Mary Antin

La terra promessa

Introduzione

"I was born, I have lived, and I have been made over. Is it not time to write my life's story?"1Cosi' esordiva Mary Antin, nel 1912, nella prefazione alla sua autobiografia "The Promised Land", spiegando i motivi che l'avevano spinta alla scrittura. Quest'opera, rispetto alle altre autobiografie di immigrati, pubblicate in gran numero negli anni a cavallo del 1900, avrebbe avuto un significato particolare per l'opinione pubblica americana, e anche un pubblico molto piu' ampio rispetto a queste ultime, le quali spesso riscuotevano soltanto l'interesse di gruppi ristretti di lettori, di solito appartenenti allo stesso gruppo etnico dell'autore. Nel caso della Antin invece ci fu un notevole successo editoriale, degno di un vero best-seller.

Che cos'aveva da raccontare una giovane immigrata ebrea di origine russa, ma ormai quasi del tutto americanizzata, che cosa trovava nel corso ancor breve della sua esistenza (non aveva nemmeno trent'anni quando comincio' a scrivere "The Promised Land") che riteneva cosi' significativo per il pubblico americano?

Quell'esistenza era divisa quasi esattamente a meta' sia in senso temporale sia spaziale da un evento sia l'aveva cambiata totalmente, e cioe' l'esodo verso l'America, che avvenne quando lei aveva tredici anni e ai suoi occhi non costitui' un semplice viaggio per mare ma il passaggio da un mondo ad un altro. Pero', riferendosi alla propria vita, lei la defini' "unusual, but by no means unique"2, anzi "typical of many" e proprio per questo motivo "worth recording". E' lei stessa a spiegarci il perche': "My life is a concrete illustration of a multitude of statistical facts. Although I have written a genuine personal memoir, I believe that its chief interest lies in the fact that it is illustrative of scores of unwritten lives. I am only one of many whose fate it has been to live a page of modern history". Ma quest'opera, lungi dall'essere un'epopea degli ebrei russi emigrati in America, e' soprattutto il racconto della crescita umana e culturale di un'immigrata molto particolare qual e' appunto l'autrice.

Maryashe Antin, detta Mashke, era nata nel 1881 a Polotzk, una cittadina dell'attuale Bielorussia, la quale si trova pressappoco duecento chilometri a nord di Minsk e aveva allora circa ventimila abitanti, la meta' dei quali erano ebrei. Data la condizione benestante del ramo materno della sua famiglia, la sua prima infanzia fu relativamente felice, almeno per quanto poteva permettere la difficile situazione degli ebrei nell'impero russo. Pesantemente discriminati, all'epoca gli ebrei erano costretti a vivere all'interno del Pale, una zona dell'Europa orientale che si estendeva dalla Lituania sul Mar Baltico alla Bessarabia e alla Crimea sul Mar Nero, e dal confine russo-tedesco ad una linea ad ovest di Smolensk e Kharkov. In quella zona, che comprendeva i territori annessi dalla Russia dopo la terza spartizione della Polonia (1795), era presente una delle comunita' ebraiche piu' numerose d'Europa (agli inizi dell'ottocento erano gia' piu' di un milione), e cio' determinava gravi problemi legati al sovrappopolamento.

Gli ebrei erano sottoposti a numerose interdizioni riguardanti l'attivita' lavorativa: non potevano coltivare la terra, non potevano muoversi liberamente al di fuori della loro zona, dovevano pagare tasse molto piu' pesanti dei gentili e sovente avevano a che fare con funzionari da corrompere a caro prezzo; oltre a cio' la concorrenza spietata determinata dal sovraffollamento faceva si' che la maggior parte di loro vivesse in una desolante miseria. Tali condizioni si aggravarono dopo l'abolizione della servitu' della gleba (1861), che estromise molti ebrei dalla loro posizione di amministratori agricoli per le tenute dei nobili e di mediatori nella vendita dei prodotti dei contadini.

Inoltre, proprio lo stesso anno in cui era nata la Antin, era stato assassinato lo zar Alessandro II, e in seguito era salito al trono Alessandro III, uno zar fortemente reazionario circondato da uomini favorevoli al nazionalismo russo. Nella primavera e nell'estate di quell'anno in Russia e in Polonia incomincio' una violenta serie di pogrom, sanguinosi attacchi alle comunita' ebraiche accompagnati da saccheggi, incendi, torture e uccisioni, alimentati da false accuse che vedevano negli ebrei i responsabili dell'assassinio dello zar, e dalla propaganda governativa che mirava a sobillare le masse contro di loro, indicandoli come causa di tutti i problemi dell'impero. Nel giro di un anno furono colpite le comunita' ebraiche di Kiev, Odessa, Yalta, Kishinev, Minsk, Vitebsk, dove ci furono centinaia di uccisioni e migliaia di senzatetto.

L'anno successivo Alessandro III promulgo' le cosiddette Leggi di Maggio, una serie di provvedimenti ancor piu' restrittivi che rimasero in vigore fino al 1917, fra i quali il divieto per gli ebrei di abitare nelle campagne, di lavorare come contadini, artigiani o liberi professionisti, l'introduzione del monopolio statale per la vendita di bevande alcoliche (attivita' allora frequentemente esercitata da ebrei), e altre disposizioni che miravano ad assimilare gli ebrei e ad impedire loro l'accesso all'istruzione superiore. Tutto cio' determino' una disoccupazione diffusa e un massiccio esodo dai piccoli centri rurali verso le citta', nelle quali i quartieri ebraici erano pero' gia' sovraffollati, e fu proprio in quegli anni che gli ebrei russi cominciarono ad emigrare in massa verso l'Europa occidentale e soprattutto verso gli Stati Uniti, tanto che alla fine del secolo quella di New York era gia' diventata la piu' grande comunita' ebraica del mondo. I pogrom furono soltanto una causa indiretta di questa imponente ondata migratoria, le cause principali erano soprattutto economiche: i ricchi borghesi tendevano a restare comunque in Russia, magari cambiando citta', perche' potevano contare su una rete d'appoggi efficace, su parenti o amici del loro stesso ceto che li potevano aiutare, mentre i poveri, privi di risorse, cercarono di rifarsi una vita in America

Se dal punto di vista economico e sociale la situazione degli ebrei in Russia era drammatica, era nella cultura che le comunita' ebraiche trovavano il loro principale fattore d'aggregazione, che le differenziava dal resto della popolazione sia per le usanze e il modo di vestire, sia per come parlavano e scrivevano. La loro lingua era lo yiddish, un dialetto d'origine germanica adottato da tutti gli ebrei dell'Europa centro-orientale, in cui si mescolavano termini d'origine ebraica e slava, e che si scriveva utilizzando caratteri ebraici.

"Lo studio assiduo della Torah e del Talmud, il continuo commentare e discutere i codici medievali del sapere ebraico erano gli elementi base intorno a cui si aggregava il piccolo microcosmo delle comunita' orientali. La fede nella tradizione era la difesa contro la miseria, le carestie, le calunnie, gli eccidi e l'insicurezza del domani. La sinagoga e la yeshiva', o scuola talmudica, erano il centro della vita comunitaria, tanto che spesso le donne si facevano carico di forti oneri di lavoro, in modo tale da offrire agli uomini la possibilita' di dedicare molte ore della giornata allo studio."3Infatti, come la Antin piu' volte sottolinea, l'accesso all'istruzione era riservato agli uomini, sempre che non si avesse un padre "progressista" e in grado di permettersi lezioni private per le figlie femmine, com'era stato il caso di sua madre e anche, per un breve periodo, della stessa Antin e della sorella Fetchke (queste lezioni pero' si interruppero presto a causa del peggioramento delle condizioni economiche della famiglia).

Colpito da una serie di rovesci finanziari che avevano compromesso in maniera irrimediabile la sua attivita' mercantile e ridotto la famiglia in miseria, il padre, Israel Antin, nel 1891 decise di fare quello che gia' migliaia di suoi connazionali avevano fatto: emigrare in America. Anche qui non ebbe molto successo, e solo molto tempo dopo riusci' a raggiungere la sicurezza economica, ma tre anni dopo riusci' ad inviare alla famiglia del denaro perche' lo raggiungessero (denaro che comunque non basto' a coprire per intero le spese di viaggio).

Cosi' sua moglie, Esther Weltmann Antin, e i quattro figli: Fetchke, la maggiore, Mashke, Joseph e la piccola Deborah affrontarono la traversata dell'oceano sul transatlantico Polynesia. Insieme a loro c'erano centinaia d'altri ebrei in fuga da condizioni di vita insopportabili, i quali non sapevano pero' cosa li aspettava nella cosiddetta Goldene Medine (terra dorata), come veniva chiamata allora l'America: "[l'ebreo] puo' rimuginare su come sara' New York. Non riesce proprio a farsene un'idea. Ma sara' cosi': abitera' in mezzo a palazzi di dodici piani, tra cinesi, ungheresi e altri ebrei, sara' di nuovo un venditore ambulante, avra' di nuovo paura della polizia, sara' nuovamente vessato. I suoi figli forse diventeranno americani. Forse americani famosi, americani ricchi. Re di qualcosa. Questo sogna l'ebreo dietro le sbarre della sua quarantena."4

Gli Antin giunsero finalmente a Boston l'otto maggio 1894. Poco dopo Mashke racconto' il suo viaggio per mare e l'arrivo in America in una lunga lettera in yiddish allo zio Moshe. Questa stessa lettera, tradotta e adattata in inglese, fu prima pubblicata sull'American Hebrew e costitui' in seguito la base del suo primo lavoro edito, "From Plotzk to Boston" (nel titolo il nome della sua citta' natale fu storpiato), che usci' nel 1899.

A Boston comincio' la loro nuova vita, e cio' fu sancito fin da subito con quello che potremmo definire un "battesimo americano", vale a dire l'adattamento degli scomodi e impronunciabili nomi russi in modo da farli suonare piu' americani: Fetchke divento' Frieda, Mashke Mary e Deborah Dora, mentre la madre Esther fu ribattezzata Annie.

Ambientarsi nella "terra promessa" si rivelo' piu' difficile rispetto alle aspettative: il padre passava da un lavoro all'altro, sempre senza successo, la famiglia si trasferiva piu' volte, in abitazioni sempre piu' misere. Gli immigrati ebrei si rendevano conto che probabilmente non avrebbero fatto molta strada in America: "Pochi di loro si facevano illusioni sul proprio futuro. Sapevano che probabilmente[...] sarebbero rimasti poveri per il resto della loro esistenza.[...] Ma i loro figli sarebbero entrati in America. La generazione degli immigrati viveva far die kinder, per i figli. [...]Per i genitori l'opportunita' di accedere all'istruzione in America significava che i figli avrebbero potuto cambiare la loro condizione sociale."5

L'istruzione: in America era libera e gratuita, mentre in Russia per gli ebrei era quasi inaccessibile, specialmente nei gradi superiori; per quelli inferiori era limitata all'istruzione impartita dai maestri ebraici, una formazione ristretta all'ambito dell'erudizione religiosa, ma cosi' poco utile a scopi pratici che la Antin riteneva cio' un fattore determinante per spiegare gli insuccessi economici del padre. Egli in gioventu' era stato un promettente studente della yeshivah (seminario rabbinico), tanto che tutti credevano che sarebbe diventato rabbino, mentre poi, accorgendosi di quanto poco si confacesse quel tipo di studi alla sua brillante intelligenza, aveva abbandonato tutto, ma proprio la mancanza di una preparazione adeguata gli aveva reso assai difficile avere successo nell'attivita' mercantile. I suoi primi anni in America furono un susseguirsi di esperimenti in questo ambito, tutti piu' o meno fallimentari, finche' piu' avanti riusci' a risollevarsi, grazie anche all'aiuto e all'esperienza della moglie.

Purtroppo la difficile situazione economica non permetteva a tutti i figli di frequentare la scuola: Frieda, che aveva gia' l'eta' legale per lavorare, si dovette sacrificare per i fratelli e fu assunta come cucitrice. Per garantire maggiori opportunita' a Mary, la cui attitudine allo studio si era gia' messa in luce dai tempi di Polotzk, il padre menti' sulla sua eta' all'ufficiale scolastico, dichiarando che aveva soltanto undici anni, in modo da garantirle altri tre anni d'istruzione obbligatoria (significativamente, questo fatto non e' menzionato in "The Promised Land", ma e' rielaborato nel racconto "The Lie", in cui il protagonista e' pero' un bambino e non una bambina). Mary cosi' pote' frequentare per quattro anni la grammar school (scuola elementare), a cui si aggiungeranno tre anni di Latin school (corrispondente al nostro liceo), studio che pero' non porto' a termine, e la frequenza di alcuni corsi universitari singoli alla Columbia University.

Divento' anche membro del Club di Storia Naturale, dove conobbe il suo futuro marito, William Amadeus Grabau, che sposo' nel 1901. Ma questi anni di formazione furono fondamentali anche per i rapporti che Mary allaccio' con autorevoli esponenti della cultura americana dell'epoca, come Edward Everett Hale e le sorelle Emma e Josephine Lazarus, la prima famosa per essere l'autrice della lirica incisa sul basamento della Statua della Liberta', mentre la seconda aveva piu' volte esortato Mary a raccontare la propria vita in un libro: infatti "The Promised Land", uscito dopo la sua morte, e' dedicato alla sua memoria. Altre conoscenze importanti sono Israel Zangwill, autore della prefazione a "From Plotzk to Boston", e il direttore dell'Atlantic Monthly Ellery Sedgwick, il quale pubblichera' estratti da "From Plotzk to Boston" e "The Promised Land", nonche' tutti i suoi racconti.

A dire il vero, il suo primo scritto pubblicato risale ancora ai primi anni di scuola: si tratta di un componimento intitolato "Snow", pubblicato per iniziativa della sua insegnante sul periodico Primary Education, con l'intento di mostrare che cosa era stata capace di fare in pochi mesi una piccola immigrata ebrea russa arrivata in America senza conoscere una sola parola d'inglese. Alcuni anni dopo, ancora giovanissima, fu lei stessa a prendere l'iniziativa e a cercarsi un editore per una poesia patriottica su Washington, episodio che racconta, con una certa autoironia mista a tenerezza, in "The Promised Land": la poesia fu effettivamente pubblicata sul quotidiano Herald.

Dopo la pubblicazione di "From Plotzk to Boston", con l'introduzione di Israel Zangwill, passarono alcuni anni, circa un decennio, prima che la Antin approdasse all'attivita' letteraria vera e propria. In questo lasso di tempo avvennero alcuni cambiamenti importanti nella sua vita: nel 1901 sposo' William Amadeus Grabau, e si trasferi' con lui a New York; Grabau insegnava alla Columbia University. Nel 1907 nacque la loro unica figlia, Josephine Esther Grabau.

Verso il 1910 Mary Antin comincio' a scrivere "The Promised Land": la prima redazione era suddivisa in dieci capitoli, cinque dedicati al periodo russo e cinque a quello americano, e fu terminata il dieci aprile di quell'anno. Inviato al direttore Ellery Sedgwick, il manoscritto suscito' in lui un grande entusiasmo, tanto che egli propose di pubblicarne cinque lunghi estratti sull'Atlantic Monthly. Ma prima della pubblicazione integrale il testo subi' rilevanti modifiche, con aggiunte e riduzioni, e fu riorganizzato in venti capitoli piu' brevi, sempre conservando la suddivisione in due parti, dedicate l'una alla Russia, l'altra all'America. Uscito nel 1912, "The Promised Land" raccolse numerosi consensi e fu oggetto di recensioni entusiastiche, le quali apprezzavano il patriottismo della Antin e la visione sociologica che aveva saputo dare del fenomeno dell'immigrazione. In seguito ci furono anche speciali edizioni scolastiche del testo, che fu utilizzato nelle scuole pubbliche fino al 1949.

Nel 1911 usciva sull'Atlantic Monthly anche "Malinke's Atonement", primo di un gruppo di racconti ambientati nella natia Polotzk e in gran parte d'ispirazione autobiografica: in essi pero' la Antin, pur rielaborando episodi e motivi della propria vita, non si racconta in prima persona. A questo racconto seguirono "The Amulet" (1913) e "The Lie" (1913), anch'essi usciti sull'Atlantic Monthly.

Questo periodo, dal 1899 (anno di pubblicazione di "From Plotzk to Boston") al 1914, anno in cui il marito si trasferi' a Pechino per insegnare all'universita', si puo' definire il periodo d'oro della sua attivita' letteraria: oltre ai gia' citati racconti e scritti autobiografici, furono pubblicati importanti articoli e saggi sul problema dell'integrazione degli immigrati nella societa' americana. La sua ultima opera pubblicata in quel periodo, "They Who Knock at Our Gates: A Complete Gospel of Immigration" (1914), verte proprio su questo tema che per la Antin si doveva risolvere in termini di entusiasta e patriottica integrazione, come emergeva gia' in "The Promised Land". A quella letteraria Mary Antin affiancava un'intensa attivita' di relatrice in una serie di conferenze che teneva in tutti gli Stati Uniti, sempre sui temi a lei piu' cari: immigrazione, integrazione, mondo ebraico, sistema scolastico, trattati da un punto di vista progressista e moderatamente femminista. Il clima generale pero' non era piu' cosi' favorevole agli immigrati, e la soluzione presentata dalla Antin non appariva molto praticabile: "Gran parte di questi immigrati sapevano che non avrebbero potuto assimilarsi anche se avessero voluto [...] sapevano che, perfino al piu' alto grado di assimilazione, essi sarebbero rimasti dei "gentili dilettanti"6: il muro tra ebrei e gentili restava in piedi anche nella terra promessa".

Negli anni '10 crebbe l'avversione verso gli immigrati, particolarmente quelli piu' lontani per etnia e cultura da quello che era stato il gruppo fondatore e dominante negli Stati Uniti: anglosassone e protestante. I gruppi piu' malvisti, oltre agli ebrei, erano quelli dell'Europa meridionale (greci, ma soprattutto italiani) e orientale (nazioni slave).

Nel 1894 era stata fondata la lega per la restrizione dell'immigrazione, la quale presento' numerose proposte di legge allo scopo di limitare il numero di immigrati "poco graditi". Tali proposte furono inizialmente rifiutate sia dal mondo degli affari, interessato a disporre di manodopera a basso costo, sia dai presidenti, i quali posero sempre il loro veto. In questo periodo la lega raccoglieva pero' consensi crescenti, tanto che nel 1917 il congresso non tenne conto del veto del presidente e approvo' una prima restrizione, basata su un test di alfabetizzazione, dal quale erano pero' esentati i rifugiati. Gli immigrati dovevano dimostrare di saper leggere e scrivere "nella lingua inglese o nella lingua del loro paese nativo o di residenza, o in qualche altra lingua". Non fu approvato l'emendamento che escludeva la frase "o in qualche altra lingua", fatto che avrebbe discriminato specificamente gli ebrei, i quali spesso non sapevano scrivere in russo, ma solo in yiddish. Alcuni anni piu' tardi, nel 1924, fu emanato il cosiddetto Quota Act, un provvedimento che stabiliva quote precise d'immigrazione, suddivise in base alla nazionalita', con maggior favore verso gli stati del nord dell'Europa e quote piu' ristrette per le nazioni meno accette.

Anche la rivoluzione bolscevica in Russia aveva contribuito a creare un clima di sospetto verso gli ebrei russi, visti fino allora soprattutto come perseguitati da accogliere e aiutare, dopo il 1917 sospettati di essere comunisti.

Dopo il trasferimento di William a Pechino la vita dei coniugi Grabau si fece piu' difficile: fra i due sorsero dissapori e screzi che li indussero a separarsi, pur senza divorziare; dopo la separazione la Antin fu colpita da un grave esaurimento nervoso, forse dovuto anche allo stress derivante dalle conferenze. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni economiche piuttosto difficili, e il materiale pubblicato in questo periodo e' molto scarso: l'unico scritto di un certo interesse e' forse "House of the One Father", uscito sul Common Ground nel 1941. Quello della seconda guerra mondiale fu un altro periodo critico per lei: la notizia dell'assalto delle truppe tedesche alla sua citta' natale, con l'uccisione di settemila ebrei fu un duro colpo. Cio' influi' anche sulle sue idee: le persecuzioni subite dagli ebrei accesero in lei un vivo senso di solidarieta' che le rendeva ora impossibile chiamarsi fuori dalla questione ebraica. La morte la colse pochi anni dopo, il quindici maggio 1949.

Il testo che ci troviamo di fronte e' strutturato in venti capitoli: i primi dieci sono ambientati a Polotzk e, oltre a raccontare l'infanzia dell'autrice e la storia della sua famiglia, descrivono le condizioni di vita degli ebrei nell'impero russo. Gli ultimi due capitoli di questa parte contengono la narrazione del viaggio verso la "terra promessa". L'altra meta' del libro e' ambientata in America, e descrive l'adattamento alla nuova vita della famiglia Antin, nonche' la formazione culturale di Mary.

E' interessante esaminare il metodo utilizzato dall'autrice per elaborare i propri ricordi, anche perche' lei stessa ce ne ha fornito un resoconto in un articolo intitolato "How I wrote The Promised Land"7: in una prima fase si limito' esclusivamente ai propri ricordi, senza seguire un piano prestabilito ma procedendo secondo cio' che le affiorava alla mente, e collegando poi le varie sequenze narrative. Solo i primi quattro capitoli (i quali furono scritti per ultimi) seguono uno schema ben preciso, e furono da lei progettati in anticipo con funzione introduttiva, con la descrizione delle condizioni di vita della comunita' ebraica di Polotzk, nonche' come narrazione della storia della sua famiglia: in essi non troviamo soltanto ricordi personali ma anche particolari che la Antin poteva avere appreso, ad esempio, dai familiari. "I find that most of my early memories are physical. I see persons and objects, I hear sounds, songs, phrases, I mark movements and fleeting expressions on people's faces; literally see and hear and take note... This is what is called living one's old life over again"8.

Prendendo in esame il testo di "The Promised Land", si possono fare alcune interessanti osservazioni sulla terminologia di matrice ebraica e yiddish utilizzata dall'autrice, nonche' sui metodi impiegati per spiegare tali termini al lettore. Va sottolineato infatti che la Antin non si rivolgeva soltanto agli ebrei russi ma ad un pubblico piu' vasto che poteva non essere a conoscenza delle usanze e delle tradizioni del mondo ebraico. Cosi' descrisse le festivita', i rituali quotidiani, il sistema scolastico, la cerimonia del matrimonio, e lo fece in maniera vivace e piuttosto dettagliata. Alcune espressioni specifiche avevano pero' bisogno di una definizione piu' precisa, cosa che lei effettuo' sia direttamente nel testo, mettendo la spiegazione tra parentesi, sia con note a pie' di pagina, ma principalmente approntando un breve glossario in appendice al testo. Questo sistema di mediazione culturale era stato sperimentato dall'autrice gia' nel suo primo racconto, "Malinke's Atonement", dietro pressione di Sedgwick, il quale avrebbe voluto farle eliminare tutti i termini "russi". La Antin rifiuto' di toglierli, ma aggiunse alcune delucidazioni fra parentesi e con note a pie' di pagina. In "The Promised Land" questo sistema conosce un ulteriore sviluppo con l'elaborazione del glossario: 120 lemmi, fra cui 32 nomi propri e 13 nomi geografici, il tutto corredato da indicazioni per la pronuncia e da alcune brevi annotazioni di carattere generico.

Alcune parole, pur presenti nel testo, non sono spiegate, come HebrewJewgentilesynagogue, Sabbath, circumcision, Zion, Pale of Settlement: questi termini, che pure sono forse i piu' ricorrenti, in particolare i primi tre, certamente si possono presumere noti al lettore medio, ma in un'opera di questo tipo assumono valore costitutivo e percio' avrebbero forse meritato un'attenzione maggiore da parte dell'autrice.

In alcuni casi essa non utilizzo' un termine ebraico o yiddish ma l'equivalente inglese, ad esempio Passover per indicare la festivita' di Pesech, o confirmation per il rituale del Bar o Bat Mitzvah: nel primo caso il termine inglese ha valenza specificamente ebraica, nel secondo e' stato utilizzato un termine di matrice cristiana, il quale si riferisce al sacramento della cresima. Questi sono i due casi piu' indicativi, ma sia nel testo sia nel glossario e' presente una serie di locuzioni inglesi che si riferiscono ad oggetti o usanze ebraiche, di cui in qualche caso nel glossario e' dato il corrispondente ebraico, ma il termine inglese resta in ogni caso il riferimento principale, e quello ebraico lo segue fra parentesi: nei capitoli qui tradotti incontriamo the Four Questions, sacred fringes (zizit), earlocks (peath), wedding canopy (huppah), praying shawl (tallit), the Law (the Torah).

I vocaboli yiddish o propriamente ebraici sono numerosi, e vengono in gran parte spiegati nel testo, fra parentesi o con perifrasi. Spesso nel glossario viene data una spiegazione piu' ampia. Sempre limitandoci alla sezione tradotta, possiamo trovare trefah, kosher, Sabbath, Rav, shohat, hazzan, "lamden (scholar)"(p. 28), rebbe, Yiddish, "shadchan (marriage broker)"(p. 30), "the Hasidim, the sect of enthusiasts who set religious exaltation above rabbinical lore"(p. 33), "zaddik - a man of piety" (p. 33), Talmudists, Cabala, "knupf or turban"(p. 36), "yeshibah bahur - a student in the seminary"(p. 39), "heder (Hebrew school)"(p. 28), hossen, shema, Rav, "the dayyan, who heard people's quarrels and settled them according to the Law"(p. 27),"the shohat, who knew how cattle and fowls should be killed" (p. 27), hazzan, "rebbetzin (female teacher)"(p. 29).

Vi sono anche alcuni vocaboli russi, come pogrom (che non ha una definizione vera e propria, ma si trova dopo la descrizione degli attacchi dei contadini: "This was called a pogrom", p. 10), "an icon, which was an image or picture of the Christian god, hung up in a corner, with a light always burning before it"(p. 8), e i termini relativi alle monete (rublekopeckgroschen) e alle unita' di misura (verst), nonche' vodka, tutti riportati nel glossario. Non e' spiegato il termine samovar.

Lo stile della Antin e' ricco di prospettive e registri diversi, dal lirico al colloquiale, dall'introspettivo al sociologico, ma di particolare interesse e' il suo tentativo di riprodurre un punto di vista infantile, sia a livello linguistico sia lessicale. Cio' avviene in maniera piu' evidente nelle pagine d'apertura dell'opera, dove l'autrice ci fa capire la visione del mondo che poteva avere una bambina ebrea di Polotzk verso la fine dell'ottocento. E lo fa in primo luogo attraverso una prospettiva singolare, che riproduce la percezione spaziale dei bambini, ai quali tutte le cose sembrano piu' grandi di quanto non siano per gli adulti. Troviamo cosi' numerose espressioni riguardanti non solo la dimensione in senso stretto, (great, big, many), ma anche un senso di meraviglia che e' tipico dei bambini, quando scoprono cose che agli adulti sembrano ovvie e scontate, ma per loro non lo sonoaffatto, sono anzi strange, curious o wonderful.

Ma questa strategia narrativa coinvolge anche il livello lessicale del testo, con l'utilizzo di un vocabolario ristretto, con termini non specifici, come place, thing, people, i quali sono ripetuti piu' volte, anche dove uno scrittore avrebbe cercato un sinonimo o un termine meno generico. Nella prima pagina troviamo ad esempio place ripetuto sei volte: "Polotzk, the place where I lived", "Russia was the place where one's father went on business", "a place called Vitebsk", "From those places came photographs", "There were a great many places on the way", "The railroad station was a big place", "There was ... a place where books were sold", dove place indica di volta in volta una citta', uno stato, una localita', un edificio.

Anche pronomi generici come everybody, everything, everywhere ricorrono piu' volte. Questi accorgimenti stilistici ricorrono con grande frequenza nelle pagine d'apertura dell'opera, proprio perche' qui l'autrice parla di se' stessa bambina, di cio' che pensava e vedeva allora, e delle impressioni che riceveva dalla situazione peculiare in cui si trovava. In seguito il racconto si fa piu' impersonale, poiche' la descrizione si allarga alle condizioni generali di vita nel Pale, ma a tratti riemerge il punto di vista della piccola Mashke, ad esempio quando guarda con invidia i bambini che tornano da scuola: "They had ever so many books in the satchels on their backs. They would take them out at home, and read and write, and learn all sorts of interesting things."9, o quando si rende conto che Vanka la picchia solo per ignoranza: "It was so wonderful."10

Un'altra analisi ricca di spunti riguarda l'influsso del linguaggio biblico, la cui presenza e' comprensibile in un'opera come questa, la quale non si limita a narrare la storia di una vita ma e' anche descrizione di un ambiente e di una cultura, quelli ebraici dell'Europa orientale, fortemente pervasi dallo spirito religioso, tanto e' vero che le parole e le frasi tratte dalla Bibbia non sono impiegate soltanto in ambiti legati al culto, ma anche per descrivere la realta' quotidiana e familiare.

Esempi d'impiego nella sfera religiosa si possono trovare soprattutto nel secondo e nel terzo capitolo, a partire gia' dai paragrafi iniziali, quando l'autrice chiarisce l'importanza cruciale della fede nell'identita' ebraica: essa descrive, attraverso la metafora del muro, la condizione d'isolamento in cui si trovavano gli ebrei, isolamento dovuto si' alle discriminazioni dei gentili, ma anche all'arroccarsi della popolazione ebraica nella propria diversita' culturale e religiosa: "This wall within the wall is the religious integrity of the Jews, a fortress erected by the prisoners of the Pale, in defiance of their jailers; a stronghold built of the ruins of their pillaged homes, cemented with the blood of their murdered children".11L'immagine del muro e della fortezza, come metafora della protezione offerta da Dio, e' molto ricorrente nella Bibbia, in particolare nei Salmi: "The lord is my rock and my fortress"(Pss 18,2), dove pero' prevale l'idea di protezione, mentre qui il muro che protegge e' anche il muro che separa gli ebrei dai gentili.

Poco piu' avanti l'autrice richiama il patto stipulato da Dio con il popolo d'Israele, "while we were intent on renewing our ancient covenant with God, to the end that His promise to the world should be fulfilled, and His justice overwhelm the nations": la nozione di patto fra Dio e gli uomini ricorre infinite volte nell'antico testamento, ma qui il richiamo e' probabilmente lo stesso della citazione successiva, solo poche pagine piu' avanti: "Every Jewish man and woman had a part in the fulfilment of the ancient promise given to Jacob that his seed should be abundantly scattered over the earth"12, e cioe' al libro della Genesi, in un episodio in cui Dio fa una promessa a Giacobbe: "And I will make thy seed to multiply as the stars of heaven and will give unto thy seed all these countries and in thy seed shall all the nations be blessed."13. L'idea presente in entrambi i passi citati e' che il patto stipulato dai padri con Dio va rinnovato e perpetuato dai figli, per creare una continuita' nel segno dell'appartenenza ad un gruppo di prescelti, di eletti.

Il concetto di elezione e' affermato in maniera anche piu' esplicita: "the religion of these fanatics was simply the belief that God was, had been and ever would be, and that they, the children of Jacob, were His chosen messengers to carry His Law to all the nations."14, con possibile richiamo al salmo 90: "even from everlasting to everlasting, thou art God"15 e piu' esplicitamente a Exod. 19,5 "if ye will obey my voice indeed and keep my covenant, then ye shall be a peculiar treasure unto me above all people". Come si puo' vedere in tutto questo discorso non c'e' solo la volonta' di spiegare un singolo aspetto della cultura ebraica, relativo alla religione, ma di mostrare come il sentimento religioso del popolo ebraico sia strettamente connesso all'identita' nazionale, alla percezione di se' stessi come appartenenti a un gruppo diverso sia perche' scelto da Dio e quindi superiore, sia perche' discriminato e osteggiato dagli altri popoli. Entrambe queste accezioni vengono richiamate anche nella pagina seguente: "The flame of the burning bush that had dazzled Moses still lighted the gloomy prison of the Pale." (p.34), in cui il richiamo al famoso episodio del roveto ardente (Exod. 3) fa della chiamata di Dio l'unica luce capace di illuminare la buia prigione del Pale.

Altre influenze sono piu' a livello figurativo, con immagini o metafore prese a prestito dalla Bibbia per descrivere episodi familiari, quasi a inscrivere la storia della famiglia nel solco piu' ampio della storia sacra, come nel caso di p. 37: "Hayyim begat Joseph, and Joseph begat Pinchus, my father.", dove l'autrice riprende la struttura delle genealogie bibliche 16 ; oppure poco piu' indietro: " the pious scion of a godly race had found a pious wife, and a young branch of the tree of Judah was about to bear fruit." 17, dove e' ripreso il linguaggio figurato di Isa. 37, 35: "and the remnant that is escaped of the house of Judah shall again take root downward, and bear fruit upward".

Del resto il riferimento alla Bibbia e' presente anche a livello di titoli: nove dei venti capitoli hanno titoli che si rifanno a episodi o espressioni bibliche, o comunque religiose: "Children of the Law", "The Tree of Knowledge", "The Exodus", "The Promised Land", "Miracles", "A Child's Paradise", "Manna", "The Burning Bush"; non si tratta quindi solo di un influsso lessicale o a livello retorico, ma vengono coinvolte le stesse strutture di significato del testo, a partire dal titolo dell'opera, "The Promised Land". Esso va a costituire una metafora dal significato piu' articolato di quanto non sembri in apparenza: da un lato l'America e' vista come la terra promessa, il luogo della liberta', in cui si cerca la liberazione dalla prigionia e dalle persecuzioni: la Russia rappresenta quindi l'Egitto, e il viaggio per mare verso l'America e' un secondo esodo (infatti il capitolo in cui esso viene descritto si intitola proprio "Exodus"). Dall'altro pero' anche nella Bibbia la terra promessa non viene regalata, ma deve essere conquistata: gli israeliti si dovettero scontrare con i cananei e le altre popolazioni che in quella terra gia' risiedevano, percio' questa metafora si puo' estendere con efficacia alle tematiche dell'integrazione e dei rapporti fra immigrati ed americani "originari", e riassume molto bene le questioni che tanto stavano a cuore all'autrice.

Date le caratteristiche di questo testo, vale a dire stile semplice e lessico non ricercato, e soprattutto la sua natura particolare, di testo che si propone anche una mediazione fra due culture, la traduzione non ha presentato particolari difficolta', se non nella resa di quei termini relativi al mondo ebraico di cui esso e' cosi' ricco.

Per quanto riguarda i termini ebraici e russi, si e' preferito lasciarli come in originale, dato che la loro comprensione e' ampiamente facilitata dalle numerose spiegazioni inserite nel corso della narrazione. In alcuni casi, in cui questa spiegazione manca, sono state inserite alcune note a pie' di pagina. Tali note ricalcano le voci del glossario predisposto dall'autrice in appendice al romanzo. I termini russi piu' conosciuti sono stati posti nella loro versione italianizzata.

I termini inglesi riferiti a elementi della tradizione ebraica sono stati resi in alcuni casi con il loro equivalente italiano, come "sacred fringes" con "frange consacrate"; in mancanza di un termine italiano adatto e' stato utilizzato il termine ebraico corrispondente, rispettando la grafia adottata dall'autrice (nel glossario per ognuna di queste voci essa infatti segnalava anche il termine ebraico).

Ci sono pero' due casi particolari: "Passover" e' stato reso con "Pesech", evitando l'espressione italiana "Pasqua ebraica" che contiene un riferimento alla tradizione cristiana non presente nel termine inglese, il quale indica specificamente la festivita' ebraica degli Azzimi ed e' molto diverso dal termine per la Pasqua cristiana, cioe' "Easter"; "confirmation" e' stato reso con "Bar Mitzvah" in quanto non si riferisce alla cresima cristiana, ma alla cerimonia ebraica che sancisce la maturita' religiosa e l'ingresso nella comunita' dei credenti adulti. L'utilizzo del termine "confirmation" puo' essere spiegato con il fatto che agli inizi del secolo alcuni gruppi di ebrei americani (riformati e "liberal") avevano sostituito la cerimonia del Bar e Bat Mitzvah con una molto simile alla cresima cristiana, salvo ritornare al rituale tradizionale in tempi piu' recenti.

Sono state aggiunte alcune note di tipo geografico e storico, per meglio chiarire alcuni riferimenti presenti nel testo, ad esempio "questo accadeva al tempo di Nicola I", oppure la metafora "era un Tito, un Aman".

Le caratteristiche stilistiche del testo sono state pienamente rispettate, in particolare nelle pagine iniziali dell'opera, in cui sono state lasciate le ripetizioni come parte della strategia d'imitazione del linguaggio infantile; solo la punteggiatura non sempre razionale dell'originale e' stata resa piu' scorrevole in alcuni punti, ma con modifiche molto limitate.

I passi in cui sono presenti riferimenti biblici sono stati tradotti facendo riferimento alla "Nuovissima versione dai testi originali" delle Edizioni San Paolo.

Note:

  1. M. Antin, "The Promised Land", New York: Penguin, 1997, p.1. Nelle note seguenti e' abbreviato PL.(Torna)
  2. Ibid., p. 2, come anche le due citazioni che seguono.(Torna)
  3. F. Tagliacozzo, B. Migliau, Gli ebrei nella storia e nella societa' contemporanea, Firenze: La Nuova Italia 1993, p. 70.(Torna)
  4. J. Roth, L'ebreo errante, Milano: Adelphi, 1985, p. 104.(Torna)
  5. A. Hertzberg, Gli ebrei in America, Milano: Bompiani 1993, p.104.(Torna)
  6. Ibid., p.103.(Torna)
  7. Apparso nel 1912 in The New York Times Book Review, l'articolo e' stato ristampato in appendice a PL.(Torna)
  8. PL, pp. 296-297.(Torna)
  9. PL, p. 24.(Torna)
  10. PL, p. 16.(Torna)
  11. PL, p.26.(Torna)
  12. PL, p.30.(Torna)
  13. Gen. 26,4.(Torna)
  14. PL, p.33.(Torna)
  15. Pss. 90,2.(Torna)
  16. Si veda ad esempio Gen. 4, 18: "And unto Enoch was born Irad, and Irad begat Mehujael, and Mehujael begat Methusael, and Methusael begat Lamech."(Torna)
  17. PL, p.35.(Torna)

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