel nostro Qaddish per Israele e per l'umanita':

Baagala ubizman qarib = presto e ai nostri giorni, amen.

Riccardo Pacifici
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