Rav Franco Segre

La gravita' della crisi del rabbinato italiano e' dovuta alla somma di differenti cause: una quantitativa, nella copertura delle funzioni occorrenti, una nei rapporti tra il rabbino e gli ebrei della comunita' in cui opera, una nei rapporti tra i rabbini e il mondo esterno italiano una infine tra il rabbinato italiano, con il suo livello di cultura e di osservanza, ed altre forme di ebraismo che operano in Italia e fuori (compreso Israele). Esaminiamole una per una:

Crisi quantitativa

Considerando l'attuale situazione numerica, si scopre che la crisi non e' dovuta a mancanza di titoli rabbinici pieni, ma piuttosto alla non completa disponibilita' ad esercitarli; inoltre e' molto piu' marcata nell'ambito delle funzioni operative, in molti casi molto piu' necessarie rispetto a quelle direttive (e cio' e' dovuto in buona parte anche al basso livello culturale degli ebrei cosiddetti laici che non sono in grado di svolgere da soli molti compiti connessi con il culto, la cultura e l'osservanza delle norme), ed e' in parte dovuta a disorganizzazione nel rendere attiva la funzione itinerante per le medio-piccole comunita'.

Questa crisi (che ovviamente e' legata anche a delicate questioni economiche) non puo' essere superata se non attraverso una sistematizzazione centralizzata, da parte dell'unione, della consulta rabbinica o dell'assemblea rabbinica, delle carriere rabbiniche su due livelli funzionali, che tenga ovviamente conto delle richieste/esigenze delle due categorie interessate: in particolare, per la funzione operativa, occorre a mio parere una specie di contratto di lavoro, che si ponga l'obiettivo di superare l'attuale discresia tra domanda ed offerta; invece, per la copertura delle cariche rabbiniche a pieno titolo, ritengo che la trattativa diretta tra comunita' e rabbino continui ad essere la migliore e forse insostituibile forma di istituzione di un rapporto contrattuale, ma anche qui un'azione centralizzata ed autorevole di consulenza e di indirizzo, oggi del tutto carente sarebbe oltremodo necessaria.

Crisi nei rapporti con l'istituzione comunitaria

Lo statuto dell'ebraismo italiano, nel suo art. 1, ha posto due pilastri fondamentali all'attivita' delle comunita' e dell'unione: esse da un lato sono definite formazioni sociali originarie, organizzate secondo la legge e le tradizioni ebraiche, dall'altro provvedono al soddisfacimento sia delle esigenze religiose, sia di quelle associative, sociali e culturali degli ebrei. E' importante ricordare questi principi perche', nei rapporti tra comunita' e unione da una parte e rabbinato dall'altra si dimentica quasi sempre il profondo e peculiare valore che dovrebbe scaturire dall'integrazione dei contributi rabbinici e non rabbinici nella costruzione dell'edificio comunitario: da un lato, quello non rabbinico, il concetto di integrazione viene spesso confuso con quello di integralismo, da cui occorre difendersi, per cui si tende a dire e a fare in modo che gli uni si occupino delle caratteristiche sociali e gli altri badino a tutelare la legge e le tradizioni ebraiche, che spetti agli uni soddisfare le esigenze associative, agli altri provvedere a quelle religiose; dall'altro lato, quello dei rabbini, il gioco delle parti divise e separate viene accettato e quasi desiderato, per cui si tende ad occuparsi sempre piu' dei soli aspetti visivamente piu' ritualistici e formali, dando l'impressione che certi contenuti che piu' impattano con l'ambito sociale (e spesso con quello morale) interessino meno.

A mio parere e' indispensabile da tutte le parti fare uno sforzo per superare questa dicotomia, che e' in netta controtendenza rispetto al desiderio e alla volonta' del congresso costituente: vorremmo vedere i rabbini impegnati nella valorizzazione delle nostre formazione sociali originarie, nella difesa, nelle nostre istituzioni, dei principi di democrazia (ovviamente quando non contrastano con la legge ebraica) con uno zelo altrettanto intenso rispetto a quello profuso, per esempio, nella difesa delle regole di Casheruth; vorremmo vedere i non rabbini che operano nelle istituzioni, piu' determinati a coinvolgere il rabbinato nella difesa dei diritti delle minoranze, nell'antifascismo, nella lotta contro i fondamentalismi, contro il prevalere dell'apparenza sulla sostanza, intesa come lotta aperta alle attuali idolatrie, a cui l'ebraismo, laico e religioso al tempo stesso, deve decisamente opporsi.

Crisi nei rapporti tra rabbini ed ebrei

Le situazioni di urto tra gli ebrei di una comunita' e il loro rabbini tendono a crescere nel tempo. Io sostengo che una buona dose di conflittualita' non solo non sia dannosa, ma anzi sia necessaria ed auspicabile, specialmente in un paese come il nostro dove incombe l'assimilazione, dove l'ignoranza sulle regole porta spesso i consigli di ad assumere posizioni inaccettabili per l'Alachah. D'alta parte un rabbino troppo severo nell'applicazione della norma, che non si rende conto delle reali difficolta' degli ebrei a comprenderlo e seguirlo, e' altrettanto negativo rispetto a un rabbino troppo condiscendente.

Cio' che preoccupa non e' il valore assoluto, l'effettivo grado raggiunto di osservanza e di reciproca comprensione, ma la tendenza agli opposti estremismi: personalmente non mi scandalizzo, anzi sono lieto che il valore medio dell'osservanza delle Mitzvoth sia in aumento, quando questa e' accompagnata da un'acquisita crescita della coscienza ebraica; mentre temo fortemente gli atteggiamenti intransigenti e prevenuti, che spingono sempre piu' sovente gli opposti schieramenti a costruire le barricate sulle proprie posizioni, qualunque esse siano: in queste condizioni non si bada piu' a conoscere a capire, ad ascoltare e discutere, ma il dialogo aperto viene sostituito dal pregiudizio e dall'arroganza.

Quanto siamo lontani dal leit-motif dello statuto, di cui parlavo prima! Qui intravedo il rischio gravissimo di avviarci verso la guerra di religione, verso una spaccatura tra differenti schieramenti alla quale l'ebraismo italiano, per sua fondamentale caratteristica, ha sempre voluto e saputo rimanere estraneo.

Un rabbino per la comunita' e' una persona che, prima ancora di definire il traguardo di osservanza a cui condurre le propri pecorelle, si immedesima psicologicamente nel loro modo di pensare (ma gli insegnamenti di psicologia pare non facciano parte dei corsi rabbinici) e nelle loro difficolta' di compressione e di accettazione e dimostra nel contempo la massima energia nell'appropriarsi non solo delle tradizioni locali, ma di tutti quei lati forte di cultura e di pensiero che caratterizzano la storia e la vita di ogni comunita', mirando soprattutto a costruire prima ancora che a distruggere; una comunita' per il rabbino e' un insieme di ebrei che non rimpiange ad ogni occasione il predecessore, dimenticandosi completamente di quanto a suo tempo lo contestava, che non si lamenta per le differenti opinioni ed i diversi atteggiamenti tra questo e quel rabbino, dimenticandosi completamente che il bello dell'ebraismo e' proprio il pluralismo delle idee, che non protesta per i diversi gradi di ortodossia, dimenticandosi completamente delle differenze di situazione e di circostanze; ma cerca invece di avvicinarsi a cio' che il rabbino puo' maggiormente dare, in funzione della sua cultura, delle sue caratteristiche personali, ne divulga il pensiero e gli insegnamenti, ed e' pronta ad aprire e sostenere un dialogo costruttivo anche su quegli argomenti che ad un primo e superficiale esame possono apparire piu' difficili e lontani.

Crisi nei rapporti tra il rabbino e il mondo esterno italiano

Anche in questo campo, la crisi si riscontra piu' delle tendenze che negli effettivi atteggiamenti assunti dai vari rabbini. Possiamo contestare che i rabbini piu' propensi alle relazioni esterne, manifestano questa loro tendenza in modo via via crescente, fin quando si trovano costretti, per essere compresi o accettati, a venire a compromessi con il loro stesso ebraismo.

Per contro altri loro colleghi, non so se per reazione all'atteggiamento dei primi o per intima convinzione, negano e rifiutano qualunque contatto con i Goim, considerato come pericolosissma fonte di assimilazione, o come vietato dall'Alachah. In ogni caso noi constatiamo un'estremizzazione, che risulta tanto piu' pericolosa in un momento in cui e' fondamentale l'apporto che la nostra cultura di minoranza puo' e deve dare alla soluzione dei problemi politici, economici e democratici dell'Italia ed al mantenimento del difficilissimo equilibrio di rapporti con la chiesa.

Le vie di mezzo non esistono?

Crisi tra il rabbino italiano ed altre forme di ebraismo

Al successo che sempre piu' riscuotono i fondamentalismi nel mondo, anche l'ebraismo non si sottrae. Di fronte a questo pericolo, i rabbini italiani non devono a mio avviso nutrire timori e remore nel presentare un ebraismo diverso, sia nell'apparenza che nella sostanza, pur non venendo meno all'appartenenza all'ortodossia. Il rischio di essere buttati fuori va corso, e sapremo pur difenderci.

Anzi il porsi in una situazione di difesa significa a mio avviso partire con il piede sbagliato, significa subire il complesso di inferiorita' ed accettare passivamente la violenza psicologica (perch‚ spesso si tratta proprio di questo) di quei rabbinati che, assolutamente convinti di essere nel giusto, sono spesso pronti a calpestare la morale comune (che ritengo sia prima ancora morale ebraica) ed i diritti degli altri. Bisogna saper attaccare, quando non se ne pu• fare a meno, e in molti casi e' indispensabile.

Ma per farlo occorre che i rabbini italiani sappiano conquistarsi la necessaria autorevolezza, con un maggiore impegno nella ricerca storica e Halakhica, nel farsi conoscere all'esterno con valide pubblicazioni ed interventi ai convegni internazionali, ed anche con una maggiore costanza e coerenza nel perseguimento degli obiettivi. Pur nel pieno rispetto dell'autonomia e liberta' di pensiero dei singoli, e' necessario che i nostri rabbini svolgano, a questo proposito, un'azione di gruppo ben programmata e coordinata, individuando preventivamente i temi piu' importanti da affrontare, i punti forti da sostenere suddividendosi organicamente i compiti, e ricercando anche possibili alleanze nei rabbinati di altri paesi, sempre nell'ambito dell'ebraismo ortodosso di cui facciamo parte.

Concludendo questo mio intervento, ritengo che la gravita' della situazione e, soprattutto, la pericolosissima tendenza al peggioramento richiedano l'adozione di provvedimenti indifferibili, (che quindi vanno definiti ed avviati in tempi brevissmi), che si devono tutti avvalere di due ingredienti comuni: da un lato una maggiore organizzazione a livello centrale, nel definire funzioni, incarichi, rapporti di lavoro, nel trovare ed assegnare le risorse umane, nell'individuare tematiche prioritarie, nel pianificare e mettere in atto le attivita' culturali ed operative verso l'esterno; dall'altro una maggiore disponibilita' al dialogo, sia tra rabbini e rabbini, sia tra rabbini ed unione delle comunita', per una maggiore comprensione reciproca, per il superamento delle situazioni di stallo, per un effettivo miglioramento dei livelli di coscienza, di cultura e di impegno in campo ebraico.

Ed ogni giusta pretesa di ricevere di piu' deve essere preceduta da tutte e due le parti, dalla convinzione e dall'intenzione di dover dare di piu', i rabbini per la comunita', le comunita' per i rabbini, gli ebrei italiani (rabbini e non) per il mantenimento e la valorizzazione delle loro peculiarita'.

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