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mag 18, 2005 |
Opinioni dei nostri visitatori,  |
redazione

Auto usata: antisemitismo a confronto

Oggi affronteremo dal punto di vista ebraico la domanda classica di molta letteratura antisemita ("posso vendere la mia auto usata a un non-Ebreo, sebbene essa abbia un difetto che egli ignora?"), e la risposta, tutto sommato ovvia, no, indipendentemente dalla nazionalit dell'acquirente.

Un po' meno ovvio il modo in cui viene descritto l'obbligo di non "imbellettare" la merce venduta e di dare informazione completa e veritiera delle sue caratteristiche, anche quelle negative. Le parole usate ricordano quelle dei giureconsulti romani alle prese con analogo problema (le informazioni che deve dare il venditore di uno schiavo al suo compratore) e che sono l'embrione di quella che oggi si chiama in Italia responsabilit del venditore per i vizi occulti della cosa.

Molto interessante anche un'osservazione che credo esclusiva dell'_Halakhah_: il venditore viene sanzionato anche se il suo inganno non provoca alcun danno apprezzabile al compratore, come ad esempio nel caso in cui ad un non-Ebreo si venda carne non-kasher facendola credere kasher (si suppone per semplicit che la carne sia comunque sana, nutriente e gustosa). Il non-Ebreo non ricava danno alcuno, nemmeno spirituale, dal consumo di questa carne, ma non per questo lecito ingannarlo.

Altra osservazione che l'_Halakhah_ si preoccupa anche del benessere spirituale di chi le soggetto, e teme quindi che chi compie illeciti che non nuocciono al prossimo (come nel caso precedente) si avvezzi poi a compiere illeciti davvero dannosi, e molte sue regole (che costituiscono la "siepe intorno alla Torah") intendono appunto prevenire violazioni pi gravi. Personalmente (ed umanisticamente) interpreto queste norme allo stesso modo dei "reati di pericolo" italiani, quali ad esempio l'attraversare col rosso, che vietato proprio per evitare che un automobilista debba rispondere invece di omicidio colposo.

Senza contare il _chillul ha-Shem = profanazione del Nome_: chi imbroglia il prossimo (non-Ebreo) gli d motivo di bestemmiare il divino Nome, per cui paradossalmente pi grave imbrogliare o comunque maltrattare i Gentili che gli Ebrei.

A questo punto ci dobbiamo chiedere perch dedicare una puntata dei "Business Ethics Responsa" a questa domandina. Dare una lezione agli antisemiti in agguato? Mi pare un motivo troppo banale, ed insistere su questo tema potrebbe rivelarsi controproducente; il vero motivo mi pare questo: come avverte l'autore dell'articolo, una societ quotata in borsa che "trucca" il bilancio per rendere le sue azioni pi appetibili commette lo stesso illecito (_genivat da'at = furto di opinione_) di chi "imbelletta" la merce che vende, e con conseguenze assai dannose.

L'articolo non quindi in polemica con gli emuli del Ku-Klux Klan, ben con i pescecani della finanza che vivono sulle due sponde dell'Atlantico; l'accenno al pregiudizio antisemita un po' l'esca per convincere tutti i lettori (compresi i Gentili) a leggere l'articolo fino in fondo e ad interiorizzarlo. I pubblicitari gentili usano le zone erogene di una modella per catturare l'attenzione, gli Ebrei un'altra tecnica.

E non che l'autore, che fu capo-economista della Banca d'Israele, sia un progressista: tempo fa sentenzi che i tagli allo stato sociale in Israele erano perfettamente compatibili con l'etica ebraica, in quanto la comunit (ovvero lo Stato) obbligato soltanto a fornire gli alimenti (ovvero l'indispensabile per dilazionare la morte) agli indigenti; il mantenimento (ovvero l'essenziale per una vita dignitosa) invece va lasciato alla beneficienza privata (ed alla capacit di ogni indigente di mostrarsi degno di meritarlo).

L'onest nei mercati non una questione che divida i conservatori dai progressisti, gli Ebrei dai Gentili, gli uomini d'affari dai consumatori: indispensabile per la sopravvivenza collettiva.