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ago 24, 2002 |
Storia millenaria,  |
redazione

Chi erano veramente i farisei?

Ho letto con interesse sull'ultimo H.K. La presentazione riformati come i farisei di Simeon j. Maslin, gia' presidente dell'assemblea dei rabbini riformati americani, nella traduzione di Filippo Levi. Provenendo, in quanto rabbino italiano (ortodosso), da una concezione dell'ebraismo totalmente divergente per ideologia e sensibilit, troverei ozioso tentare in poche righe una confutazione filosofica dei principi della riforma. Mi sento invece di soffermarmi sulla tesi storica di fondo dell'articolo, gia' anticipata nel titolo. Non e' certo la prima volta nella storia delle religioni che colui che ritiene di avere delle idee innovative da proporre all'umanita' pretenda di ispirarsi, o addirittura di identificarsi, con illustri exempla del passato anche a costo di stravolgere la storia.

accaduto con i padri della chiesa, i quali non si sono peritati di ribaltare l'identificazione midrashica tradizionale Giacobbe=Israele, Esau'=Roma per presentare se stessi, eredi morali dellimpero d'occidente, come successori di Giacobbe, avendo carpito la primogenitura al fratello maggiore Esau',Israele. Ora succede con i riformati, che pretendono di riallacciarsi alla corrente farisaica che fra i duemila e i 2500 anni fa getto' le basi dell'ebraismo rabbinico. Per rendersi conto di quanto tale tesi sia pretestuosa e destituita di ogni ragionevole fondamento storico basta una conoscenza basilare di chi siano realmente stati i farisei. La migliore monografia in italiano sull'argomento resta ancora, a mio avviso, i farisei che R. Travers Herford scrisse nel lontano 1924.

Pastore della chiesa riformata di Scozia, fu tra i primi esponenti della cristianita' a rendersi conto dei limiti del pregiudizio evangelico che identificava nei farisei, per pretese forme di comportamento, un sinonimo di ipocrisia etica e religiosa. Proprio allo scopo di confutare tale luogo comune scrisse il suo saggio, che in Italia e' tuttora disponibile, attraverso successive ristampe, nientemeno che nella traduzione di Dante Lattes (ed. Laterza). Come lo stesso Travers Herford esordisce, i farisei sono in buona sostanza gli eredi della dottrina che Ezra e Nehemia, al ritorno dall'esilio di Babilonia, espressero in uno degli ultimi libri del Tanakh (Bibbia ebraica).

Sara' sufficiente confrontare alcuni capisaldi della dottrina farisaica con l'ebraismo riformato di Maslin per evidenziarne le differenze: per ogni dettaglio rimando i lettori al volume citato.

  1. Decime e purita'. I farisei (lett. separati, prima e meglio che interpreti) nacquero come una associazione di dotti che si proponeva di riaffermare l'osservanza di alcune norme rituali che all'epoca del secondo tempio erano cadute in disuso a livello popolare: fondamentalmente il prelievo delle decime e le regole della purita' (chaghigah 2,7; qiddushin 66a). Gia' su questo punto il paragone con la riforma moderna mi pare debole. Non conosco alcun argomento della tradizione ebraica che gli ebrei riformati oggi abbiano inteso riaffermare per essere nel frattempo caduto in disuso ne' mi risulta, a differenza degli ortodossi, che essi siano particolarmente dediti a purificarsi nel Miqweh Piu' in generale. Se i riformati ritengono in buona misura obsoleta la Halakhah tradizionale, con che cosa l'hanno sostituita che vada oltre la pura e semplice rimozione della Halakhah stessa?

  2. Matrimoni misti. Sappiamo bene da reiterate testimonianze bibliche (Ez. Cap. 9 e 10; ancora Neh. Cap. 10 e 13) quanto Ezra e Nehemia abbiano affrontato di petto questo doloroso argomento, giungendo al punto di imporre al popolo il congedo di tutti i coniugi non ebrei sposati durante la cattivita' babilonese come presupposto di una rinascita culturale e spirituale in terra d'Israele. Su questo tema, che affligge oggi non meno di allora il mondo ebraico, non mi pare che Maslin la pensi allo stesso modo, se dichiara che, a sue vedute, un ebraismo vibrante e vitales deve dichiarare che la nascita non porta con se' alcun privilegio o casta e che non puo' essere un impedimento al matrimonio.

  3. Lingua ebraica (leshon ha,qdesh). Una delle ragioni che spinsero Ezra a dichiarare guerra ai matrimoni misti fu il fatto che i loro figli parlavano mezzo asdodeo e non sapevano l'ebraico (Neh. 13,25). vero che egli promosse la traduzione pubblica della Torah in aramaico (l'inglese di allora) per diffonderne la conoscenza tra il popolo (Neh. 8,8), ma va pur detto che questa veniva recitata da esperti, rigorosamente a memoria, dopo la lettura del Sefer Torah in ebraico per evitare che assumesse la stessa sacralita' dell'originale (Meghillah 4,4). parimenti nota l'avversione dei maestri del Talmud per la recitazione di preghiere in una lingua che non fosse l'ebraico (Shabbat 12a; Sotah 33b). Chissa' cosa direbbero del fatto che l'attuale Union Prayer Book dei riformati e' quasi completamente ufficiato in inglese! Eppure l'importanza della lingua ebraica e' a tutt'oggi pienamente riconosciuta come denominatore comune della nostra identita' anche negli ambienti laici.

  4. La Torah orale (Torah she-be-aleph). Una delle grandi innovazioni dei farisei e' stata l'interpretazione della Torah scritta al di la' della lettera del testo (Sukkah 48b), culminata nella letteratura talmudica e midrashica, vasta e profonda ad un tempo. La lextalionis (bava' qamma' 83b) e' soltanto l'esempio piu' celebre di questa metodologia ermeneutica ed e' citato da Maslin a proposito. Quello che tuttavia non si capisce dal suo articolo e' ancora una volta con che cosa concreta egli si proponga di sostituire tale metodologia e la letteratura su di essa costruita nei secoli dopo averle implicitamente dichiarate superate attraverso la sua critica all'ortodossia.

  5. Il mondo a venire (Olam ha-ba'). La tradizione farisaica non si e' limitata a stabilire le regole per linterpretazione della Torah e a codificare la Halakhah valida tuttora. Essa ha elaborato anche una hashqafah (lett. visione del mondo che comprende fra l'altro la fede nel mondo a venire e in una ricompensa ultraterrena (Berakhot 9,5). Una vera e propria dottrina filosofica, anche se non del tutto sistematica, di cui abbiamo un'esposizione nei famosi Pirqe' Avot. Ora mi risulta che la riforma ebraica, forse sulla scorta di certe teorie relativistiche di scuola protestante, tenda oggi a negare la provvidenza e forse la stessa divinita'. Ritorna nuovamente la stessa domanda: in che cosa i riformati hanno saputo rinnovare l'apparato filosofico tradizionale, su cui lebraismo si e' basato per secoli, dopo aver negato validita' all'apparato stesso?

Da questa pur breve disamina credo di poter trarre due ordini di conclusioni. 1) nella storia dello spirito i processi innovativi non sono tutti uguali ne' di conseguenza paragonabili fra loro. C'e' chi procede per rimozione, spesso illudendosi di ricostruire ex novo dopo, e ce' chi preferisce procedere per la ristrutturazione. per guardarsi dai primi che il Chatam Sofer di Pressburg diceva chadash assur min Ha-Torah. Ed e' in riferimento ai secondi che Basil Herring, un altro noto rabbino americano vivente (ortodosso) dice invece: la varieta' delle fonti e la possibilita' di diverse interpretazioni da parte delle autorita' piu' recenti porta ad una Halakhah responsabile e dinamica, al tempo stesso critica e conservatrice nel mantenere i valori tradizionali.

Non e' cauto, per propagandare le proprie idee, cercare a tutti i costi paralleli fra movimenti spirituali che operano a distanza di secoli, laddove tale continuita' non sia suffragata da una tradizione consolidata: si rischia di non produrre altro che abbaglianti slogan. Se volessi a mia volta ricercare per i riformati di oggi un paragone nel mondo antico, penserei immediatamente agli ebrei alessandrini. Pregavano in greco, amavano i dibattiti dei sofisti, ne sposavano le figlie e allevavano i loro bambini instillati di amore per l'ebraismo alla Maslin. Sono durati un paio di secoli o poco pi. Giusto il tempo di quietare la vanita' di qualche coscienza tormentata. Poi non ne abbiamo saputo piu' nulla.

Pressappoco nella stessa epoca nasceva anche l'ebraismo in Italia: ma a Roma, rispetto ad Alessandria, le cose andarono diversamente. Nel cuore della latinitas un erede dei farisei ebbe il coraggio di parlare ebraico e di insegnare la Torah she-be-aleph, aprendo una yeshivah all'ombra del Colosseo. Il suo nome era R. Matya' Ben Charash. Il suo insegnamento si condensa in una massima, cosi' riportata nei Pirqe' Avot: sii coda dei leoni, ma non essere testa delle volpi (4,20).

Tanta umilta' contribui' certamente a preservare una tradizione orgogliosa fino ad oggi. Tanto orgogliosa della sua antichita' da non aver mai avuto bisogno di chadashim mi-qarov bau, nuovi dei venuti di recente, che i vostri padri non avevano venerato (Dev. 32,17). Noi ebrei italiani possiamo invece ben dire: ki lo ke-tzurenu tzuram. la loro rocca non e' come la nostra (Dev. 32,3 1).