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nov 25, 2002 |
Attualità culturale,  |
redazione

Appunti su Primo Levi

di Silvana Calvo

La storia

Scrittore torinese, ebreo.

Nato nel 1919, studia chimica. Si laurea mentre sono in vigore le leggi razziali italiane del 1938 (sulla sua Laurea compare la scritta “di razza ebraica”).

 Con l’invasione tedesca (1943) diventa partigiano ma viene subito catturato dai fascisti e consegnato ai tedeschi nel campo di raccolta di Fossoli. Viene deportato ad Auschwitz col treno n. 8 il 22 febbraio 1944.

Quanto gli successo dalla partenza dall’Italia fino alla liberazione da parte dei Sovietici è descritto nel libro Se questo è un uomo. Prima di rientrare in Italia vive un periodo di trasferimenti e di avventure: questi avvenimenti sono raccontati nel libro La tregua.

Dopo il ritorno si inserisce nel mondo del lavoro e per una trentina danni un dirigerà una fabbrica chimica di vernici (P.Levi trasmette le sue esperienze di vita e di lavoro in Il sistema periodico).

L’ 11 aprile 1987 muore cadendo dalla tromba delle scale della sua casa a Torino, verosimilmente per suicidio. Si sa che in quel periodo era molto malato e depresso. Non ha lasciato scritti che spiegano il gesto.

Le opere

si dividono in quattro gruppi:

1. Testimonianza e riflessione sul Lager

Se questo è un uomoLa  treguaI sommersi e i salvati

Mentre i primi due sono prevalentemente di testimonianza, il terzo è un approfondimento della riflessione per cercare di capire il perché degli avvenimenti e soprattutto per analizzare in modo coraggioso la posizione di tutti i protagonisti senza una linea di demarcazione rigida tra i buoni e i cattivi, studiando anche le posizioni intermedie, la zona grigia, di chi ha, pur in una posizione di vittima, in parte più o meno grande, collaborato con l’oppressore.

Alcuni scritti e racconti che parlano del Lager si trovano inclusi nei libri di racconti e di saggi pubblicati successivamente.

2. Romanzi

Il sistema periodico (autobiografico): narra la maturazione di un uomo, scandita da capitoli, ognuno dedicato ad un elemento del sistema periodico.

La chiave a stella: le avventure di lavoro di un montatore di gru e tralicci; un inno alla libertà frutto del lavoro fatto con competenza.

Se non ora quando: racconto picaresco delle avventure di un gruppo di partigiani ebrei russi e polacchi che si conquistano la salvezza in un itinerario attraverso l’Europa, dalle Steppe russe fino a Milano.

3. Racconti e saggi

a) Storie naturali - Vizio di forma

Racconti para- o fantascientifici che parlano di applicazioni fantastiche o paradossali di scienza e tecnologia.

b) Lilit e altri raccontiL’altrui  mestiereRacconti  e saggiL’ultimo natale di guerra

Racconti fantastici, poetici, divertenti, autobiografici. Oppure saggi su qualsiasi argomento di attualità o scientifico o intellettuale. Molti di questi testi sono stati pubblicati in anteprima come articoli sul quotidiano  La Stampa.

4. Poesie

L’Osteria di Brema – Ad ora incerta

Primo Levi considerava il poetare un’attività estemporanea ed estranea al suo modo abituale di pensare che era invece molto concreto.

SE QUESTO È UN UOMO.

Primo Levi racconta di aver iniziato la stesura del libro, sia mentalmente, sia su foglietti – che era costretto a distruggere subito per il pericolo di venir scoperto ed impiccato – già negli ultimi tempi della sua prigionia. Al ritorno a casa ha sentito un’urgente e impellente necessità di raccontare quanto gli era successo, tant’è vero che si è spesso paragonato al vecchio marinaio di Colleridge che affliggeva chiunque gli venisse a tiro col racconto delle sue sventure. L’incontro con la futura moglie e l’inserimento nella vita civile lo ha portato ad abbandonare questa frenetica forma di racconto, e l’ha indotto a scrivere la sua esperienza da testimone piuttosto che da accusatore, rivisitando i fatti con l’ausilio della ragione. Prima della pubblicazione del libro alcune parti sono state pubblicate sulla rivista Acta medica .

Inoltre diversi capitoli apparvero in anteprima sul settimanale della federazione comunista di Vercelli di cui era direttore il suo amico Silvio Ortona. Nel 1947 la casa editrice Einaudi rifiutò la pubblicazione del libro. La persona che ha esaminato e bocciato il testo stata Natalia Ginzburg. Così  la prima pubblicazione ha avuto luogo presso l’editore Da Silva, appunto nel 1947. Il libro è stato accolto positivamente da qualche intellettuale, ma è passato inosservato e non ha avuto successo di pubblico. La successiva pubblicazione presso Einaudi nel 1956 ha invece avuto la diffusione importante che meritava. Vi un’edizione speciale per la scuola media con qualche piccola modifica in alcune parti particolarmente crude, e con un ampio commento da parte dell’autore. Se questo un uomo è ormai tradotto in moltissime lingue. Particolare importanza ha avuto per Primo Levi la pubblicazione in tedesco. Come prefazione all’edizione in questa lingua, Primo Levi ha voluto che si pubblicasse la sua lettera di ringraziamento al traduttore che egli stimava molto e che è recentemente morto in Italia. In essa Levi afferma di non riuscire a capire i tedeschi.

In seguito a questa prefazione ha ricevuto molte lettere di tedeschi di cui parla in un capitolo del libro I sommersi e i salvati.

L’ITINERARIO DI SE QUESTO È UN UOMO

Il libro vuole essere in primo luogo una testimonianza storica. Il titolo Se questo è un uomo vuol significare che di fronte ad avvenimenti come i Lager i protagonisti (sia i carnefici, sia le vittime) si sono spogliati della doro dignità di uomini. Il libro descrive la progressiva trasformazione dell’uomo in una cosa, in un “non uomo”: partendo dall’internamento a Fossoli, il caricamento sul treno con le prime incomprensibili percosse, il viaggio degradante con fame, sete e mancanza di intimità per i bisogni fisici, l’arrivo al Lager con la selezione, il furto di tutti gli averi, il taglio dei capelli, il bagno satanico-rituale, il tatuaggio, la vestizione di stracci. Ognuno di questi soprusi è un passo sulla via della disumanizzazione. Inizia poi la vita nel Lager con la scoperta sconvolgente che non vi è posto, in quel luogo, per sentimenti umani di solidarietà e che il nemico più vicino a te, quello che ti darà il primo colpo, è proprio il tuo compagno di sventura, il prigioniero che soffre come te o che si conquistata una piccola posizione di privilegio e la difende a tue spese.

C’è poi il lavoro, duro, punitivo preceduto e seguito da cerimoniali assurdi e paradossali con la musica della fanfara che suona Rosamunda e interminabili appelli con i prigionieri schierati in piedi con il freddo e con la fame. Primo Levi racconta le notti da incubo nelle quali viene masticata una rapa che non c’è e si sogna il ritorno a casa dove il tuo racconto non viene ascoltato. Le notti su tavolacci duri con la coperta insufficiente e con la continua competizione per carpire un po’ di posto al tuo compagno di cuccetta, con la paura di dover uscire nel freddo con il secchio se per caso ne dovevi usufruire quando era necessario vuotarlo. Primo Levi racconta anche l’abbandono delle abitudini civili e gli adattamenti alla vita ferina del Lager. Il capitolo “I sommersi e i salvati” racconta come diverse persone riuscivano a sopravvivere mediante modalità diverse, chi conquistandosi una funzione, dalla pi innocua (spazzino, controllore della scabbia, rifacitore di letti) alle più compromesse, come Kapo o Capo baracca, chi trovando modo di organizzare un sovrappiù alimentare mediante traffici ed espedienti vari, chi taglieggiando e derubando i più deboli.

C’è anche chi è riuscito a salvarsi costruendosi dal nulla una sua autorevolezza, sacrificando anche il pane per procurarsi indumenti più adatti, ben sapendo che il sembrare importante è il primo indispensabile passo per diventarlo. Vi pure chi ha raggiunto la salvezza sfruttando la pietà degli aguzzini o dei prigionieri più fortunati o degli operai civili con i quali era entrato in contatto, e chi ha risolto il problema rifugiandosi nella pazzia. Il punto di arrivo di questo itinerario verso il basso, verso il non uomo, si conclude con l’episodio “dell’ultimo”, nel quale Primo Levi assiste all’impiccagione di un prigioniero che si era ribellato e che come commiato dalla vita grida Compagni “io sono l’ultimo”. In questo capitolo Primo Levi prende coscienza di essere fino allora sopravvissuto perché in qualche modo era riuscito ad adattarsi e si mette in confronto con l’uomo giustiziato che invece aveva scelto di rimanere uomo fino in ultimo. Primo Levi giunge a dire che i tedeschi hanno vinto, l’ultimo vero uomo è stato impiccato, quelli che restano sono “non uomini”. La parabola verso il basso è però interrotta da momenti nei quali lumanità ritorna prepotentemente alla luce. Uno di questi momenti è costituito dai periodi di ricovero nell’infermeria. L’assillo della fame, del freddo e della fatica è attenuato e perciò nel prigioniero tornano sentimenti umani quali la malinconia della casa, il rimpianto per la vita e la gioventù distrutte, il dolore per i famigliari lontani.

Un altro di questi momenti è descritto nel capitolo Ulisse, nel quale Primo Levi cerca di trasmettere a un suo compagno, Jean Samuel detto il Piccolo, il senso e la poesia dell’episodio di Ulisse nella Divina Commedia di Dante. Primo Levi scopre in quel momento significati e sfumature che leggendo il libro nella vita civile gli erano sfuggiti e rimane sorpreso dal senso universale di quel verso, anche per loro in quel momento nel Lager: “Nati non fummo per viver come bruti”. Primo Levi racconta come è stato sottoposto ad un umiliante esame di chimica, e come ha poi potuto lavorare all’interno di un laboratorio negli ultimi mesi di prigionia. Racconta i bombardamenti sul Lager e la sconfitta dei tedeschi, nonché i dieci giorni dalla partenza dei tedeschi all’arrivo dei Sovietici. In questo periodo nella sua camera, lui e i suoi compagni, riescono a istaurare a poco a poco rapporti da uomini.

LORENZO

Lorenzo compare nel capitolo “I fatti dell’estate” a pagina 150. Del rapporto con Lorenzo Primo Levi dice: “In termini concreti, essa si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una maglia piena di toppe; scrisse per me una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso”.

Primo Levi è convinto di dovere la salvezza a Lorenzo: “Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura […] Ma Lorenzo era un uomo, la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo”. Di Lorenzo,  Primo Levi parla ancora molti anni più tardi nel racconto “Il ritorno di Lorenzo” in Lilit e altri racconti. In quest’occasione Primo Levi si sente sciolto dal ritegno che lega la mano a chi scrive di una persona ancora viva. In questo caso si rischia di fare violenza alla persona anche se la si descrive migliore e più nobile di quanto essa crede di essere (infatti in questo caso è come guardarsi allo specchio e vedere l’immagine di un’altra persona). Nel racconto Primo Levi riferisce di aver cercato Lorenzo dopo il ritorno a casa, e di aver appreso del suo viaggio verso l’Italia, tutto a piedi insieme a un suo compagno di lavoro, seguendo una cartina ferroviaria e fermandosi di tanto in tanto per fare qualche lavoro di muratore per procurarsi di che sfamarsi. Il ritorno a casa risulta però devastante per Lorenzo, che disgustato da quanto aveva visto, perde ogni amore per la vita, si dà al bere, fa solo più lavori saltuari e si ammala. Primo Levi gli trova prima un lavoro e poi un posto all’ospedale. Il lavoro lo lascia subito e dall’ospedale fugge. Muore poi in solitudine. Primo Levi constata che Lorenzo pur non essendo stato prigioniero è morto distrutto dal male del Lager.

CARATTERISTICHE DELLA SCRITTURA DI PRIMO LEVI

Primo Levi credeva profondamente nella ragione. Non aveva paura di affrontare temi anche difficili, intricati e dolorosi e riusciva a venirne a capo con un’analisi profonda e con l’applicazione della ragione che considerava il toccasana contro la barbarie. Riguardo al modo di scrivere Primo Levi afferma che ognuno ha diritto di scrivere come vuole e nessuno può far prescrizioni ad altri su come scrivere. Detto questo afferma per che lui stesso considera, per sé medesimo, un dovere lo scrivere chiaro e comprensibile per il lettore. Per lui la scrittura dev’essere comunicazione e se la comunicazione viene a mancare la colpa non del lettore ma dello scrittore. Egli immagina il suo lettore una persona intelligente, non necessariamente colta, ma interessata che legge perché vuole capire: sta allo scrittore farsi capire da chi desidera capirlo, è il suo mestiere, e scrivere è un servizio pubblico e il lettore volonteroso non deve andare deluso.

Una delle caratteristiche di Primo Levi è proprio l’immediatezza della comunicazione. In Se questo è un uomo usa spesso il tempo presente storico. Un altro dovere che Primo Levi sente verso il lettore quello di comunicargli le cose, ma di non gettargli addosso l’angoscia. La scrittura dev’essere comunicazione non un urlo. Infatti nelle sue opere sui Lager è sempre stato fedele a questo suo proposito. Solo in qualche poesia, che un ambito diverso e che parte da premesse diverse, Primo Levi si è talora concesso il lusso di esprimere il suo dolore. Contesta inoltre l’opinione che per descrivere delle cose oscure, complesse e caotiche ci voglia un linguaggio altrettanto oscuro complesso e caotico. Secondo lui la scrittura deve organizzare e portare dall’oscuro verso il chiaro.

“Chi non sa comunicare, o comunica male, in un codice che è solo suo o di pochi, è infelice ed espande infelicità intorno a sé. Se comunica male deliberatamente, `d un malvagio, o almeno una persona scortese, perché obbliga i suoi fruitori alla fatica, all?angoscia o alla noia”. Primo Levi ha affermato in molti scritti e interviste che deve il suo stile di scrittura al suo mestiere di chimico. Questo mestiere infatti lo ha sempre obbligato ad analizzare a fondo la realtà o la materia, a ricomporre, pesare, catalogare ecc. e gli ha dato un ricco campionario di metafore non comuni e non banali e un vocabolario più differenziato dove termini quali, scindere, filtrare, cristallizzare, distillare, vischioso, tenace, greve, fluido, volatile, inerte, infiammabile, possono venir utilizzati in modi diversi ed appropriati. Inoltre l’esperienza umana insita nel mestiere del chimico aiuta a comprendere anche le emozioni fondamentali: il misurarsi con un giudice imparziale (la materia), il vincere, il restare sconfitti (esperienze queste che si incontrano in molte altre situazioni della vita). Secondo Primo Levi la chimica l’ha abituato a un abito mentale di concretezza e di precisione, a un desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. Primo Levi non riusciva a capire la scissione tra cultura umanistica e scientifica, dove la seconda veniva spesso considerata una sotto cultura. Primo Levi considerava importante l’integrazione tra le due culture .

IN APPENDICE:

a) Bibliografia

b) Il ricordo di Primo Levi (di Silvana Calvo)

c) Intervista a Silvio Ortona Alla fine la ragione umana può vincere (di Silvana Calvo)

BIBLIOGRAFIA: Libri di Primo Levi

I seguenti libri in prosa di Primo Levi sono editi da Einaudi:

 •Se questo è un uomo (1956 Prima pubbl. ed. Da Silva 1948)

 •La tregua (1963)

 •Storie naturali (1966 Prima pubbl. con pseudonimo Damiano Malabaila)

 •Vizio di forma (1971)

 •Lilit e altri racconti (1971)

 •Il sistema periodico (1975)

 •La chiave a stella (1978)

 •La ricerca delle radici (1981 antologia personale)

 •Se non ora quando? (1982)

 •L’altrui mestiere (1985)

 •I sommersi e i salvati (1986)

 •Lultimo Natale di guerra (2000 postumo)

Inoltre: Racconti e Saggi ed. La Stampa Torino (1986)

Libri di poesie:

L’osteria di Brema ed. Scheiwiller (1975)

 •Ad ora incerta ed. Garzanti (1984)

Libri scritti in collaborazione con altri:

P. Levi e P. March Se questo è un uomo (riduz. teatrale). ed. Einaudi

 •Tullio Regge e Primo Levi, Dialogo ed. Einaudi

 •Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi ed. Garzanti

LIBRI E STUDI SU PRIMO LEVI

 •Giuseppe Grassano, Primo Levi, Ed. La Nuova Italia 1981

 •F. Vicenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Ed. Mursia 1973

 •G. Poli e G.Calcagno, Echi di una voce perduta, Ed. Mursia 1992

 •M. Dini e S. Jesurum, Primo Levi, le opere e i giorni, Ed. Rizzoli 1992

 •a cura di A. Cavaglion, Primo Levi, il presente del passato, Consiglio reg. Piemonte e ANED, Ed. Franco Angeli 1991

 •A. Cavaglion, Primo Levi e Se questo un uomo, Ed. Loescher 1993

 •a cura di M.Belpoliti, Primo Levi, Conversazioni e interviste 1963-1987, Ed. Einaudi 1997

 •a cura di M.Belpoliti, Primo Levi, Ed. Marcos y Marcos (Riga 13) 1997

Il ricordo di Primo Levi

Ancora adesso, a diversi anni dall’11 aprile 1987 quando Primo Levi è morto, è difficile capire il perché di quel dramma: è stato il peso della sua tremenda esperienza nel Lager, con il suo sforzo di non dimenticare, che ha, alla fine, distrutto la sua voglia di vivere? Oppure stato un raptus improvviso che lo ha scaraventato giù in quella tromba delle scale? Oppure un incidente? Non c’è risposta certa a questi interrogativi. Non possibile trovarla nei suoi scritti che non lasciano trasparire nulla che possa spiegare quello che è capitato. Riguardo al suicidio vi si trovano considerazioni di segno opposto. Primo Levi se ne distanzia come da una soluzione disperata, da comprendere, ma non da imitare, quando parla dei suicidi Jean Amery (capitolo “L’intellettuale ad Auschwitz” nel saggio I sommersi e i salvati) nonché di Trakl e Celan (capitolo “Dello scrivere oscuro” nella raccolta L’altrui mestiere). Invece nel racconto “Verso occidente” (in Vizio di forma) che narra dei lemming, roditori che si dirigono in massa a morire annegati nel mare, affronta il dilemma del suicidio con coinvolgimento e partecipazione, tanto da far supporre che il problema in qualche modo lo tormentasse. Neppure aiutano le testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto. Alcuni amici molto vicini a lui affermano che negli ultimi tempi Primo Levi era stato terribilmente depresso per cui il suicidio non li ha sorpresi. Altri invece pensano il contrario: lo scrittore Ferdinando Camon, per esempio, riferisce di aver ricevuto il giorno dopo la morte di Primo Levi una sua lettera ottimistica piena di progetti per il futuro. Rita Levi Montalcini, in un’intervista, dice di non credere assolutamente al suicidio. Lo scrittore Mario Rigoni Stern pensa invece che Primo Levi abbia sentito tutta un tratto l’imperioso richiamo “Wstawac”, la sveglia del Lager, che per anni, dopo la liberazione, ha perseguitato i suoi sonni. La morte di Primo Levi continuerà dunque a farci riflettere e a porci problemi che dovremo rassegnarci a lasciare irrisolti, ma anche questo concorre a non farcelo mai dimenticare. Daltra parte come si può dimenticare Primo Levi? Egli continua a vivere nei suoi scritti e la sua voce continua, per fortuna, a parlarci nonostante non ci sia più. Il modo migliore per ricordarlo è di mettere in rilievo cosa ha dato e, nonostante il tempo trascorso, continua a dare ai suoi lettori.

Egli ha voluto, in primo luogo, essere un testimone, una fonte di informazione sui Lager nazisti. Questo ha saputo farlo con efficacia e con una grande carica di umanità, senza aggredire il lettore buttandogli in faccia l’orrore, ma riferendo i fatti pacatamente con precisione e onestà, astenendosi dall’emettere condanne, ma deferendo il giudizio a chi ascolta la sua testimonianza.

Oggi, e non solo in Italia, è quasi inconcepibile riflettere sui Lager prescindendo da Se questo è un uomo che uno dei più importanti libri sui campi di concentramento nazisti. In seguito per Primo Levi ha continuato ad approfondire la riflessione su tutti gli aspetti che riguardano i Lager e la società che li ha prodotti, e di riflesso sul comportamento umano. Egli ha voluto capire, e far capire, perché Auschwitz stato possibile. Col suo lavoro non ha voluto limitarsi ad offrire una precisa conoscenza di quanto successo nello scorso secolo in Europa, ma ha voluto soprattutto indurre il lettore a porsi degli interrogativi molto vitali che riguardano il presente ed il futuro. A questo scopo nel 1986, ossia un anno prima di morire, ha pubblicato I sommersi e i salvati un piccolo libro densissimo che scava fino in fondo nella realtà del Lager, affrontando tutti i perché, analizzando i comportamenti di tutti i protagonisti, dai carnefici alle vittime con lucidità e con coraggio, senza divisioni manichee tra il bene e il male, considerando anche la vasta zona grigia costituita da chi, pur trovandosi nella categoria degli oppressi, si è conquistato un piccolo o un grande privilegio compromettendosi con gli oppressori. Chiarendo il fatto che un’oppressione violenta riesce purtroppo spesso a indurre la sua vittima a comportamenti molto regrediti, Primo Levi coinvolge subito il lettore in prima persona spingendolo a porsi un interrogativo quanto mai angoscioso, ossia a chiedersi se lui stesso, se posto in una situazione estrema, sarebbe capace di resistere all’abbrutimento che un’oppressione disumana vuole provocare nelle sue vittime e se possiede sufficiente forza interiore per non cedere alla lusinga di qualche privilegio. E in una situazione non estrema? Chi sicuro è che la risposta più tranquillizzante sia proprio quella vera? Quando documenta la viltà a cui il terrore hitleriano aveva ridotto il popolo tedesco che, quasi all’unanimità, di fronte alle spaventose atrocità che venivano commesse, ha preferito fingere di ignorare, scegliendo la via più prudente di tenere occhi ed orecchi, e soprattutto la bocca, chiusi, costringe tutti noi a chiederci se, oggi e qui, noi siamo sufficientemente armati moralmente per saperci opporre efficacemente al ripetersi di mostruosità come il nazismo e i Lager, o ad altre mostruosità magari diverse. Facendoci capire che la maggior parte dei colpevoli non erano dei mostri ma degli scialbi personaggi che si sono adattati al vento che tirava e hanno commesso i loro crimini con lo zelo del buon funzionario efficiente, Primo Levi ci pone il problema se questo tipo umano è ora estinto o se invece c’è pericolo che alligni tra di noi e possa di nuovo tornare a nuocere se determinate circostanze dovessero ripresentarsi. È importante riflettere su questi, e sui molti altri temi che Primo Levi solleva, perché questo ci aiuta a maturare ed a costruirci una coscienza.

L’insegnamento di Primo Levi consiste innanzi tutto nella esortazione alla responsabilità, al rigore morale, all’onestà intellettuale e al rifiuto di ogni autoinganno. Dandoci la conoscenza approfondita di tutto quanto successo, e delle forze che l’hanno provocato, Primo Levi ci aiuta anche a muoverci nella nostra realtà e ci fa sentire più preparati e un po’ meno vulnerabili verso quanto il futuro potrebbe riservarci. Spunti di riflessione Primo Levi ne ha disseminati in tutta la sua opera, che non consiste solo di libri che riguardano specificamente i campi di sterminio nazisti ma comprende anche due romanzi, alcune raccolte di racconti e di articoli su diversi temi, nonché due libri di poesie. Per spiegare cosa rappresenta Primo Levi, si potrebbe ricordare una frase che si trova in un suo racconto (Capitolo “Oro” nel Sistema periodico) ed pronunciata da un occasionale compagno di cella, un cercatore d’oro che esercitava questa attività in Val dAosta, setacciando la sabbia del fiume Dora: “…ma non finisce mai. Ci torni quando vuoi, la notte dopo, o dopo un mese, secondo che ne hai volontà, e l’oro ricresciuto”. Questa frase sembra fatta apposta per descrivere i libri di Primo Levi. Sono proprio come quell’inesauribile fiume: si possono leggere una, due, o dieci volte, e sempre, ogni volta, vi si trova qualcosa di nuovo, qualcosa di prezioso che arricchisce.

PRIMO LEVI NEL RICORDO DELL’AMICO SILVIO ORTONA

ALLA FINE LA RAGIONE UMANA PUÒ VINCERE

A dieci anni dalla sua morte, e in concomitanza con l’uscita del film di Rosi La tregua, l’attenzione si è focalizzata sulla figura di Primo Levi. E questa è una cosa buona perché un approfondimento della conoscenza della sua personalità e della sua opera non è un esercizio accademico, ma una necessità.

È infatti inimmaginabile oggi, costruirsi unidentità intellettuale, etica e politica, senza confrontarsi con la sua testimonianza ed il suo pensiero. Sulla sua dimensione di testimone, storico e scrittore, si detto e scritto molto. Tanto rimane invece da scoprire su Primo Levi uomo e pensatore. Da coloro che l’hanno incontrato per delle interviste, stato prevalentemente descritto come persona esile, fragile, riservata, molto schiva, gentile, disponibile. Qualcuno ha scorto nei suoi occhi solo tristezza, altri vi hanno intravisto una luce di divertita ironia. Dai suoi scritti traspare un uomo umanissimo, lucido, che non ha avuto paura di misurarsi con temi difficili, terribilmente intricati e dolorosi, affrontandoli di petto, e da tutte le angolazioni possibili, e che, con l’analisi profonda e con l’applicazione della ragione, è riuscito a venirne a capo.

Un uomo complesso dalle molte sfaccettature che ha anche saputo trasmettere gioia, divertimento, stupore, poesia. Da tutto ciò nasce il desiderio di conoscere sempre meglio Primo Levi, anche se, come lui stesso affermava, l’uomo non un monolite, contiene in sé caratteristiche anche contraddittorie, non è sempre uguale a se stesso, muta nel tempo e secondo le circostanze, ed è fatalmente dissimile da come lo percepiscono le diverse persone che di volta in volta lo incontrano, per cui quale poi sia l’immagine vera di ognuno di noi, è una domanda senza senso (da “Il ritorno di Lorenzo” in Lilit e altri racconti). Un modo per ricostruire la personalità di Primo Levi è di interrogare le persone che lo hanno conosciuto da vicino. Nel capitolo “Oro”, del libro Il sistema periodico Primo Levi parla di un gruppo di amici torinesi che si trovavano con lui a Milano negli anni cruciali della guerra, ed insieme ai quali ricorda di essere maturato in poche settimane più che in tutti i vent’anni precedenti.

Tra di essi cita l’amico Silvio che era dottore in legge, ma scriveva un trattato di filosofia su minuscoli foglietti di carta velina, che ritroveremo in un altro racconto, “Fine settimana”, in Lilit, alle prese con un Maresciallo dei Carabinieri ubriaco d’entusiasmo professionale nell’atto di applicare le norme delle leggi razziali antiebraiche del 1938. È dunque a questo suo amico, che è  Silvio Ortona, che abbiamo chiesto di aiutarci a conoscere meglio Primo Levi. Silvio Ortona ci ha ricevuto a casa sua, nel suo studio, a Torino, insieme alla Signora Ada Luzzati, cugina di Primo Levi, che di professione chimica e che ha lavorato per qualche anno alla Siva, fabbrica di vernici, di cui l’autore di Se questo un è uomo è stato direttore per una trentina danni. È proprio la Signora Luzzati che ci fornisce un primo tassello per la costruzione del suo ritratto: Sul lavoro Primo non aveva per nulla modi autoritari, non alzava mai la voce ma era molto rispettato da tutti, molto più del padrone stesso, che era collerico, gridava in continuazione, ma veniva ascoltato molto meno.

LEI ERA MOLTO AMICO DI PRIMO LEVI?

Ho conosciuto Primo Levi a Torino molto tempo prima di Auschwitz. L’amicizia con lui è  diventata stretta e definitiva soprattutto a Milano, durante la guerra, tra il 1941 e il 1943. Dopo l’otto settembre, e l’invasione tedesca, ci siamo divisi e persi di vista. Io sono entrato nella Resistenza, sono stato comandante partigiano nel Biellese. Lui, invece, dopo una breve parentesi nella Resistenza, come sappiamo, è stato catturato dai fascisti, consegnato ai tedeschi e deportato ad Auschwitz. Alla fine della guerra mi sono stabilito a Vercelli e per questo ho avuto modo di incontrare Primo solo saltuariamente. Ho per avuto occasione di seguire, anche se un po’ da lontano, la gestazione di Se questo è un uomo (che allora non aveva ancora titolo). Primo veniva talvolta a visitarci e faceva leggere a me ed a mia moglie Ada Della Torre, ora scomparsa, che pure era sua cugina, le stesure non definitive dei vari capitoli. Siccome allora ero redattore del settimanale della Federazione Comunista di Vercelli, gli ho chiesto, ed ottenuto, di pubblicare questi testi in anteprima. Fui così il suo primo editore. Nel 1963 sono tornato definitivamente a Torino ed ho potuto riannodare con Primo contatti più frequenti. Abbiamo avuto modo di incontrarci spesso in casa, con amici, ed abbiamo fatto insieme molte escursioni in montagna, oppure, specialmente negli ultimi anni, ci siamo trovati per un pranzo ed una conversazione al ristorante Aladino che si trova a metà strada dalle nostre case. In sostanza la nostra stata un’amicizia durata quasi cinquant’anni, fino alla fine della sua vita.

NEL RACCONTO “ORO” DEL SISTEMA PERIODICO PRIMO LEVI DICE DI LEI CHE ERA DOTTORE IN LEGGE, MA SCRIVEVA UN TRATTATO DI FILOSOFIA SU MINUSCOLI FOGLIETTI DI CARTA VELINA: DOPO LA GUERRA LEI HA POI FATTO LAVVOCATO O IL FILOSOFO? È STATO ANCHE IN PARLAMENTO, NON VERO?

Né l’uno né l’altro, dopo la Resistenza mi sono dedicato all’attività politica e sindacale. Sì, sono stato deputato alla Camera per il Partito Comunista Italiano dal 1948 al 1958.

COMERA PRIMO LEVI COME PERSONA?

Aveva interessi intellettuali molto vasti, e da noi amici era considerato una specie di enciclopedia di alto livello, anche divertente: ci piaceva consultarlo su tutti i temi immaginabili, anche i più sottili, perché da ogni piccolo evento naturale, da ogni oggetto sapeva trarre connessioni di poesia, di ironia e di alta cultura. Era un uomo razionale e sereno, soddisfatto della sua vita, del suo lavoro, e del successo dei suoi libri. Primo Levi non era ossessionato dalla sua esperienza, ma lo ricordo invece voglioso di capire ed analizzare a fondo quello che era successo. Non era legato angosciosamente al suo passato nel Lager, ma si interessava molto alla politica e ai fatti del momento. Penso che sia sbagliato voler ricostruire la vita d Primo Levi partendo dalla sua morte. Tutti dicono che Primo Levi si sia suicidato sopraffatto dalla sofferenza causata dalla sua esperienza nel Lager. Questo inevitabile, ma sbagliato. Se io avessi solo letto i suoi libri e non lo avessi invece conosciuto come persona, penserei anch’io così. Ma questo non corrisponde al vero. Fino a poco prima di morire egli era sereno. Ricordo per esempio una gita in montagna, all’inizio dell’autunno 1986, (pochi mesi prima della sua morte) alla quale ha partecipato anche Bianca Guidetti Serra. Fino ad allora era stato bene ed era del tutto tranquillo. Da allora in avanti è stato male e si è ammalato in modo molto grave. È a causa della malattia che successo, non per quello che tutti dicono.

LEI DICE CHE SI INTERESSAVA DI POLITICA. CHE RAPPORTO AVEVA CON LA POLITICA?

Primo Levi non ha mai aderito a nessun partito od organizzazione, ma era un uomo con convinte opinioni di sinistra. Per capire Primo Levi bisogna tener conto di questo. Non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni. Il suo giudizio sul fascismo che si può leggere nel capitolo “Oro” in Il sistema periodico documenta la sua posizione politico-culturale: “il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l’Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di una legalità e di un ordine detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuol essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata”. Anche nel suo libro La chiave a stella, in un capitolo che ha, come mi ha confidato, inserito appositamente allo scopo, espone le sue convinzioni riguardo al lavoro esprimendo l’amara consapevolezza dell’esistenza dello sfruttamento, ma opponendosi anche al vezzo, allora diffuso, di disprezzare il lavoro in sé come fosse cosa vile. Cito il passaggio, quasi di ispirazione gramsciana: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra.

DI FRONTE ALLA RELIGIONE COME SI PONEVA?

Era laico e non credente. Su questo era profondamente convinto e non ha mai avuto il minimo dubbio. L’esperienza di Auschwitz ha rinforzato questa sua convinzione: se Auschwitz esistita, Dio non può esistere. A questo proposito ricordo la fortissima frase che si può leggere in Se questo un uomo: “Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn” che pregava per ringraziare di essere stato risparmiato dalla selezione che aveva portato alle camere a gas molti loro compagni.

Non ha mai avuto crisi. Volergli attribuire un tormento religioso (come cerca di insinuare Ferdinando Camon, insistendo su una frase aggiunta a matita ad un dattiloscritto) è fuorviante. Primo era anzi orgoglioso di aver saputo resistere, in momenti molto difficili per lui, alla tentazione di chiedere soccorso alla fede, cedimento che lui considerava, come ha scritto anche nel libro I Sommersi ed i salvati, la massima empietà di cui un non credente sia capace.

Primo non frequentava, come me del resto, la Sinagoga, salvo per qualche celebrazione di defunti.

A proposito della Sinagoga di Torino, è interessante il fatto che una volta la strada sulla quale si affaccia era denominata Via S. Pio V, cosa alquanto paradossale, se si pensa che questo papa stato nel 500 uno dei peggiori persecutori degli ebrei. Oggi il tratto davanti alla Sinagoga si chiama invece Piazzetta Primo Levi e, se si guarda bene, anche questo un po’ bizzarro, in quanto è dedicata ad un ebreo che però non era credente.

QUALI ERANO I TEMI CHE LO PREOCCUPAVANO?

Negli ultimi tempi ha molto riflettuto sull’uso cattivo della scienza. Ha elaborato l’idea di chiedere agli scienziati un giuramento sul tipo di quello di Ippocrate in uso per i medici, che dovrebbe impegnarli ad astenersi da ricerche e realizzazioni che fanno danno all’umanità e di dedicarsi invece a quanto porta vantaggio. Era anche molto preoccupato per Israele. Come tutti gli ebrei sentiva un legame perché la storia antica ci unisce. Però è stato molto polemico riguardo all’invasione del Libano e per questo è stato molto criticato dagli ambienti ebraici di destra degli Stati Uniti e anche italiani. Naturalmente lo indisponevano molto anche le posizioni dei revisionisti storici, quali Faurisson e Nolte, che erano volte a negare l’esistenza dei Lager, od a stravolgerne il significato.

PARLAVATE ANCHE DEI TEMI DEI SUOI LIBRI?

Sì, certo, parlavamo anche di questo. Il suo era uno sforzo di rispondere con la ragione all’irrazionalità. Cercava le cause oggettive che provocano il salto verso il razzismo. Credeva fortemente nella ragione. Ho spesso parlato con lui, nel periodo nel quale ha scritto I sommersi e i salvati, e non ho mai percepito disperazione, ma una seria ricerca teorica razionale.

Non vero che alla fine il nazismo e il Lager abbiano avuto la meglio, abbiano sconfitto Primo Levi. Il mio ricordo dice che la sua vita e la sua opera trasmettono un messaggio necessario sempre: che alla fine la ragione umana può vincere.

IN QUESTO PERIODO MOLTI PARLANO DI LUI

A parte i vecchi amici (quelli coi quali ha passato i mesi di Milano) e la Bianca Guidetti Serra, Primo Levi ha avuto una grande amicizia Per Edith Bruck, Mario Rigoni Stern, Rita Levi Montalcini, Nuto Revelli, Lidia Rolfi. Molti altri oggi affermano di aver avuto rapporti privilegiati con lui. Alcuni pretendono persino di essere i portavoce di Primo Levi. Ferdinando Camon, per esempio, bisogna dargli atto di avere fatto una buonissima intervista, ma il tutto finisce lì. Anche con il Rabbino Toaf, per quel che ne so io, non ha mai avuto rapporti di amicizia, per cui la recente rivelazione di una telefonata di Primo Levi, pochi minuti prima di morire, che gli preannunciava il tragico gesto mi lascia per lo meno perplesso. Proprio mentre già ci stavamo accomiatando, Silvio Ortona ha attirato la nostra attenzione su di un altro aspetto sorprendente e poco noto della personalità di Primo Levi: ci ha indicato un grande coccodrillo, fatto con del filo metallico, che sembrava incedere col suo passo sinuoso sulla parete dello studio. Questo l’ha fatto Primo e me l’ha regalato. Gli piaceva costruire degli animali con i cavetti di rame smaltati con la vernice prodotta nella sua fabbrica. Interessante, vero?.