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ott 23, 2001 |
Aspetti di vita ebraica,  |
redazione

La famiglia nella tradizione ebraica

Quando D-o creo' l'uomo, lo colloco' nel giardino dell'eden ed ebbe l'impressione che la sua solitudine non fosse una cosa ne' buona ne' bella. Certo, potrebbe apparire strano questo pensiero un po' tardivo della divinita', quasi a dirci che il creatore non fosse in grado di rendersene conto anche prima, come se l'uomo, a differenza degli altri animali che D-o aveva creato, dovesse rimanere solo, senza prole.

Ma la Bibbia non e' un libro scientifico da interpretarsi alla lettera, ma si occupa di morale e le prime pagine della Genesi devono considerate come un mito filosofico che da un lato espone la grande cura che D-o ha nei riguardi dell'uomo e dall'altro dimostra di che genere, grado ed importanza sia la donna, data all'uomo come compagna.

Contro le idee consuete per cui la donna e' differente, inferiore, la Bibbia, non solo la fa nascere da una materia gia' vivente, la famosa costola di Adamo, anziche' dalla terra, ma la dichiara degna di lui e gliene fa dono. Questo e' dunque il primo matrimonio della storia che la Bibbia cosi' descrive per i posteri: l'uomo disse questa e' ossa delle mie ossa e carne della mia carne; essa si chiamera' donna (isha') poiche' e' stata tratta dall'uomo (ish). Per questo l'uomo lascera' suo padre e sua madre si unira' alla sua donna e formeranno un solo essere umano.

Ma, si potrebbe osservare, la donna fece subito cattiva prova quando si lascio' tentare dal serpente e dal frutto dell'albero proibito e trascino' nel peccato anche suo marito che per scolparsi non esito' ad accusare la sua compagna. Il signore gli chiede: hai mangiato forse del frutto che io ti avevo vietato? e Adamo: e' stata la donna che tu mi hai messo vicino che me l'ha dato e io l'ho mangiato. Come dire: che bel servizio mi hai fatto mettendomi vicino questa donna che mi ha indotto al peccato.

E' quasi come dirgli: la colpa e' anche un po' tua!

Ma a veder bene il testo biblico sembrerebbe che la donna sia innocente perche' non poteva sapere del divieto che era stato imposto ad Adamo quando ancora lei non era venuta al mondo. Eva pecca solo per ignoranza perche' non sa che commette un atto proibito, ma viene punita perche' deve saper resistere alle tentazioni, alle lusinghe dei sensi e alle seduttrici apparenze.

Come questa prima unione non fu accompagnata da alcuna cerimonia, cosi' per tutto il periodo biblico nessuna cerimonia accompagno' l'unione di due sposi perche' considerata un fatto privato, un evento familiare. Quando Abramo vuol dar moglie ad Isacco, manda il suo servo a trovargliela fra i suoi parenti rimasti in Ur Kasdim. La giovane Rebecca piace al servo che la vuole portare al suo padrone; i genitori e i parenti acconsentono ed anche Rebecca che non conosce, per non averlo mai visto, il futuro marito. Il testo della Genesi narra che Isacco, dopo averla incontrata, la condusse nella tenda della madre, la defunta Sara, e la' la prese in moglie.

Anche nel cantico dei cantici vi e' qualche cosa di simile per indicare il matrimonio. La pastorella innamorata nel veder il suo amato esclama: l'ho afferrato per non piu' lasciarlo, finche' lo avro' condotto a casa di mia madre, nella camera di colei che mi ha partorito.

Mi pare che si possa affermare che fin dai tempi dei patriarchi il matrimonio non aveva alcuna particolare celebrazione: bastava condurre la sposa nella camera della madre. Ma quale poteva essere il significato di questa usanza a me sembra abbastanza chiaro. La camera della madre dello sposo o della sposa era una specie di luogo consacrato all'amore e alla procreazione e pertanto l'introdurvi la sposa voleva esprimere chiaramente l'intenzione dello sposo di considerarla degna di continuare la tradizione della sua famiglia. Questo patto nunziale veniva festeggiato con un banchetto fino dalla piu' lontana antichita'; ne fa fede il capitolo XXIX della Genesi dove si narra del matrimonio di Giacobbe con la bella Rachele, nozze celebrate con un banchetto a cui e' invitata tutta la gente del luogo.

Secondo il diritto biblico l'uomo doveva dare alla donna che voleva sposare una dote che poteva essere una somma di denaro, oggetti preziosi o anche il frutto del proprio lavoro per un certo periodo e che valutato sarebbe apparso sufficiente per la dote richiesta dal padre della sposa.? ? L'acquisto della donna mediante la dote e' una delle tre forme di impegno matrimoniale note al diritto ebraico tradizionale: essa dovette seguire alla forma piu' antica e primitiva della coabitazione e precedere quella del contratto o convenzione scritta. Quello che per noi oggi e' un rito cerimoniale era anticamente una vivente realta'. L'uomo che voleva sposare una donna doveva per prima cosa fare una richiesta al padre di lei, versare la dote stabilita e scrivere il contratto di matrimonio.

Questo era una specie di fidanzamento che pero' impediva alla ragazza di sposarsi con qualche altro e la obbligava a rimanere nella casa paterna fin quando lo sposo fosse in condizione di prenderla con se'. Questo periodo era normalmente di un anno, passato il quale lo stesso sposo o se la prendeva oppure divorziava da lei. La figura degli sposi e il rito nunziale sono rimasti nella poesia ebraica come immagini di gioia e di bellezza che Isaia cosi' descrive: io gioisco nel signore, l'anima mia gode nel mio D-o, perche' ha vestita gli abiti di salvezza, mi ha avvolto nel mantello della giustizia, come lo sposo che cinge la corona e come la sposa che si orna dei suoi monili. Nei salmi poi il sole che sorge a illuminare la terra e' paragonato allo sposo che esce dalla tenda nunziale.

Il cantico dei cantici il piu' famoso e il piu' bello tra i poemi, e' un canto nuziale con cui si usava celebrare le unioni d'amore quando il popolo ebraico, nella terra promessa, respirava la pura aria delle sue campagne. Che le nozze fossero accompagnate da musica e da canti nelle citta' della giudea e per le vie di Gerusalemme e' testimoniato da Geremia che, promettendo il ritorno del popolo alla sua terra, profetizzava che in quel tempo torneranno a risuonare come una volta voci di giubilo e voci di gioia, voci di sposi e voci di sposa. Augurio questo che anche oggi si ripete durante la celebrazione dei matrimoni: benedetto sii tu, o signore D-o nostro, re del mondo, quel D-o che ha creato la gioia e la letizia, lo sposo e la sposa, l'allegrezza e il canto, il giubilo e il gaudio, l'amore e la fratellanza, la pace e l'amicizia; fa', o signore D-o nostro, che si odano presto nelle citta' di giudea e nelle vie di Gerusalemme voci di letizia e voci di gioia, voci di sposi e voci di spose, canti giocondi di sposi dal loro baldacchino e di giovani dal banchetto della loro festa.

Benedetto sii tu, o signore, che fai gioire lo sposo insieme alla sposa.

L'ebraismo non ammette il celibato e considera precetto fondamentale il matrimonio basandosi sul ricordo biblico della creazione del primo uomo. Infatti parlando di Adamo il testo dice: li creo' maschio e femmina e li chiamo' (cioe' ambedue insieme) uomo e donna quindi diceva Rabbi Elazar: non e' un uomo colui che non abbia moglie. Come non ammette il celibato l'ebraismo non ammette neppure l'ascetismo. E' pur vero che si trovano qua' o la' singole tracce di una simile tendenza, ma in complesso, l'ebraismo e' rimasto rigidamente fedele allo scopo provvidenziale del matrimonio. La tendenza al celibato si puo' reperire presso gli esseni, quella setta ebraica che sosteneva essere bene per l'uomo non toccar donna.

Presso gli ebrei il matrimonio puo' essere sciolto con il ripudio quando, dice la Bibbia, un uomo abbia sposato una donna coabitato con lei, se essa cessa di piacergli perche' ha scoperto in lei qualche cosa di vergognoso, allora potra' scrivere un atto di ripudio e rimandarla a casa sua. Che cosa significa l'espressione se essa cessa di piacergli perche' ha scoperto in lei qualche cosa di vergognoso l'espressione e' generica e lascia adito a molte interpretazioni e polemiche fra le scuole dei piu' dotti rabbini. Si va dall'estremo dell'adulterio all'altro estremo del dissenso coniugale su qualche futile argomento, che causa malumore. Ma in generale la cosa importante da appurare era se nei lievi motivi che hanno portato alla crisi coniugale ci fosse qualche indizio o qualche segno sicuro di una condotta poco seria, negligente o incivile che rendeva difficile la vita coniugale. Se l'armonia non esiste piu' nella coppia, ne' la serena comunione degli spiriti, allora il matrimonio perde il suo significato di consacrazione e non vale la pena che continui.

La meta principale dell'ebraismo e' quella sociale: non deve meravigliare, quindi, che esso abbia assunto di fronte a questo problema un atteggiamento coerente al suo spirito ed abbia fissato una norma legale che consentiva il divorzio non solo per condotta immorale ma anche per altre cause che potevano dividere i cuori dei coniugi. E cio' perche' il disaccordo che si produce sul focolare domestico e' causa di danno morale alla vita della famiglia e alla educazione dei figli. Il divorzio fu in origine un privilegio attribuito solo al marito. Ma essendosi diffuso il convincimento che la vita matrimoniale non tollera costrizione sentimentali, non era possibile che non si estendesse a poco a poco anche all'altra parte e cioe' alla donna. Cosi' nacquero le prime leggi per cui si obbliga il marito a dare il divorzio alla moglie, anche se egli non vuole mediante un decreto del tribunale.

Ormai dunque non si puo' piu' dire che secondo il rito ebraico la moglie non puo' ripudiare il marito. Il matrimonio ha come scopo fondamentale la procreazione. I figli sono considerati una benedizione del signore e i genitori sono tenuti a dar loro quanto e' necessario perche' crescano forti e sani. Sani nel corpo e nello spirito nel senso che debbono anche preoccuparsi della loro formazione spirituale, indirizzandoli nella via del bene e della morale. La madre e' responsabile della crescita e dell'educazione dei figli fino all'eta' di sei anni. Poi subentrano il padre ed i maestri. Insieme all'insegnamento morale il padre e' obbligato a dare ai figli un mestiere in modo da renderli indipendenti dopo che abbia compiuto il diciannovesimo anno di eta', quando egli stesso dovra' cercarsi una moglie e creare una nuova famiglia.

Rav Elio Toaff rabbino maggiore della comunita' ebraica di Roma