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giu 17, 2005 |
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redazione

Deborah Fait sul viaggio di Fini

Da Auschwitz a Gerusalemme.

E' arrivato, si e' messo la kippa' in testa e ha incominciato il suo viaggio nel paese degli ebrei.

Lo abbiamo visto quasi inginocchiarsi mentre deponeva un corona di fiori davanti alla fiamma perenne nella grotta del Memorial della Shoa' a Gerusalemme.

Ha attraversato il padiglione dei bambini, un milione e mezzo di bambini, immerso nel buio, illuminato debolmente da un milione e mezzo di fiammelle.

Come si sara' sentito la' dentro Gianfranco Fini?

Avra' ascoltato alcuni nomi di quei bambini e la loro eta': due anni, un mese, otto anni, cinque mesi e cosi' via , bambini di tutta Europa, anche italiani.

Bambini morti nei vagoni bestiame che, da Roma, Parigi, Salonicco, Atene, Budapest, Praga, Amsterdam, erano diretti verso l'Inferno dove i sopravissuti , abbastanza forti da superare il viaggio, venivano torturati, uccisi e fatti passare attraverso il camino, quel lungo camino nero che vomitava le loro ceneri disperdendole nel vento polacco.

Fini lo aveva visto quel camino nero durante la sua visita ad Auschwitz ed e' venuto a Gerusalemme per ascoltare una voce elencare pacatamente i nomi delle presenze che avra' sentito aleggiare intorno a se' la', nel Campo della Morte.

Presenze senza pace che una volta erano persone, bambini , un intero popolo che non avra' mai sepoltura perche' ridotto in cenere da quei manovali dell'odio col teschio impresso sulla divisa nera. Il viaggio di GianFranco Fini nella terra degli ebrei e' stato lacerante per tutti.

Lacerante per lui, che, se sincero come sembra, deve aver sentito il peso di quell'idiologia ora ripudiata.

Lacerante soprattutto per gli ebrei italiani di Israele che alla fine hanno deciso di incontrarlo forse conquistati dalla sua sincera commozione e dalle parole pronunciate davanti alla Fiamma Perenne che brucia per le vittime della Shoa'.

Fini non ha chiesto ridicole scuse perche' nessuno puo' perdonare per i morti, non si e' lasciato andare alla retorica, e' stato chiaro e pragmatico, ha parlato di responsabilita' per quello che fu, con l' alleanza col nazismo, il "male assoluto".

Gli ebrei italiani hanno guardato in faccia Fini, qualcuno avra' certamente pensato a quei vagoni bestiame che partivano da Roma per la Germania e la Polonia carichi di incredula disperazione. Qualcun'altro avra' guardato la kippa' sul "quel" capo forse sorridendo amaramente dentro di se'. Qualcuno si sara' sentito morire pensando ai genitori, ai nonni, ai fratelli.

Pero' lo hanno accolto e lo hanno capito.

Con coraggio hanno capito il suo coraggio e hanno stretto la sua mano.

Prima di lasciare Israele Fini si e' recato al Kotel, il Muro del pianto, non ha voluto le telecamere e si e' avvicinato a quelle pietre che grondano le lacrime di un popolo perseguitato.

Forse quel Luogo carico di energia e di emozioni avra' suggellato l'inizio di una storia che, seppur carica di inconsolabili e eterni dolori, potrebbe portare a un futuro di pacificazione.

Gli ebrei sono pazienti e aspettano.

Deborah Fait