Sig. Israel

Io avrei voluto svolgere una relazione di taglio vagamente filosofico ma siccome ho un quarto d'ora di tempo e essendo un abituale frequentatore di congressi so che la puntualita' e' un fatto essenziale. Siccome, dall'altra parte, non potrei contenere le cose abbastanza complessi che volevo dire in un quarto d'ora e siccome anche, come ha detto cortesemente il mio predecessore, non pongo una questione di par condicio ma avendo seguito tutto il dibattito oggi, non credo che in un quarto d'ora si potrebbe riuscire a rappresentare una serie di problemi che vorrei porre da una posizione diciamo laica, anche se questo termine e' stato usato con almeno tre o quattro significati oggi per cui non so esattamente che cose vuol dire ma forse vagamente ci intendiamo.

Non potrebbe essere rappresentato cosi' sinteticamente per cui piuttosto lascio un po' andare quello che volevo dire e parlero' di altro. Vorrei fare uno o due osservazioni di metodo generale su quello che vorrei dire e poi mi limitero' semplicemente, chiudendo, a citare un brano che e' in qualche modo il nucleo da cui volevo sviluppare queste considerazioni. Il punto che mi porrei, tenuto conto anche di quello che e' il tema generale di questo convegno, il problema della identita' ebraica dentro la societa' in cui viviamo, uno dei tema che erano stati posti, e' fino a che punto.. E non c'e' ombra di polemica in quello che vorrei dire, ma c'e' franchezza. E' essenziale mettere un po', come si dice, i piedi nel piatto... Quando c'e' effettivamente volonta' di dialogo e di uno scambio tra delle posizioni religiose in senso pieno, anche idealista o integralista, e delle posizioni laiche.

Una coesistenza e un dialogo fecondo fra queste due posizioni. Io francamente ho ricavato un'impressione abbastanza pessimistica da quello che ho sentito, in particolare questa mattina. Non e' tanto la questione del pluralismo, diciamo, dell'affermazione del pluralismo perche' questo e' in fondo una cosa banale. Poi, in questi tempi dove si ripete questa banalita' della par condicio; e' diventato persino estenuante. Non neanche di certe affermazioni fatte con dito elevato a dire, questo non si deve fare, perche' questi dita elevate sono irrisorie di per se'. Tante volte danno l'idea di un dito solo elevato che spera da solo di fermare una valanga e mi riferisco a alcune osservazioni che ho sentito e vorrei fare qualche riflessione. Io non mi sognavo di pensare e non mi sognavo e non sognerei di dire che lo sviluppo delle Yeshivot non sia fondamentale per lo sviluppo di un ebraismo vivo.

Ma non vorrei nello stesso modo sentire dire che lo sviluppo della cultura ebraica sia qualche cosa che non ha nessun interesse per un ebraismo che vorrebbe chiamarsi vivo, perche' questo e' stato detto. E' stato detto con la motivazione di qualche cosa che ha percorso una seria di interventi su cui veramente la discussione dovrebbe centrarsi, se non e' inutile. Cioe', la un po' direi ossessiva ricerca di quello che in qualche modo puo' distinguere rispetto a qualsiasi altra cosa appartenga agli altri. Per cui, e' stato detto, la cultura ebraica, siccome la possono fare anche i Goyim, non ci interessa piu'. Noi invece, quello che abbiamo di specifico che gli altri non possono fare e' sviluppare la cultura delle Yeshivot.

Per quanto riguarda la cultura ebraica in quanto tale, e' stato detto, la possono fare chiunque, quindi non e' una caratteristica distintiva e specifica. Il che, e probabilmente voi siete d'accordo ma e' bene dire queste cose perche' cosi' poi, ci si chiarisce. Contiene evidentemente una contraddizione in se' una cosa di questo genere perche', diciamo, se esiste una cultura ebraica, e' una contraddizione in se che poi porta a una conseguenza quasi paradossale. Se una cultura ebraica esiste, e esiste, anche se c'e' chi ne vorrebbe spossessare, evidentemente qualcuna l'ha creato e evidentemente questo qualcuno sono gli ebrei, nel passato, magari nel lontano passato. Non a caso questa cultura si chiama cultura ebraica. Quindi vuol dire che noi viviamo in un momento in cui un ebreo ha deciso che questo qualcosa ormai appartiene a un contesto piu' largo e non hanno interesse come tale a sviluppare e che piuttosto delegano agli altri, ai Goyim.

Quindi questo richiama?? Un'affermazione, ed e' bene esplicitarla. Anzi, discutendo ci rendiamo contro che invece nessuno penso questo, ma c'e' il rischio invece che ci pensino. Io l'ho percepito. Cioe', il problema e' che a questo punto, noi siamo in una fase in cui quello che conta e' una cultura di tipo halakhahico, esclusivamente aderente alle Mizvot, ecc., e non interesse piu' una cultura ebraica. Per esempio c'e' il discorso sull'etica che e' stato molto correttamente toccato da Carucci primo, e lo riprendero', e quindi tutto questo, a partire d'altri che significa una semplice cosa, lo si puo' anche accettare ma basta che sia chiaro e cioe' in tale modo si decide di essere una specie di riserva indiana che si presenta all'esterno come coloro che vogliono esibire le caratteristiche distintive di quel qualcosa che fu.

Cioe' di quelli che, al suo tempo crearono la cultura ebraica che ora a costoro non interessa piu', ai membri della riserva indiana non interessa piu'.

E quindi che gli altri la gestiscono. Loro sono la' a mostrare come erano quelli che la crearono. Ecco, questo e' un punto su cui (...) Si apre semplicemente la strada del drammatico svuotamento perche', e questa e' la mia opinione, come non esiste un ebraismo vivo senza le Yeshivot, non esiste un ebraismo vivo senza la cultura ebraica. Ove uno di questi due componenti che dialetticamente sono stati presenti nei secoli e secoli di vita espansiva dell'ebraismo venissero a mancare, questo sarebbe il momento di una crisi che aprirebbe esattamente quelle prospettive delineate dall'esponente australiano di cui parlava stamattina Tullia Zevi. La questione dell'etica. Anche qui, lo chiamava Carucci prima per cui io non e' che devo soffermarmi molto e anche io sono evidentemente d'accordo che l'ebraismo non puo' esaurirsi nell'etica.

Pero', ho trovato bizzarro il modo in cui e' stato motivato questo, cioe' di dire che, siccome l'etica e' in fondo qualcosa che appartiene a tutti, allora non ci interessa perche' non e' una caratteristica distintiva, e' stata detta questa. Ora questa e' di nuovo nell'identica logica del discorso precedente. Con questa logica, consentitemi la battuta, si potrebbero trovare delle soluzione piu' semplici. Decidiamo tutti a portare mezzo baffo e una caratteristica distintiva piu' clamorosa di questa non c'e'. Il vero problema e' che la risposta e' semplice. L'etica e' qualcosa che interessa a tutti, ma le risposte all'etica non sono uguali. Questo e' uno dei punti che avrei sviluppato, ne avrei chiesto una mezz'ora di una relazione. Una risposta sui problemi dell'etica da parte dell'ebraismo nella societa' contemporanea, secolarizzata e tecnologica puo' essere una risposta profondamente diversa di quella data da altre culture religiose come quella cattolica, quella protestante o islamica, un risposta che contiene, a mio parere elementi di profonda vitalita' e interesse, una risposta originale, quindi distintiva. Per chi e' ossessionato da questo problema della distinzione c'e' anche la distinzione dentro.

Ma come pensare che un ebraismo veramente vivo non posso avere una risposta sull'etica? Se siamo arrivati a questo punto, allora siamo arrivati veramente a un punto drammatico. Cioe', come pensare, ripeto che i due componenti non possono stare insieme, anzi tre, se volete. Il problema della cultura delle yeshivot, il problema delle regole, il problema della cultura ebraica in generale, il problema dell'etica. Come si fa a far cascare uno di questi componenti. Io credo che, come ebbe da scrivere ... In un lungo saggio molti anni fa su questi temi, credo che apra la prospettiva abbastanza inquietante, che era il titolo di questo saggio Gli ebrei senza ebraismo e l'ebraismo senza ebrei.

Questa e' la prospettiva inquietante che mutilazione come quella che si profila da questa ossessione della distinzione fino al punto di negare una risposta ebraica sul piano dell'etica possono produrre.

Io non voglio esprimere alcuni posizione piu' polemiche che invece sono uscite alla fine del dibattito di questa mattina. Il mio, nonostante che possono apparire abbastanza accese alcune delle mie affermazioni, e' un invito al discutere queste cose perche' dove invece non si discute e si culli in alcune apparente certezze, allora io non sono che cosa di positivo si puo' avere da questo. Ho parlato per dieci minuti e allora mi rimangono cinque. A questo punto vorrei dire molto rapidamente e quindi molto schematicamente su questi discorsi. Si e' accennato all'interesse per la scienza prima. Io non accetto e lo vorrei trattare, pero' vorrei dire che il tema della cultura ebraica in generale che ci sono delle questioni su cui oggi l'ebraismo puo' dare delle risposte importanti. Una serie di riflessioni che volevo fare erano legate a un saggio ormai di una ventina di anni fa, di sholem, del 1973.

Una conferenza che tenne in california, a santa barbara dal titolo considerazione sulla teologia ebraica da cui vi leggo un brano: un ebraismo vivo, quale che si la sua concezione di D-o, dovrebbe opporsi risolutamente al naturalismo. Dovrebbe insistere sul fatto che una nozione cosi' diffusa di un mondo in progresso e' che sarebbe lui stesso la sorgente di una libera produzione di senso, il che fra tutti i fenomeni e' la cosa piu' difficile a cogliere, puo' essere evidentemente proposta ma non puo' essere sostenuto seriamente. Certamente, la ipotesi secondo la quale il mondo e' un luogo di un'assenza di senso e' ..., condizione tuttavia che si trova un solo uomo che sia pronto ad accettarne le conseguenze. La frivolezza filosofica con la quale molti biologi tentano di ricondurre le categorie morali a categorie biologiche e' una delle caratteristiche piu' oscure del clima intellettuale delle nostra epoca ma non potrebbe ingannarci sul carattere disperata di una simile impressa.

Basta studiare attentamente una solo di queste opere percepire gli equivoci, .... Di principio, .... Ideologiche, le fessure in questo genere di edificio intellettuale. Non sara' mai possibile di mostrare l'esistenza, l'ipotesi secondo la quale il mondo ha un senso con estrapolazioni condotte al di fuori di contesti di significato determinati perche' questa convinzione e' la base della fede della creazione. Ora, il discorso sarebbe lungo e complesso, quello che non posso fare ma io credo che in un modo come quello di oggi questo tema del naturalismo e dello svuotamento di senso e' un grande tema e una grande sfida per la cultura ebraica, che nella cultura occidentale e' stata, per secoli e secoli, quel polo che ha rappresentato l'affermazione dell'esigenza del senso, dell'importanza del senso.

L'ebreo non ha mai visto, come il greco, nel mondo semplicemente un meccanismo di cui occorreva scoprire gli ingranaggi ma ha cercato le finalita' e i significati. Oggi noi viviamo in una societa' tecnologica profondamente confusa da quello a cui sholem accennava e cioe' questa idea che si possa attribuire senso all'idea stessa di una societa' in progresso, che e' la piu' grande contraddizione che si possa immaginare. Io ritengo che una cultura viva dell'ebraismo abbia delle risposte da dare sul questo tema, delle risposte profonde che la leggono anche alle sue tradizioni. Possono fare di questa tradizione qualcosa di vivo. Ma su questo punto mi fermo, lasciando il discorso a livello genericamente ontologico. Grazie.

Israel

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