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ago 23, 2002 |
Tanach: Approfondimenti,  |
redazione

Giona figlio delle Mie Verita'

Il libro di Giona e' il quinto della serie dei dodici profeti minori, i Tere' Asar.

Il libro e' unico nel suo genere, non solo per la sua brevita' - e' infatti composto di soli 48 versi - ma anche perche', diversamente da altri libri profetici, in cui sono riportate le parole dei Neviim, il libro di Giona e' incentrato sul racconto, di un'avventura, accaduta al personaggio come in un romanzo.

Eppure questa storia, assurta ad esempio di linguaggio simbolico e universale, e' divenuta il libro della Teshuva'h - pentimento, ritorno, risposta - per antonomasia tanto da essere letta ogni anno come Haftara' (brano profetico) durante la Tefilla'h di Mincha'h (preghiera pomeridiana) del Giorno di Kippur al crepuscolo, nella suggestiva attesa del canto finale della Neila'h (preghiera conclusiva).

La storia ha inizio quando D-o ordina ad un certo Giona, figlio di Amittai, di recarsi a Ninive per avvertire gli abitanti di pentirsi se non vogliono che la loro citta' venga distrutta nel giro di quaranta giorni.

Giona non puo' fare a meno di ascoltare la voce di D-o e percio' stesso e' un profeta. Ma egli e' un profeta involontario che sebbene sappia che cosa dovrebbe fare, cerca di sottrarsi al comando di D-o ( o come si potrebbe anche dire, alla voce della sua coscienza).

Si racconta che Giona scende al porto di Giaffa ove trova una nave che avrebbe dovuto portarlo a Tarshish, localita' in direzione opposta rispetto a Ninive. Ma in mezzo al mare si scatena una tempesta e, mentre tutti gli altri sono agitati e impauriti, Giona scende nel ventre della nave e piomba in un sonno profondo. I marinai credono che D-o avesse suscitato la tempesta per punire qualcuno che si trovava sulla nave, svegliano Giona, il quale confessa che stava cercando di sfuggire al comando di Dio. Egli dice loro di prenderlo e di gettarlo in mare e che in tal modo i flutti si sarebbero placati.

I marinai dopo aver tentato ogni altro mezzo prima di seguire il suo consiglio, rivelando cosi' un notevole senso di umanita', alla fine prendono Giona e lo gettano in mare, e la tempesta immediatamente si placa.

Il profeta immediatamente viene inghiottito da un grosso pesce e rimane nel ventre di esso per tre giorni e tre notti. Egli prega D-o di liberarlo da quella prigione. D-o fa si' che il pesce vomiti Giona sulla terra ferma, quindi Giona va finalmente a Ninive, adempie al comando di D-o e salva cosi' gli abitanti della citta'.

La storia e' narrata come se questi avvenimenti fossero realmente accaduti, invece e' stata scritta in un linguaggio simbolico e tutti gli avvenimenti realistici in essa descritti rappresentano le esperienze interiori del protagonista. Troviamo una serie di simboli che si susseguono l'un l'altro: salire sulla nave, scendere nel ventre di essa, cadere addormentato, trovarsi in mare, e quindi nel ventre del pesce. Tutti questi simboli stanno per la medesima esperienza interiore: la condizione di trovarsi protetto, isolato e distaccato da ogni comunicazione con gli altri esseri umani. Sebbene il ventre della nave, il sonno profondo, il mare e il ventre del pesce siano nella realta' diversi l'uno dall'altro, essi sono tuttavia espressioni della medesima esperienza interiore, cioe' della fusione dei concetti di fuga e di isoalmento.

Nella storia manifesta gli avvenimenti si verificano in una successione di spazio e di tempo: prima scendere nel porto di Giaffa poi scendere nel ventre della nave, poi si addormenta, poi viene gettato in mare, poi e' inghiottito dal pesce ecc. Sono tutti avvenimenti che si succedono l'uno all'altro e, sebbene alcuni siano ovviamente irreali, il racconto ha una sua coerenza logica in termini di tempo e di spazio. Ma se noi riusciamo a comprendere che la Bibbia non intende raccontarci la storia di avvenimenti esterni bensi' la storia di un'esperienza psicologica e religiosa di un uomo virtuale combattuto fra la sua coscienza e il desiderio di sottrarsi al richiamo di D-o e quindi della sua voce interiore, diviene chiaro che il susseguirsi delle varie azioni esprime un identico stato d'animo del protagonista e che la successione temporale denota una crescente intensita' del medesimo sentimento. L'apparente semplicita' della storia di Giona e' molto ingannevole poiche' dietro alla causalita' degli eventi dove ogni fatto e' causato da un fatto anteriore (Giona vuole andare oltremare perche' desidera fuggire D-o, cade addormentato perche' stanco, e' gettato in mare perche' si suppone che egli sia la causa della tempesta, e infine e' inghiottito nel pesce perche' nel mare ci sono pesci che mangiano gli uomini), c'e' una logica diversa: i vari avvenimenti sono collegati l'uno all' altro per mezzo della loro associazione con la medesima esperienza interiore.

L'imperativo di D-o espresso con Lech e' lo stesso che Egli rivolse ad Abramo (Genesi, 12;1) e che continua a rivolgere a ognuno di noi per sollecitarci a un moto incessante, a un dinamismo senza interruzione. Che Giona e' un profeta non ci viene detto esplicitamente: forse perche' in fondo, egli e' un uomo come noi e la sua storia e' la nostra stessa storia; tuttavia come spesso accade nella Bibbia, anche qui e' gia' il nome del personaggio a segnalarne il carattere e la missione. hnwy Jona'h e' la colomba, incontrata nella storia del diluvio e divenuta simbolo di pace. Questo nome zoomorfo, pero' gia' attribuito al popolo ebraico (Osea, 7;11), sta anche a denotare un individuo titubante, " sballottato " proprio come un volatile.

La radice della parola Jona'h, I-N-H, ha un ulteriore significato: oppressione e fuga.

Tutto questo puo' essere letto come una significativa introduzione al personaggio e alla sua vicenda. Giona e' presentato come figlio di ytma Amittai, figlio delle Mie Verita', della pluralita' delle Verita' di D-o, Colui che Si firma appunto con la parola tma Emet, Verita'.

La vicenda di Giona viene quindi a rispecchiare l'insieme delle Verita' di D-o, il Suo universalismo.

Le resistenze opposte dai profeti di Israele alla chiamata divina non sono infrequenti nella Bibbia, basti ricordare Mose', Geremia, Elia: anche nei loro rifiuti e nei loro impedimenti si puo' rilevare il carattere "antieroico" dei personaggi biblici che ci vengono presentati con tutte le loro angosce e debolezze. Giona tuttavia rimane un caso inconsueto: egli e' infatti il primo, e l'unico, a rifiutare la propria missione non soltanto con le parole ma anche con i fatti: fuggendo dal paese. Nessuno prima di lui aveva mai pensato di potere fuggire dal cospetto di Dio.

Forse Giona non sa che D-o e' in ogni luogo? Forse crede che la Shechina'h(la Divina Immanenza) si trovi soltanto in Eretz Israel?

Invece di rispondere alla Voce con la voce, Giona sceglie di rifugiarsi nel silenzio.

Cio' che Giona tenta di far accettare a D-o, rifiutando la vocazione con il silenzio, e' in primo luogo la sua ferma decisione di rimanere "libero", di non uscire dall'anonimato umano per lasciarsi aggiogare a un compito profetico, di non lasciarsi prendere nella "trappola" di Dio.

Giona fugge a Tarshish, localita' della Spagna meridionale identificata probabilmente con

Tartessos alle foci del Guadalquivir, confine del mondo secondo le conoscenze del tempo e in direzione opposta rispetto a Ninive.

E' la contraddizione perfetta: Ninive e' a oriente, Tarshish a occidente. Nulla potrebbe esprimere piu' chiaramente della fuga verso Tarshish la volonta' di Giona di sottrarsi alla chiamata divina. Tarshish peraltro non rappresenta semplicemente una localita' geografica, essa e' l'emblema della ricchezza e del benessere, e' il simbolo di un mondo totalmente alieno all'idea del monotesimo ebraico.

Anche l'uso ripetuto della parola vajered "scese a Jafo" sta ad indicare l'inizio di quel processo discendente che come in altri contesti nella Bibbia non significa soltanto una discesa dal punto di vista geografico (Abramo in Egitto, Giuseppe in Egitto, il capitolo di Giuda e Tamar, Giacobbe in Egitto ecc.)ma un percorso inevitabile e necessario per una alia'h risalita piu' consapevole.

Giona pero' " pago' il prezzo del viaggio" come a dire che certe "fughe" si pagano e che bisogna almeno provvedere a se stessi ed accollarsi l'impegno e la responsabilita' di sfuggire a Dio.

Ma l' ebreo fuoriposto e' come sempre causa di tempeste e capovolgimenti per se stesso e per gli altri;nel nostro caso in un viaggio in mare, che esprime l'impresa densa di incognite, un viaggio che non si sa, il piu' delle volte, ove porti, e' il vento ad imporre la direzione. Se teniamo presente che, nel linguaggio biblico, vento e spirito sono una unica parola, il significato di questa immagine del jwr ruach che scatena la tempesta ci appare fin troppo evidente.

La progressiva discesa di Giona si trasforma in una incoscienza profonda quando cerca di rifugiarsi nel sonno.Ma c'e' sempre qualcuno che sollecita l'ebreo ad uscire dal torpore del sonno e a ricercare la propria identita'. "Perche' dormi?" Il capitano della nave gli domanda ironicamente se e' dormendo che spera di salvare la nave dal nubifragio.Poi gli chiede addirittura di pregare Dio.

Quando tutte le preghiere falliscono, i marinai tirano le sorti e i sospetti cadono su Giona.

A questo punto Giona risponde solo perche' e' interrogato e non puo' farne a meno.

La sua risposta ai marinai che gli chiedono di identificarsi e' quella di un buon ebreo che afferma solennemente di avere timore del D-o Unico e Creatore di tutto.

Giona sembra essere un ebreo che sa ma non mette in pratica.

Ma la cosa piu' interessante di questo dialogo e' che l'ordine delle risposte date da Giona e' inverso a quello delle domande che gli vengono poste.

Giona alle altre risposte antepone l'affermazione ivri' anochi, io sono ebreo allo stesso modo di come si autodefinivano Abramo e Giuseppe; il Midrash osserva che la definizione yrbu ivri' significa il trovarsi dall'altra parte rispetto al mondo.

Questa doveva essere la sensazione di Giona su quella nave.

Attraverso l'esperienza di Giona, i marinai pagani che da subito rappresentano il rispetto della fede altrui e la grande umanita' tanto da essere spinti ognuno alla preghiera, scoprono D-o, dando prova di fiducia in quel D-o da cui Giona fugge.

I marinai scoprono che non esiste una fede individuale ed un destino privato.

Vi e' quasi uno scambio di ruoli, un capovolgimento che talvolta puo' verificarsi nella vita di ognuno.

La permanenza nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti sembra essere una regressione in un ambiente sempre piu'stretto e chiuso, una protezione ed un isolamento che determinano un distacco totale dalla comunicazione.

I tre giorni e le tre notti in cui Giona rimane negli abissi, richiamano alla nostra mente la triplice immersione che si fa nel Miqwe', il bagno rituale.Per tre volte infatti nella Torahh e' ripetuta la parola miqwe (Genesi, 1;10-Esodo, 7;19 e Levitico, 11;36).

Anche in questa storia ci sono tre teshuvot: quella di Giona, quella di Ninive e quella di Dio.

L'immersione nel Miqwe', mizwa' che si fa con tutto il corpo, si compie in tutte quelle situazioni in cui avviene un passaggio di fase:dopo il ciclo mestruale, Nidda'h, nella conversione all'ebraismo, Ghiur, e nel processo di ritorno all'ebraismo e alle mizwot, Teshuva'h.

Situazioni che hanno in comune un cambiamento di stato, una trasformazione ed una rigenerazione nel senso di una rinascita e di una palingenesi.

Come il neonato esce dalle acque amniotiche per vedere la luce, come la terra emerse dalle acque, anche il fuggitivo Giona inizia la sua Teshuva' proprio attraverso un'immersione durante la quale nessun uomo puo'respirare, ma per rinascere e' necessario morire.

Inoltre secondo la Tradizione ebraica tutta l'acqua del mondo trae origine dai quattro fiumi che escono dall'Eden.Il contatto con l'acqua quindi rappresenterebbe un forte collegamento tra questo mondo ed il mondo della prima coppia umana, un rapportarsi alla creazione originaria.

Giona, nel tentativo di sottrarsi all'obbligo verso i suoi simili, si isola sempre piu' finche', nel ventre del pesce, l'elemento di isolamento si e' talmente trasformato in elemento di reclusione che egli non puo' piu' sopportarlo oltre ed e' costretto a pregare D-o di liberarlo da quella situazione che egli stesso aveva determinato. Rivolgendosi a D-o, Giona, implora piu' la salvezza che il perdono. Questa esperienza di isolamento e di "sospensione della vita fisica" spinge Jona'h alla Tefilla'h, uno dei tre avvocati dell'uomo, insieme alla Zedaqa' e alla Teshuva'h, in quei giorni decisivi che vanno da Rosh Hashana' a Kippur.

Tefilla'h che soprattutto nel caso di Giona non vuol dire solamente preghiera ma confrontarsi con D-o, letteralmente sottoporsi a giudizio dall'etimo p-l-l.

In questo canto di ringraziamento, che la critica biblica vede come un'interpolazione di versi di Salmi agggiunti successivamente, l'angustia e' descritta come fatto del passato.Questo pero' puo' anche essere letto come una speranza ed una certezza di essere salvato.

Dopo aver toccato il fondo ed aver vissuto l'esperienza dello Sheol, Giona non solo percepisce la presenza di D-o e del Suo Bet Ha-Miqdash, ma si ricorda del Signore che significa fare cio' che D-o ci chiede che e' forse il senso piu profondo di una introspezione e di una Teshuva'h.

Le acque del caos e del diluvio, come elemento di distruzione e trasformazione ribadiscono che non puo' esserci creazione, se non si attraversa l'esperienza del caos o quella del diluvio.

E' un rischio che va affrontato a qualsiasi prezzo.Si puo' superare la prova, ma si puo' rimanere sommersi e sopraffatti.Anche le acque del Mar Rosso e del Giordano dovevano essere attraversate, per quel passaggio di fase necessario per diventare un popolo.

Giona supera questa esperienza tanto che si ripromette di offrire quel sacrificio di ringraziamento, ymlc shelamim, per il quale e' richiesta quella pace e quella completezza lc -wlc shalom- shalem tipica del giorno di Kippur il giorno della Teshuva'h, l'unico giorno dell'anno in cui il Satan non ha su di noi alcun potere. Il Talmud lo deduce dalla Ghematriah (valore numerico) della parola wfch Hasatan che corrisponde a 364 equivalente a tutti i giorni dell'anno meno uno, il giorno di Kippur.

Ma ogni fuga verso un isolamento protettivo termina nel terrore di rimanere prigioniero.

Giona infatti riprende la sua vita al punto in cui aveva cercato di fuggire.

Secondo la Tradizione Giona e' vomitato dal pesce nello stesso posto da dove e' fuggito.

La potenza della Teshuva'h e del perdono e' dimostrata dal fatto che D-o torna a rivolgersi a Giona come se nulla fosse accaduto. Nel testo e' scritto: "Il Signore si rivolse a Giona una seconda volta..."; come per le Tavole dell'Alleanza c'e' stato bisogno di una seconda volta-le prime Tavole non potevano andar bene perche' esclusiva opera di D-o contrariamente alle seconde prodotto della collaborazione tra D-o e l'uomo, condizione necessaria per la realizzazione di qualsiasi patto- cosi' anche Giona accettera' finalmente la missione.

Ninive, centro di potere e di malvagita' spaventerebbe chiunque, essa e' addirittura definita una realta' "grande per il Signore", ma Giona sembra essersi liberato dalla timidezza e dal complesso di inferiorita' nei confronti delle realta' grandi e colossali.Troppo spesso si preferisce muoversi in ambienti limitati ed esclusivi.Quasi contro voglia e con grande fatica pronuncia cinque parole: "Ancora quaranta giorni e poi Ninive sara' distrutta".Un messaggio estremamente conciso dunque che pero' il re di Ninive sembra intendere piu' correttamente di Giona, per il quale il messaggio altro non e' che una semplice comunicazione, non un'ammonizione, non una richiesta.

Il re invece capisce quello che il Signore gli voleva fare capire:"Ninive sara' distrutta tra quaranta giorni se...".Se la gente non mutera' stile di vita, non recuperera' una morale collettiva, non rispettera' le regole della convivenza e di quello che oggi si chiamerebbe il patto sociale.

I quaranta giorni annunciati per il capovolgimento rappresentano nella Tradizione ebraica un periodo indicativo per fare Teshuva' per la preparazione e l' attesa di momenti importanti;basti pensare al diluvio, ai giorni in cui Mose' rimane sul Sinai, al viaggio di esplorazione della terra di Canaan, agli anni della permanenza degli ebrei nel deserto e ai giorni in cui Eliahu Hanavi' cammino' nel deserto prima che D-o gli si rivelasse.

Il periodo tradizionalmente dedicato alla Teshuva' e' quello che va dal 1 di Elul al 10 di Tishri', che e' appunto di quaranta giorni.

Alcuni esegeti hanno visto nell'atteggiamento di Ninive e dei suoi abitanti, a cui sono state sufficienti cinque parole per fare Teshuva'h, una lezione per il popolo ebraico che non si e' ravveduto dopo molteplici ammonimenti e profezie. E' vero che a Ninive sono coinvolti grandi e piccoli in questo processo di cambiamento, c'e' uno sconvolgimento dell'ordinamento dello Stato e della vita del popolo, animali compresi, ma e' riscontrabile una qualche differenza tra la Teshuva'h sofferta ed elaborata di Giona e del suo popolo e quella un po' troppo rapida e semplice degli abitanti di Ninive. E' la stessa differenza che esiste tra la parola wx zom, digiuno, usata per i Niniviti, equivalente ad una mera astensione dal cibo, e l'imperativo della Torahh a proposito del Kippur "kytcpn ta tynuw" "veinnitem et nafshotechem" "e affligerete le vostre persone "(Levitico, 23;27)che indica un'afflizione non solo in senso fisico.

Il digiuno vale se non e' un'irriverente commedia, una vana astensione dal cibo e nient'altro, dicono i Maestri.Il giorno di Kippur attraverso atti di contrizione e un sostanziale ravvedimento deve segnare una data rivoluzionaria della nostra condotta.

I Maestri del Talmud Jerushalmi (Taanit, 2;1) hanno qualche dubbio sulla sincerita' della Teshuva' dei Niniviti. E' il versetto "Ed invocarono il Signore con forza", cioe' con forzatura, che li spinge a sospettare una messinscena nella troppo rapida metamorfosi di Ninive attuata con atti smisurati e sostanzialmente falsi. Forse fu proprio questo che sconcerto' ed irrito' il nostro Giona che deve essersi chiesto: perche' per gli altri e' cosi' facile?.Ma il D-o che Giona teme e' il D-o universale che si preoccupa della salute e della pace di tutti gli uomini qualunque sia la loro razza, la loro fede, il loro regime politico; i Suoi Profeti sono Maestri di tutte le genti e non solo del popolo ebraico;Egli non e' soltanto il giudice custode e vindice della morale, ma e' anche l'Essere benigno e pietoso a cui il perdono e' piu' caro del castigo ed a cui bastano i buoni proponimenti, i piu' tenui segni di pentimento per concedere la massima indulgenza ed il completo condono. I bambini innocenti ed ingenui che non sanno n possono discernere il bene ed il male e gli animali incapaci di criteri morali non solo non possono essere coinvolti nella condanna, ma debbono pesare nel giudizio fino a salvare una collettivita' appena dimostri un po' di pentimento.Nessuno, questo il senso della parabola, puo' aver peccato tanto da non potere ottenere, se sinceramente pentito, il perdono di D-o o di se stesso.Basta un attimo di pentimento, basta un segno di resipiscenza e di buona volonta', perche' tutto il male che si e' fatto venga cancellato e non pesi piu' a nostro carico sulla bilancia della giustizia divina.

Giona si sente tradito e abbandonato, si scaglia contro la magnanimita' e la misericordia di Dio.

Per lui che esige una parola divina univoca e definitiva, la mutabilita' della parola di D-o e' espressione di oscillazione e di inattendibilita'.Non e' un caso infatti, che nella sua collera il profeta rinfacci a D-o proprio quegli Attributi che nel capitolo 34 dell'Esodo, l'Eterno aveva attribuito a Se Stesso, definendosi "Pietoso e Misericordioso.....". Degli appellativi tramandati nel passo dell'Esodo manca tuttavia l'ultimo, che pure nel quadro del libro di Giona ha un'importanza decisiva:l'attributo tma Emet, Vero nel mantenere le promesse.Proprio lui che e' figlio delle Verita'! Ma quella di Giona sembra essere una concezione della verita' troppo inficiata dal proprio ego, una specie di proiezione trascendentale delle proprie paure.La perdita di certezze si traduce per lui in un moto di autodistruzione, in un desiderio di morire che sembra piu' un falso coraggio e una falsa liberta'.E' sorprendente notare come il profeta passi da sensazioni di grandissimo piacere a sentimenti di grande irritazione. Rivolgendosi a D-o spiega chiaramente i motivi della sua delusione e della sua fuga precedente.

Me lo immaginavo, Gli dice, e per questo avevo cercato di scappare lontano:so che Tu sei pietoso, paziente, pronto a perdonare, ma io riguardo a Ninive la penso diversamente, per cui non potendo competere con Te, Ti prego di farmi morire.

A questo punto Giona se ne va fuori dalla citta', si costruisce una capanna e si autoesilia.

E qui viene introdotta la famosa storia del ricino.Giona si ripara dal sole all'ombra dei suoi rami e foglie, ma all'alba, quando si sveglia, si accorge che un verme ha roso il ricino fino a farlo avvizzire. Poi allo spuntare del sole arriva anche il vento caldo del deserto, a rendere insopportabile la vita di Giona che sembra arrendersi, ancora una volta pero' non alle ragioni di D-o, che non intende, ma alle distrette in cui si trova.

Dio pero' non si stanca di far ragionare il profeta interesssandosi a lui continuamente.

Attraverso la storia del ricino D-o vuole insegnare a Giona a saper convivere con le Sue Verita' che talvolta significa doversi confrontare con la la caducita' e la precarieta' della vita.

Secondo un Midrash, Giona sarebbe stato chiamato proprio durante la festa di Sukkot, momento in cui ogni ebreo deve misurarsi con l'ombra della Sukka'h, lo lx tzel che rappresenta sia l'immagine di D-o che la parte oscura ed inconscia di ognuno di noi. Alla paura di fronte ad una vita caratterizzata da imprevisti e dall'angoscia provocata dalla parola viva di D-o, oltre al ricino, viene riproposto l'elemento del jwr vento il quale spesso e' l'artefice nell'imporre la direzione al nostro viaggio pieno di interrogativi e di incognite.

L'aspetto piu' drammatico e caratterizzante del libro di Giona resta il finale, o piuttosto la mancanza di finale.

Il libro si conclude con la parola di D-o, che pero' in questo caso consiste in una domanda e' piu' che naturale, ma, caso unico e' una domanda a concludere la storia di Giona.

E' proprio Giona, l'ebreo, che deve salvare Ninive, la futura distruttrice di Israele, paradossale!

confitto dalla vita, umiliato da D-o, questo antieroe, benche' scelga la disperazione per se stesso e per gli altri, pensa agli altri prima di pensare a se stesso.Sceglie la vita, sebbene piena d'angoscia, per impedire agli altri di morire.Questo significa imparare a navigare con il jwr ruach di D-o per essere figli delle Sue Verita'.