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ott 22, 2001 |
Tanach: Approfondimenti,  |
redazione

La risposta ad Amalek

La radice della parola shalom pace, e' shalem, che significa compiuto, integro, perfetto1.

Il Maharal di Praga (1512-1609; cfr. il suo Netivot Olam II) osserva che soltanto Dio e' la pace: il Suo nome e' Shalom, Pace, che non e' il suo attributo, ma la Sua stessa essenza.
In un mondo lacerato dai conflitti, in un mondo dove non c'e' pace non vi puo' essere compiutezza.

La pace infatti, non e' un valore di natura, che l'uomo trova a sua disposizione bensi' e' un valore che egli deve conquistare e coltivare con amore e con attenzione.

Dal concetto di lacerazione e dei tentativi per ricomporre le fratture e le scissioni determinate dalla guerra si parla in maniera significativa nella Torah, nel capitolo 17 dell'Esodo, quando viene descritto l'attacco proditorio di Amalek al neonato popolo ebraico.

L'aggressione di Amalek e' la prima esperienza di guerra del popolo ebraico all'indomani della sua uscita dall'Egitto; si tratta quindi, del primo vero conflitto di cui parla la Torah. Una vittoria cosi' importante che a Mose' fu comandato di scriverla nel suo Libro e farla diventare, a pieno titolo, un momento paradigmatico dell'esperienza storica dell'ebraismo.

Questa guerra assurge pero' a qualcosa di piu' di un semplice conflitto armato. Amalek e il suo popolo, gli amaleciti, divengono un archetipo: la memoria perenne della valenza disgregatrice della guerra.
Per ricollegarci all'etimologia di shalom, shalem, Amalek e', non solo la negazione della pace, ma soprattutto la negazione della compiutezza.

La tradizione ebraica vede in Amalek l'achetipo dell'antiebraismo gratuito e irrazionale di tutte le generazioni, il precursore di quanti, nei secoli a venire, saranno di minaccia all'esistenza di Israele. Tanto e' vero che il preciso ammonimento Ricorda cio' che ti ha fatto Amalek, ribadito dalla Torah (Deuteronomio 25, 17) e' annoverato fra i 613 precetti cui si deve informare la vita di ogni ebreo.

Rashi' si chiede: in quale particolare momento della storia del popolo ebraico appare Amalek?
Egli appare quando il popolo si lascia cogliere dal dubbio in relazione al proprio destino e alla propria identita'. Amalek per Rashi' e' l'inevitabile conseguenza di una drammatica contestazione da parte del popolo; ad un'ennesima manifestazione di scontento per la mancanza di acqua, il popolo sfida Dio e si chiede provocatoriamente il Signore e' in mezzo a noi a no?. (Esodo, 17, 7).

L'Amalek interiore, che e' il dubbio stesso intorno alla propria identita', si proietta nel reale e si materializza in un Amalek esteriore che tende ad annientare Israele.

Non a caso, in base alla Ghematriah, regola ermeneutica che tiene conto del valore numerico delle lettere, il valore numerico delle parola Amalek corrisponde a 240 ed e' lo stesso della parola safeq, dubbio.

Quindi venne Amalek e attacco' Israele in Refidim. (Esodo, 17, 8).

Il Keli' Jakar osserva acutamente che le lettere della parola Refidim sono le stesse della parola peridim che significa disgiunti, scissi, ribadendo, cosi', che la frattura e la disgregazione sono la causa principale dell'avvento di Amalek.
Aman, discendente di Amalek nella storia di Purim, descrivendo il popolo ebraico ad Assuero, lo definisce, un popolo disperso e scisso (Ester, 3, 8).

E' sorprendente, tra l'altro, come la divisione del popolo ebraico si rifletta in modo speculare in una incompiutezza di Dio. Al verso 16 e' detto: la mano del Signore fu elevata verso il Suo Trono per giurare che vi sara' guerra contro Amalek, di generazione in generazione. Rashi' ci fa notare che nel testo il Trono e' definito Kes, anzich Kisse', privo della necessaria alef.

Anche il Nome di Dio, e' troncato in Jah, che e' la meta' del Tetragramma. Secondo Rashi', il Signore ha giurato che il Suo Nome non sara' competo e il Suo Trono saldo e perfetto fino a che non sara' distrutto il nome di Amalek.

Molti maestri hanno visto, in questa incompiutezza, un'allusione a quelle tragiche esperienze di "eclissi di Dio" che hanno caratterizzato molta parte della storia ebraica ed un chiaro riferimento alla storia di Purim con il suo libro di Ester, l'unico libro biblico in cui il nome di Dio non compare mai. E Ester significa - non a caso - nascosta.

Amalek, dunque, provoca una terribile frattura che soltanto un forte e saldo ricongiungimento potra' ricomporre.

Questa considerazione trova corrispondenza in una interessante tesi di filosofia occidentale moderna, tesi secondo cui la fonte del pensiero disgiuntivo deriva dal verbo greco dia-ballein, che significa "disgiungere", "gettare lontano", da cui deriverebbe anche il termine diavolo.

A questo si contrappone la possibilita' di un pensiero simbolico-confusivo, nel senso etimologico del 'mettere assieme', dal greco sun-ballein, che significa 'congiungere', gettare insieme, da cui deriva, in particolare, anche il termine 'simbolo' (sun-ballo).

Ora, come si sa, la vita ebraica e' caratterizzata da molti simboli, che sono spesso gli strumenti piu' idonei a contrapporsi a ogni genere di fenomeno disgregativo, di dia-ballein. Il simbolo come luogo originario in cui si esprime la connessione, ossia l'originario mettere assieme senza il quale non si ha n la conoscenza n quell'identita' che e' unicita' e unita'. per questo motivo al Trono di Dio manca la alef, la lettera, appunto dell'unita' ed unicita'.

Ma dove, in questo racconto metastorico, percepiamo una connessione come risposta alla disgregazione amalecita?

All'attacco di Amalek, Mose' dice a Giosue': scegli per noi degli uomini per combattere contro Amalek. Rashi' sostiene che usando la parola lanu, per noi, Mose', il primo Maestro di Israele, ha posto Giosue', il sui discepolo, sul suo stesso piano, e quindi l'esegeta sottolinea che da questo episodio si apprende una importantissima halakhah, una norma valida per tutti i tempi (riportata nei Pirqe' Avot, 4, 13): Ti sia caro lonore del tuo discepolo come il tuo.

Rav Itzchak Hutner (1906-1980, autore del Pachad Itzchak) evidenzia la non casualita' del fatto che la halakhah del Kavod che il Maestro deve al suo allievo, la si apprende proprio dall'episodio della guerra contro Amalek. Hutner afferma che solo un rapporto di coesione e di continuita' come quello fra Maestro e allievo, come quello fra Mose' e Giosue', puo' sconfiggere Amalek e tutte le sue implicazioni.

Che Amalek corrisponde al dubbio e confermato da quella massima che dice: fatti un Maestro e allontanati dal dubbio (Mishnah, Avot, 1, 15).

Solo attraverso l'unione fra maestro e allievo, che costituisce la continuita' della Tradizione attraverso le generazioni, si puo' ricomporre la grande frattura amalecita.

Nell'ebraismo l'attaccamento dell'allievo al maestro, e viceversa, e' un legame autentico e destinato a crescere. un dialogo fondato sui principi rigidamente stabiliti, il cui procedere e' regolato dalla halakah. Solo cosi' non c'e' passaggio dalla liberta' al disordine; un dialogo libero, ma anche ordinato che non perde di vista il suo oggetto ed e' composto di parole di Torah: l'insegnamento - ci dice Rabbi' Akiwa' - e' importante perch conduce all'azione (Talmud Babilonese, Kiddushin, 40 b).

Di fatto, il dialogo con un Maestro, un Maestro capace di togliere dal dubbio, un Maestro capace di intrattenersi con il discepolo sulla Torah, fa si' che il discepolo possa coltivare meglio il dialogo quotidiano con se stesso e con il prossimo.

Ma cio' che contraddistingue questo rapporto, e che non lo circoscrive a una relazione esclusivamente accademica e intellettuale, e' il kavod, l'onore e il rispetto che il Maestro e l'allievo devono tributarsi l'un l'altro.

Il primo passo per sconfiggere Amalek e' quindi quel Kavod, quel rispetto fra "talmide' chachamim" la cui totale mancanza - secondo molti Maestri - e' stata la causa della distruzione del Beth Hamikdash.

Soltanto un Maestro che tiene alto l'onore dei suoi allievi, un Maestro consapevole che solo un discepolo potra' perpetuare e fecondare il suo insegnamento, e' autorizzato a ordinare a quel discepolo: va a combattere Amalek.

Ora, noi sappiamo che, finch Mose' teneva le mani alzate, Israele vinceva; ma quando egli per la stanchezza le abbassava, era Amalek a vincere.

Per comprendere questo episodio dobbiamo ricordare quanto dice il testo in precedenza: Io mi mettero' sulla collina e terro' in mano la verga del Signore. dunque la presenza dell'eterno che, per mano di Mose', segna la sconfitta di Amalek e porta Israele alla vittoria.

Le mani di Mose' hanno bisogno di un sostegno, tanto e' vero che Aron e Chur prendono un even, pietra, e la porgono a sostegno delle braccia di Mose'. Le mani di un Maestro e di una guida, anche della grandezza e della statura di Mose', non sono sufficienti, da sole, a respingere Amalek: e' necessaria la collaborazione e lo sforzo di tutti.

Sul significato pregnante della even, pietra, ci sarebbe molto da dire; mi limitero' ad osservare che la pietra in cui tutto e' potenzialmente contenuto, acquisisce la sua stabilita' in quanto contiene due parole padre e figlio. Solo dalla fusione di queste due figure deriva una pietra con la sua stabilita' e solidita'. La battaglia contro Amalek, la battaglia per la vera pace, inizia all'interno delle mura domestiche, passando per quella coesione e unione di padre e figlio che permette a Dio stesso di sconfiggere Amalek, come dice il testo Midor dor, una guerra di generazione in generazione. Si tratta in altri termini, del primo concetto rapporto di comunita' e Tradizione, il primo rapporto tra Maestro e allievo.

La nostra possibilita' di restituire a Dio la Sua compiutezza, la vittoria su Amalek e su ogni disgregazione, dipende dalla forza delle generazioni di Maestri e allievi che si rispettano e di padri e figli che dialogano fra loro.

Malachi', l'ultimo dei profeti di Israele, vede semplicemente in questo la realizzazione dei giorni messianici e la restaurazione della vera pace.

e ricondurro' il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri (Malachi' 3, 24).

Rav Roberto Della Rocca