Mary Antin

La terra promessa

Capitolo I

Dentro il Pale

Quando ero bambina, il mondo era diviso in due parti, vale a dire Polotzk 18, il posto dove vivevo, e una terra sconosciuta chiamata Russia. Tutte le bambine che conoscevo vivevano a Polotzk, con i loro padri e madri e amici. La Russia era il posto dove i padri andavano per affari. Era cosi' lontano, e cosi' tante cose brutte vi accadevano, che le madri e le nonne e le zie adulte piangevano alla stazione dei treni, e si aspettavano che noi fossimo tristi e quieti per il resto della giornata, quando i padri partivano per la Russia.

Dopo un po' mi accorsi dell'esistenza di un'altra divisione, una regione intermedia fra Polotzk e la Russia. A quanto pare c'era un posto chiamato Vitebsk 19, e uno chiamato Vilna, poi Riga e altri ancora. Da quei posti arrivavano fotografie di zii e cugini mai visti, lettere, e a volte gli zii stessi. Questi zii erano come la gente di Polotzk, la gente russa, si capiva, era molto diversa. Come risposta alle nostre domande, gli zii in visita dicevano ogni sorta di sciocchezze, per far ridere tutti, e cosi' non capivamo mai perche' Vitebsk e Vilna, giacche' non erano Polotzk, non fossero tristi come la Russia. La mamma quasi non piangeva affatto quando gli zii andavano via.

Una volta, quando avevo circa otto anni, una delle mie cugine grandi ando' a Vitebsk. Tutti andarono a vederla partire, ma io no. Io andai con lei. Fui sistemata sul treno, col mio vestito migliore avvolto in un fagotto, rimasi sul treno per ore e ore, e giunsi a Vitebsk. Non fui in grado di dire, mentre avanzavamo sfrecciando, dove finisse Polotzk. C'erano moltissimi posti con strani nomi lungo la strada, ma fu chiaro quando arrivammo a Vitebsk.

La stazione dei treni era grande, molto piu' grande di quella di Polotzk. Vi giungevano piu' treni alla volta, invece di uno solo. C'era un immenso buffet, con frutta e dolciumi, e un posto dove si vendevano libri. Mia cugina non mi lasciava mai la mano, per via della folla. Poi viaggiammo a lungo su una carrozza a nolo, e io vidi le piu' belle vie e negozi e case, tutto molto piu' grande ed elegante che a Polotzk.

Restammo a Vitebsk parecchi giorni, e vidi molte cose meravigliose, ma cio' che mi sorprese davvero era qualcosa di affatto nuovo. Si trattava del fiume - il fiume Dvina. Dunque, la Dvina e' a Polotzk. Per tutta la vita avevo visto la Dvina. Allora, come poteva essere a Vitebsk? Mia cugina ed io eravamo arrivate in treno, ma tutti sapevano che un treno puo' andare dovunque, perfino in Russia. Divento' chiaro per me che la Dvina andava avanti e avanti, come un binario della ferrovia, mentre io avevo sempre creduto che finisse dove finiva Polotzk. Non avevo mai visto la fine di Polotzk; avevo intenzione di farlo quando fossi stata piu' grande. Ma come poteva ora esserci una fine per Polotzk? Polotzk era tutto cio' che stava sulle rive della Dvina, come sapevo da sempre, e ora saltava fuori che la Dvina non s'interrompeva affatto. Era davvero curioso che la Dvina rimanesse la stessa, mentre Polotzk si trasformava in Vitebsk!

Il mistero di questa trasformazione porto' a molte fruttuose riflessioni. Il confine fra Polotzk e il resto del mondo non era, come avevo immaginato, una barriera fisica, come lo steccato che divideva il nostro giardino dalla strada. Il mondo andava cosi' adesso: Polotzk, ancora Polotzk, ancora Polotzk, Vitebsk! E Vitebsk non era molto diversa, solo piu' grande e piu' vivace e affollata. E Vitebsk non era la fine. La Dvina e la ferrovia continuavano oltre Vitebsk, fino in Russia. Allora la Russia era ancora Polotzk? Nemmeno qui c'era uno steccato a dividerle? Come desideravo vedere la Russia! Ma in pochi ci andavano. Quando qualcuno andava in Russia era segno di guai: o non riusciva a guadagnarsi da vivere a casa, o era chiamato alle armi, o aveva una causa. No, nessuno andava in Russia per diporto. Perche' in Russia viveva lo zar, e moltissime persone crudeli, e in Russia c'erano le orribili prigioni da cui nessuno tornava indietro.

Polotzk e Vitebsk erano ora collegate dalla continuita' della terra, ma fra esse e la Russia s'interponeva ancora una barriera formidabile. Imparai, crescendo, che se a Polotzk non piaceva dover andar in Russia, altrettanto la Russia era contraria a permettere a Polotzk di venire. Persone di Polotzk a volte dovevano fare marcia indietro prima di aver portato a termine gli affari, e spesso venivano trattate crudelmente lungo la strada. A quanto pare c'erano posti in Russia - San Pietroburgo, Mosca, e Kiev - dove mio padre o mio zio o il mio vicino non dovevano andare affatto, indipendentemente dall'importanza delle cose che li richiamavano la'. La polizia li avrebbe catturati e rimandati a Polotzk, come biechi criminali, anche se non avevano mai fatto nulla di male.

Era abbastanza strano che i miei parenti venissero trattati cosi', ma almeno per rimandarli a Polotzk c'era il pretesto che risiedevano qui. Per quale ragione venivano cacciate persone da San Pietroburgo e da Mosca, persone che avevano casa in quelle citta', e nessun altro posto dove andare? Sempre tanta gente, uomini e donne e perfino bambini, venivano a Polotzk, dove non avevano amici, con storie di crudeli maltrattamenti in Russia; e anche se non erano parenti di nessuno, venivano accolti e aiutati, e messi in affari, come derelitti dopo un incendio.

Era davvero strano che lo zar e la polizia volessero la Russia tutta per loro. Era un grande paese, ci volevano molti giorni perche' una lettera raggiungesse il proprio padre in Russia. Perche' non ci poteva andare chiunque lo volesse?

Non so quando diventai grande abbastanza per capire. La verita' mi si mostrava una dozzina di volte al giorno, fin dal momento in cui cominciai a distinguere le parole dai rumori vuoti. Mia nonna me la diceva quando mi metteva a letto la sera. I miei genitori me la dicevano quando mi facevano regali nei giorni di festa. I miei compagni di giochi me la dicevano quando mi spingevano in un angolo dell'entrata finche' il poliziotto non fosse passato. Vanka, il bambino dai capelli bianchi, me la diceva quando correva fuori dalla lavanderia di sua madre allo scopo di gettarmi addosso del fango quando mi capitava di passare di li'. La sentivo durante le preghiere, e quando le donne litigavano al mercato; e a volte, svegliandomi la notte, sentivo i miei genitori sussurrarla nell'oscurita'. Non ci fu alcun periodo della mia vita in cui io non sentissi e vedessi e percepissi la verita' - la ragione per cui Polotzk era tagliata fuori dal resto della Russia. Era la prima lezione che una bambina di Polotzk doveva imparare. Ma per lungo tempo non capii. Poi arrivo' un momento in cui seppi che Polotzk, Vitebsk, Vilna e alcuni altri posti erano raggruppati insieme nel Pale 20, ed entro quest'area lo zar mi comandava di restare, con mio padre e mia madre e gli amici, e tutti gli altri come noi. Non dovevamo farci trovare fuori dal Pale, perche' eravamo ebrei.

Allora uno steccato intorno a Polotzk c'era, dopotutto. Il mondo era diviso in ebrei e gentili. Questa nozione arrivo' cosi' gradualmente che non riusci' a sconvolgermi. Stillo' nella mia consapevolezza goccia a goccia. Quando compresi pienamente di essere prigioniera, le catene erano diventate familiari per la mia carne.

La prima volta che Vanka mi getto' fango, corsi a casa e protestai con mia madre, la quale mi spazzolo' il vestito e disse, in tono molto rassegnato: "Come posso aiutarti, mia povera bambina? Vanka e' un gentile. I gentili fanno quello che gli pare con noi ebrei." La volta seguente in cui Vanka mi maltratto', non piansi, ma corsi a nascondermi, dicendomi "Vanka e' un gentile." La terza volta, quando Vanka mi sputo' addosso, mi asciugai la faccia e non pensai niente del tutto. Accettavo i maltrattamenti da parte dei gentili come si accetta il tempo. Il mondo era fatto in un certo modo, e io dovevo viverci dentro.

Non proprio tutti i gentili erano come Vanka. Accanto a noi viveva una famiglia di gentili che era molto amichevole. C'era una bambina della mia eta', che non mi insultava mai e mi dava fiori del giardino di suo padre. E c'erano i Parphen, dai quali mio nonno affittava il suo negozio. Ci trattavano come se non fossimo affatto ebrei. Alle nostre festivita' ci facevano visita a casa e ci portavano regali, scegliendo con attenzione cose che i bambini ebrei potessero accettare; e a loro piaceva farsi spiegare tutto, a proposito del vino e della frutta e delle candele, e cercavano persino di dire i saluti e le benedizioni appropriate in ebraico. Mio padre era solito dire che se tutti i russi fossero stati come i Parphen, non ci sarebbero stati problemi fra gentili ed ebrei, e Fedora Pavlovna, la padrona di casa, rispondeva che non era colpa della popolazione russa. Erano i preti, diceva, che insegnavano alla gente ad odiare gli ebrei. Certo lei poteva giudicare meglio, dato che era una cristiana molto pia. Non passava mai davanti ad una chiesa senza farsi il segno della croce.

I gentili si facevano sempre il segno della croce, quando entravano in chiesa e quando ne uscivano, quando incontravano un prete o passavano davanti ad un'immagine sacra per la strada. I sudici mendicanti sui gradini della chiesa non smettevano mai di segnarsi, e anche quando stavano all'angolo di una strada ebrea, e ricevevano elemosine da persone ebree, si segnavano e mormoravano preghiere cristiane. In ogni casa di gentili c'era cio' che chiamavano un'icona, che era un'immagine o un dipinto del dio cristiano, appesa in un angolo, con davanti una luce sempre accesa. Davanti all'icona i gentili dicevano le preghiere in ginocchio, segnandosi di continuo.

Io cercavo di non guardare nell'angolo dov'era l'icona, quando entravo in una casa di gentili. Avevo paura della croce. Tutti ne avevano a Polotzk - tutti gli ebrei, intendo. Perche' era la croce a creare i preti, e i preti a creare i nostri guai, come perfino alcuni cristiani ammettevano. I gentili dicevano che noi avevamo ucciso il loro dio, cosa assurda, dato che non avevano mai avuto un dio - nient'altro che immagini. Inoltre, cio' di cui ci accusavano era accaduto cosi' tanto tempo fa, gli stessi gentili dicevano che era stato tanto tempo fa. Erano morti da secoli tutti quelli che ci avevano avuto a che fare. Eppure essi erigevano croci ovunque, e le portavano al collo, allo scopo di ricordare a se' stessi queste falsita', e consideravano cosa pia l'odiarci e maltrattarci, insistendo a dire che avevamo ucciso il loro dio. Adorare la croce e tormentare un ebreo era la stessa cosa per loro. Ecco perche' temevamo la croce.

Un'altra cosa che i gentili dicevano di noi era che usavamo il sangue di bambini cristiani uccisi alla festa di Pesech 21. Naturalmente era una perfida menzogna. Mi dava la nausea pensare una cosa del genere. Sapevo tutto quello che si faceva per Pesech, da quando ero una bambina molto piccola. La casa veniva resa pulita e splendente e santa, persino negli angoli dove non guardava mai nessuno. I vasi e i piatti che venivano usati tutto l'anno venivano riposti in soffitta, e recipienti speciali si tiravano fuori per la settimana di Pesech. Ero solita aiutare a spacchettare i piatti nuovi, per trovare la mia tazza blu. Quando si montavano le tendine nuove e si scoprivano i pavimenti bianchi, e tutte le persone della casa indossavano abiti nuovi, e io sedevo alla festa col vestito nuovo, mi sentivo pulita dentro e fuori. E quando facevo le Quattro Domande 22 sul pane azzimo e le erbe amare e le altre cose, e la famiglia, leggendo dai libri, mi rispondeva, non sapevo forse tutto su Pesech, e sulle cose che stavano sul tavolo, e sul perche'? Erano malvagi i gentili a dire bugie su di noi. Il bambino piu' piccolo di casa sapeva come veniva celebrata Pesech.

La stagione di Pesech, quando celebravamo la liberazione dalla terra d'Egitto, e ci sentivamo felici e grati come se cio' fosse appena accaduto, era il momento che i nostri vicini gentili sceglievano per ricordarci che la Russia era un altro Egitto. Questo e' cio' che sentivo dire dalla gente, ed era vero. Non andava tanto male a Polotzk, all'interno del Pale, ma nelle citta' russe, e anche piu' nei distretti rurali, dove le famiglie ebree vivevano sparse, su permesso speciale della polizia, la quale cambiava spesso idea sul fatto di permetter loro di restare, i gentili facevano di Pesech un periodo di orrori per gli ebrei. Qualcuno tirava fuori quella menzogna sull'uccisione di bambini cristiani, e gli stupidi contadini impazzivano per questo, si riempivano di vodka, e partivano per ammazzare gli ebrei. Li attaccavano con coltelli e picche e falci e accette, li uccidevano o torturavano, e bruciavano le loro case. Tutto questo veniva chiamato pogrom. Ebrei scampati ai pogrom giungevano a Polotzk con ferite sul corpo, e orribili, orribili storie, di bambini piccoli squartati membro a membro sotto gli occhi delle madri. Solo il sentire queste cose ti faceva piangere disperatamente e soffocare dalla pena. Le persone che vedevano tali cose non sorridevano mai piu', non importava quanto a lungo vivessero, e talvolta gli si sbiancavano i capelli in un giorno, e alcuni impazzivano sul posto.

Sentivamo spesso dire che il pogrom era guidato da un prete che portava una croce in testa alla folla. I nostri nemici presentavano sempre la croce come pretesto per la loro crudelta' verso di noi. Non mi trovai mai in un vero pogrom, ma c'erano momenti in cui ci minacciava, persino a Polotzk, e in tutte le mie paurose fantasie, mentre mi nascondevo negli angoli bui, pensando alle cose orribili che i gentili avevano intenzione di farmi, vedevo la croce, la croce crudele.

Ricordo una volta quando pensai che fosse scoppiato un pogrom nella nostra via, e mi stupisco di non esser morta di paura. Era una qualche festa cristiana, e la polizia ci aveva raccomandato di restare in casa. I cancelli erano sprangati, le imposte sbarrate. Se un bambino piangeva, la balia minacciava di darlo al prete, che sarebbe passato presto. Impauriti eppure curiosi, guardavamo attraverso le fessure delle imposte. Vedemmo una processione di contadini e gente di citta', condotta da alcuni preti, che portava croci e bandiere ed immagini. Al posto d'onore veniva portato uno scrigno, contenente una reliquia del monastero nei dintorni di Polotzk. Una volta l'anno i gentili sfilavano in corteo con questa reliquia, e in quell'occasione le strade erano ritenute troppo sacre perche' gli ebrei circolassero, e noi vivevamo nel terrore fino alla fine della giornata, sapendo che il minimo disturbo poteva provocare una sommossa, e la sommossa portare a un pogrom.

Nel giorno in cui vidi la processione attraverso una fessura dell'imposta, c'erano soldati e polizia nella strada. Questo era normale, ma io non lo sapevo. Chiesi alla balia, che premeva il viso alla fessura sopra la mia testa, a che scopo ci fosse la polizia. Senza pensare mi rispose: "In caso di un pogrom". Si', c'erano le croci, i preti, la folla. Le campane della chiesa risuonavano al massimo dell'intensita'. Tutto era pronto. I gentili mi avrebbero fatta a pezzi, con asce, coltelli e corde. Mi avrebbero bruciata viva. La croce! la croce! Che cosa mi avrebbero fatto per cominciare?

C'era una cosa che i gentili potevano farmi di peggio che bruciarmi o squartarmi. Era cio' che veniva fatto a bambini ebrei senza protezione, caduti in mano a preti o suore. Potevano battezzarmi. Questo sarebbe stato peggio che la morte sotto tortura. Piuttosto annegare nella Dvina che permettere a una goccia d'acqua battesimale di toccare la mia fronte. Essere costretti a inginocchiarsi davanti alle odiose immagini, a baciare la croce, - avrei preferito correre fuori verso la folla che passava, e farmi strappare le budella. Bestemmiare l'unico Dio, prostrarmi davanti agli idoli, - meglio esser colpiti dalla peste, e divorati dagli insetti. Ero soltanto una bambina, e non molto audace: piccoli dolori mi facevano star male e piangere. Ma non c'era dolore che non avrei sopportato, no, nessuno, piuttosto che sottomettermi al battesimo.

Ogni bambino ebreo aveva questo sentimento. C'erano un sacco di storie di ragazzi ebrei rapiti dagli agenti dello zar 23 e allevati in famiglie gentili, finche' erano grandi abbastanza per entrare nell'esercito, dove prestavano servizio fino a quarant'anni d'eta', e per tutti quegli anni i preti cercavano, con lusinghe e torture quotidiane, di forzarli ad accettare il battesimo, ma invano. Questo accadeva al tempo di Nicola I 24, ma alcuni uomini che erano passati per questo servizio non erano piu' vecchi di mio nonno quand'ero bambina, e raccontavano le proprie esperienze con le loro stesse labbra, e si sapeva che erano vere, e ti si spezzava il cuore per il dolore e l'orgoglio.

Alcuni di questi soldati di Nicola, com'erano chiamati, venivano presi da bambini, a sette od otto anni - strappati dal grembo della madre. Venivano portati in villaggi distanti, dove i loro amici non li avrebbero mai potuti rintracciare, e consegnati a contadini sporchi e brutali, che li usavano come schiavi e li tenevano con i maiali. Non ne lasciavano mai due insieme, e davano loro nomi falsi, cosi' erano tagliati fuori del tutto dal loro mondo. E poi il bambino malinconico veniva affidato ai preti, e veniva fustigato, affamato e terrorizzato - un bambino piccolo e inerme che chiamava la mamma, ma ancora rifiutava di farsi battezzare. I preti gli promettevano buone cose da mangiare, e bei vestiti, e di esentarlo dal lavoro, ma il ragazzo voltava le spalle, e diceva le preghiere in segreto - le preghiere ebraiche.

Quando cresceva, torture piu' severe venivano inventate per lui, ma egli rifiutava ancora il battesimo. A questo punto aveva dimenticato il volto materno, e delle preghiere forse solo lo Shemah 25 gli era rimasto nella memoria, ma era un ebreo, e nulla lo avrebbe fatto cambiare. Dopo essere entrato nell'esercito, veniva allettato con promesse di promozioni ed onori. Rimaneva un soldato semplice, e sopportava la disciplina piu' crudele. Quando veniva congedato, a quarant'anni, era un uomo distrutto, senza casa, senza tracce della sua origine, e trascorreva il resto della sua vita vagando fra gli insediamenti ebraici, cercando la propria famiglia, nascondendo i segni delle torture sotto gli stracci, elemosinando da porta a porta. Se, sfinito dai crudeli tormenti, aveva permesso che lo battezzassero, per avere una tregua, la Chiesa non lo mollava piu', non importa quanto forte protestasse di essere ancora un ebreo. Se veniva colto a praticare riti ebraici, era soggetto alle piu' severe punizioni.

Mio padre sapeva di uno che era stato preso da bambino, il quale mai cedette ai preti sotto le torture piu' spaventose. Siccome era un ragazzino molto intelligente, i preti erano particolarmente desiderosi di convertirlo. Lo tentarono con promesse che facevano appello alla sua ambizione. Gli promisero di fare di lui un grand'uomo - un generale, un nobile. Il bambino voltava le spalle e diceva le preghiere. Poi lo torturarono e lo gettarono in una cella, e quando si addormento' sfinito, venne il prete e lo battezzo' . Quando si sveglio' gli dissero che era un cristiano, e gli portarono il crocefisso da baciare. Lui protesto', getto' via il crocefisso, ma essi lo misero di fronte al fatto ineluttabile che era un ebreo battezzato, ed apparteneva alla Chiesa, e il resto della sua vita lo trascorse fra la prigione e l'ospedale, sempre aggrappato alla sua fede, dicendo le preghiere a dispetto dei suoi aguzzini, e pagando per questo con la sua stessa carne.

C'erano uomini a Polotzk i cui volti ti facevano invecchiare in un minuto. Avevano servito sotto Nicola I, ed erano tornati non battezzati. La chiesa bianca nella piazza - come appariva ai loro occhi? Io lo sapevo. Maledicevo la chiesa nel mio cuore ogni volta che dovevo passarci davanti, e avevo paura - paura.

Nei giorni di mercato, quando i contadini venivano in chiesa, e le campane continuavano a suonare per ore, avevo il cuore pesante, e non trovavo pace. Perfino nella casa di mio padre non mi sentivo al sicuro. La campana della chiesa rimbombava sopra i tetti delle case, chiamando, chiamando, chiamando. Chiudevo gli occhi, e vedevo la gente andare verso la chiesa: donne contadine con vivaci grembiuli ricamati e perline di vetro, bambine scalze con fazzoletti colorati in testa, ragazzi con cappelli spinti troppo all'ingiu' sui loro capelli color lino, uomini rozzi con sandali di rafia intrecciata, e una corda intorno alla vita, - in folle che si muovevano lentamente su per gli scalini, si facevano piu' e piu' volte il segno della croce, finche' venivano inghiottiti dall'entrata nera, e solo gli accattoni venivano lasciati accoccolati sugli scalini. Bum bum! Cosa stanno facendo nell'oscurita', con le immagini di cera e gli orrendi crocefissi? Bum, bum, bum! Stanno suonando la campana per me. Sara' nella chiesa che mi tortureranno, quando rifiutero' di baciare la croce?

Non avrebbero dovuto raccontarmi quelle storie spaventose. Erano finite da tempo: noi vivevamo sotto il felice "Nuovo Regime". Alessandro III 26 non era amico degli ebrei, eppure non ordinava di togliere i bambini dal grembo delle madri, per farne dei soldati e dei cristiani. Ogni uomo doveva servire nell'esercito per quattro anni, ed era probabile che una recluta ebrea fosse trattata severamente, indipendentemente dalla sua condotta perfetta, ma questo era poco in confronto alle spaventose condizioni del vecchio regime.

La cosa fondamentale era la necessita' di infrangere le leggi ebraiche sulla vita quotidiana durante il servizio. Un soldato doveva spesso mangiare cibo trefah 27 e lavorare di sabato. Doveva radersi la barba e usare riverenza verso le cose cristiane. Non poteva prendere parte ai servizi quotidiani in sinagoga; le sue devozioni private erano disturbate dagli scherni e dagli insulti dei suoi rozzi commilitoni gentili. Poteva ricorrere ad ogni specie di trucco o finzione, era comunque costretto a violare la legge ebraica. Quando tornava a casa, alla fine del periodo di leva, non riusciva a liberarsi dal marchio di quei peccati ai quali era stato costretto. Per quattro anni aveva vissuto come un gentile.

La devozione di per se' bastava a far temere agli ebrei il servizio militare, ma c'erano altre cose che lo rendevano un fardello preoccupante. Gli uomini di ventun anni - l'eta' della coscrizione - erano in gran parte gia' sposati e con figli. Durante la loro assenza le famiglie soffrivano, le loro ditte erano spesso rovinate. Alla fine della leva erano mendicanti. Come dei mendicanti, pure, venivano mandati a casa dalla postazione militare. Se per caso avevano una buona uniforme al momento del congedo, veniva loro tolta e sostituita con una logora. Ricevevano un biglietto gratuito per il viaggio di ritorno, e poche copeche 28 al giorno per le spese. In questa maniera erano rispediti in fretta nel Pale, come prigionieri fuggiti. Lo zar non aveva piu' nulla a che fare con loro. Se entro un periodo limitato si fossero fatti trovare al di fuori del Pale, sarebbero stati arrestati e mandati a casa in catene.

C'erano alcune eccezioni alla regola del servizio obbligatorio. Il figlio unico di una famiglia era esentato, e altri casi. All'esame fisico che precedeva la coscrizione molti venivano respinti a causa di vari difetti. Questo diede agli uomini l'idea di autoinfliggersi delle ferite, in modo da produrre deformita' temporanee che li avrebbero fatti respingere all'esame. Si sottoponevano ad operazioni agli occhi, orecchi o agli arti, che causavano loro sofferenze orribili, nella speranza di sfuggire al servizio. Se l'operazione aveva successo, il paziente veniva respinto dagli ufficiali esaminatori, e in poco tempo stava bene ed era un uomo libero. Spesso, comunque, l'invalidita' che si voleva temporanea si dimostrava incurabile, cosi' che c'erano molti uomini a Polotzk ciechi da un occhio, o duri d'orecchio, o zoppi, come risultato di queste pratiche segrete, ma queste cose erano piu' facili da sopportare che il ricordo di quattro anni al servizio dello zar.

Figli di padri ricchi potevano evitare il servizio senza lasciar segni sulla loro persona. Era sempre possibile corrompere gli ufficiali di coscrizione. Era una pratica pericolosa - non sarebbero stati gli ufficiali a risentirne di piu' nel caso che la trattativa trapelasse - ma nessuna famiglia rispettabile avrebbe lasciato reclutare il figlio senza aver fatto ogni sforzo per salvarlo. Mio nonno quasi si rovino' per comprare ai suoi figli l'esenzione dal servizio, e mia madre racconta aneddoti che danno i brividi sulla vita di suo fratello minore, che visse nascosto per anni, sotto nomi falsi e vari travestimenti, finche' ebbe oltrepassato l'eta' soggetta al reclutamento.

Se fosse stato per vigliaccheria che gli ebrei rifuggivano dal servizio militare, non si sarebbero inflitti torture fisiche piu' gravi di quelle che li minacciavano nell'esercito, e che spesso li lasciavano storpi per tutta la vita. Se fosse stato per avarizia - la paura di perdere i profitti del loro lavoro per quattro anni - non si sarebbero svuotati le tasche e venduti la casa e sprofondati nei debiti per riuscire a corrompere con successo gli agenti dello zar. La recluta ebrea, certo, temeva le brutalita' e le ingiustizie da parte di ufficiali e commilitoni; temeva per la famiglia, che lasciava molto spesso affidata alla carita' dei parenti; ma la paura di una vita sacrilega era piu' forte di ogni altro timore. Lo so, poiche' ricordo mio cugino che fu arruolato. Tutto era stato tentato per salvarlo. Il denaro era stato speso con prodigalita' - mio zio non si fermo' davanti alla dote della figlia nubile, quando tutto il resto se n'era andato. Mio cugino si era anche sottoposto a un qualche trattamento segreto - una certa droga devastante somministrata per mesi prima dell'esame, ma gli effetti non erano stati abbastanza pronunciati, e lo passo' . Dapprincipio, per alcune settimane, la sua compagnia fu di stanza a Polotzk. Vidi mio cugino esercitarsi sulla piazza, portando un fucile, di sabato. Mi sentii sacrilega, come se avessi commesso il peccato di persona. Era facile capire come mai le madri di figli arruolati digiunassero e piangessero e pregassero e si affliggessero tanto da morirne.

C'era un uomo nella nostra citta' detto David il Sostituto, perche' aveva fatto il soldato al posto di un altro, essendo da parte propria esentato. Lo fece per una somma di denaro. Suppongo che la sua famiglia stesse morendo di fame, ed egli vedesse la possibilita' di provvedere a loro per alcuni anni. Ma era una cosa peccaminosa da fare, andare soldato ed essere obbligato a vivere da gentile, di propria volonta'. E David sapeva quanto fosse immorale, perche' era un uomo dall'animo devoto. Quando ritorno' dal servizio, era invecchiato e avvilito, piegato dal senso di colpa per i suoi peccati. Cosi' s'impose una penitenza, e cioe' di andare per le strade ogni sabato mattina, per chiamare la gente alla preghiera. Allora era un compito duro, perche' David lavorava aspramente tutta la settimana, esposto al tempo d'estate e d'inverno, e al mattino del sabato non c'era nessuno tanto stanco e dolorante e sofferente quanto David. Eppure si costringeva a lasciare il letto prima che spuntasse il giorno, e ad andare di strada in strada, per tutta Polotzk, chiamando la gente perche' si svegliasse e andasse a pregare. Molti sabati mattina mi svegliavo quando David chiamava, e stando a letto ascoltavo la sua voce mentre passava e si affievoliva, ed era cosi' triste da far male, come accade per una bella musica. Ero felice di sentire mia sorella distesa accanto a me, perche' era malinconica l'alba grigia, con solo David e me svegli, e Dio che aspettava le preghiere della gente.

I gentili di solito si meravigliavano che noi dessimo tanta importanza alle faccende religiose - al cibo, al sabato, ad insegnare l'ebraico ai bambini. Erano adirati con noi per la nostra ostinazione, come la chiamavano loro, e ci schernivano e mettevano in ridicolo le cose piu' sacre. C'erano gentili saggi che capivano. Erano persone istruite, come Fedora Pavlovna, che facevano amicizia con i loro vicini ebrei. Erano sempre pieni di rispetto, e ammiravano apertamente alcune delle nostre usanze. Ma i gentili erano in gran parte ignoranti, diffidenti, sprezzanti. Non credevano che ci fosse alcun bene nella nostra religione, e naturalmente non osavamo parlargliene, perche' potevamo essere accusati di proselitismo, e cio' avrebbe segnato la nostra fine.

Oh, se solo avessero potuto capire! Vanka mi sorprese per strada un giorno, e mi tiro' i capelli, e mi insulto', e tutto ad un tratto mi chiesi perche'? - perche'? - una cosa che avevo smesso di chiedermi anni prima. Ero cosi' in collera che lo avrei potuto punire, per un momento non ebbi piu' paura di restituirglielo, il colpo. Ma questo perche'? - perche'? mi scoppio' nel cuore, e dimenticai di vendicarmi. Era cosi' stupefacente - Be', non avevo in testa le parole per dirlo, ma significava che Vanka mi maltrattava soltanto perche' non capiva. Se avesse potuto sentire con il mio cuore, se avesse potuto essere un bambino ebreo per un giorno, pensavo, avrebbe saputo - avrebbe saputo. Se avesse potuto capire la storia di David il Sostituto, in quel momento, senza che gliela spiegassero, come io la capivo. Se si fosse potuto svegliare al mio posto il sabato mattina, e avesse potuto sentire il cuore spezzarglisi dentro con uno strano dolore, perche' un ebreo aveva disonorato la legge di Mose', e Dio si chinava a perdonarlo. Oh, perche' non potevo farlo capire a Vanka? Ero cosi' dispiaciuta che il cuore mi doleva, peggio che per i colpi di Vanka. La mia rabbia e il mio coraggio erano svaniti. Vanka ora mi stava tirando sassi dalla porta di sua madre, e io andai avanti per i fatti miei, ma senza fretta. La cosa che piu' mi faceva soffrire non la potevo sfuggire.

C'era una cosa che i gentili capivano sempre, ed era il denaro. Avrebbero accettato qualunque tipo di corruzione in qualsiasi momento. La pace costava un tanto all'anno a Polotzk. Se non restavi in buoni rapporti con i tuoi vicini gentili, loro avevano cento modi per molestarti. Se cacciavi i loro maiali quando venivano a sradicarti il giardino, od obiettavi sul fatto che i loro bambini maltrattassero i tuoi, loro potevano denunciarti alla polizia, infarcendo la loro causa di false accuse e falsi testimoni. Se non eri amico della polizia, la causa poteva andare in tribunale, e la' avevi perso prima che il processo avesse inizio, a meno che il giudice avesse motivo di esserti amico. Il modo piu' a buon mercato di vivere a Polotzk era pagare man mano che si andava avanti. Perfino una bambina lo capiva, a Polotzk.

Se i tuoi genitori erano commercianti, - di solito lo erano, dato che quasi tutti avevano bottega, - sentivi molte cose sul capo della polizia, sui dazieri e sugli altri agenti dello zar. Fra lo zar che non avevi mai visto, e il poliziotto che conoscevi anche troppo bene, ti immaginavi una lunga fila di funzionari d'ogni genere, tutti con la mano tesa per ricevere denaro da tuo padre. Sapevi che lui li odiava tutti, ma lo vedevi sorridere e inchinarsi mentre riempiva quelle palme avide. Tu facevi lo stesso, nella tua maniera meschina, quando vedevi Vanka venire verso di te in una strada solitaria: gli porgevi il torsolo della mela che stavi masticando, e forzavi le tue labbra riluttanti in un sorriso. Faceva male, quel sorriso falso; ti faceva sentire nero dentro.

Nel salotto di tuo padre era appeso un grande ritratto a colori di Alessandro III. Lo zar era un tiranno crudele, - oh, lo si sussurrava quando le porte erano chiuse a chiave e le imposte ben sbarrate, di notte - era un Tito 29un Aman 30 un nemico giurato di tutti gli ebrei, eppure il suo ritratto compariva al posto d'onore nella casa di tuo padre. Sapevi il perche'. Faceva bella figura quando i funzionari della polizia o del governo venivano per affari.

Uscivi a giocare una mattina, e vedevi un capannello di persone radunate intorno a un lampione. C'era sopra un avviso - una nuova ordinanza del capo della polizia. Entravi spingendoti in mezzo alla folla, e fissavi il manifesto, ma non sapevi leggere. Una donna con uno scialle lacero ti guardava dall'alto e diceva, con una specie di amaro sorriso: "Esulta, esulta, bambina! Il capo della polizia ti impone di esultare. Sventolera' una bella bandiera su ogni tetto oggi, perche' e' il compleanno dello zar, e dobbiamo festeggiare. Vieni a vedere i poveri impegnare samovar e candelieri, per ricavare il denaro per una bella bandiera. E' un giorno di festa, bambina. Esulta!"

Sai che la donna parla per dileggio - quel genere di sorriso ti e' familiare - ma accetti il suggerimento e vai a vedere la gente che compra le bandiere. Tuo cugino ha un negozio di mercerie, dove puoi avere un buon punto d'osservazione su cio' che accade. C'e' una folla intorno al bancone, e tuo cugino e l'assistente sono indaffarati a misurare pezze di tessuto rosso, blu e bianco.

"Quanto ce ne vuole?" chiede qualcuno. "Che io sappia del peccato quanto so di bandiere" un altro risponde. "Come si mettono insieme?" "Si devono avere tutti e tre i colori?" Un cliente appoggia poche copeche sul bancone, dicendo: "Mi dia un pezzo di bandiera. E' tutto il denaro che ho. Mi dia il rosso e il blu, mi strappero' la camicia per il bianco."

Sai che non e' uno scherzo. La bandiera si deve vedere su ogni casa, altrimenti il proprietario viene trascinato alla stazione di polizia, per pagare una multa di venticinque rubli. Cosa accadde alla vecchia che vive in quel tugurio cadente al di la' della strada? Era quell'altra volta in cui erano state ordinate le bandiere, perche' il granduca doveva venire in visita a Polotzk. La vecchia non aveva bandiere ne' soldi. Sperava che il poliziotto non notasse la sua misera capanna. Ma lui la noto', lui cosi' vigile, ando' la' e apri' la porta con un calcio del suo stivalone, prese l'ultimo cuscino dal letto, lo vendette e isso' una bandiera sopra il tetto fradicio. Conoscevo bene la vecchia, col suo unico occhio umido e le mani contorte. Le portavo spesso un piatto di minestra dalla nostra cucina. Non rimasero altro che stracci sul suo letto quando il poliziotto si fu preso il cuscino.

Lo zar otteneva sempre cio' che gli spettava, non importa se la famiglia andava in rovina. C'era un povero magnano che doveva allo zar trecento rubli, perche' suo fratello era fuggito dalla Russia prima di fare il servizio militare. Non c'era una multa cosi' per i gentili, solo per gli ebrei, e l'intera famiglia era soggetta al pagamento. Dunque, il magnano non avrebbe mai avuto cosi' tanti soldi, e non aveva oggetti di valore da impegnare. Venne la polizia e sequestro' gli oggetti di casa, tutto quello che aveva, incluso il corredo della sua giovane sposa, e la vendita dei beni frutto' trentacinque rubli. Un anno dopo la polizia torno' a cercare il saldo delle tasse dovute allo zar. Misero i sigilli su tutto cio' che trovarono. La moglie era a letto col suo primo bambino, un maschio. La circoncisione doveva aver luogo l'indomani. La polizia non lascio' neanche un drappo per avvolgere il bimbo quando lo si porge per l'operazione.

Molte massime amare ti giungevano all'orecchio se eri una bambina ebrea di Polotzk. "E' un mondo falso", sentivi dire, e sapevi che era vero, guardando il ritratto dello zar e le bandiere. "Non dire mai la verita' a un poliziotto", era un altro detto e sapevi che era un buon consiglio. Quella multa di trecento rubli era una sentenza di schiavitu' a vita per il povero magnano, a meno che non si liberasse con qualche trucco. Non appena riusciva a mettere insieme quattro stracci e carabattole, la polizia li scovava. Avrebbe potuto nascondersi sotto falso nome, se fosse riuscito ad andar via da Polotzk con un passaporto contraffatto, o avrebbe potuto corrompere i funzionari giusti per far emettere un certificato di morte fasullo del fratello scomparso. Solo con mezzi falsi avrebbe potuto assicurare la pace a se' e alla famiglia, finche' lo zar dava la caccia alle sue tasse.

Era sconcertante sentire quanti tipi di tasse ed imposte dovevamo allo zar. Pagavamo tasse sulle case, tasse sugli affitti delle case, tasse sul commercio, tasse sui profitti. Non sono sicura che non ci fossero tasse sulle perdite. La citta' riscuoteva tasse, la contea, il governo centrale; e il capo della polizia era sempre da noi. C'erano tasse per le opere pubbliche, ma i selciati in rovina continuavano a guastarsi anno dopo anno, e quando c'era da costruire un ponte venivano riscosse tasse speciali. A proposito, i ponti non erano sempre strade pubbliche. Un ponte ferroviario sulla Dvina, sebbene aperto ai militari, poteva essere usato dalla gente comune solo con un permesso individuale.

Mio zio mi spiego' tutto sui dazi del tabacco. Siccome il tabacco era una fonte di entrate per il governo, c'era una tassa pesante su di esso. Le sigarette erano tassate a ogni fase del processo di lavorazione. Il tabacco era tassato separatamente, cosi' pure la carta, il filtro, e sul prodotto finito veniva imposta una ulteriore tassa. Non c'erano tasse sul fumo. Allo zar doveva essere sfuggito.

Il commercio non rendeva per niente, dato che il prezzo delle merci era talmente gonfiato dalle tasse che la gente non poteva comprarle. L'unico modo di far rendere il commercio era imbrogliare - frodare al governo parte delle imposte. Ma truffare lo zar era pericoloso, con tante spie a salvaguardare i suoi interessi. Le persone che vendevano sigarette senza il sigillo del governo guadagnavano piu' capelli bianchi che banconote dai loro traffici. Il rischio costante, l'ansia, la paura di un'irruzione notturna della polizia, e le multe rovinose, in caso si fosse scoperti, lasciavano un margine molto limitato di profitto o di benessere al contrabbandiere. "Ma cosa ci possiamo fare?" diceva la gente, con la scrollata di spalle che esprime l'impotenza del Pale. "Cosa ci possiamo fare? Si deve pur tirare avanti."

Non era facile la vita, con la concorrenza cosi' aspra che il sovrappopolamento rendeva inevitabile. C'erano dieci volte i negozi che ci sarebbero dovuti essere, dieci volte tanti sarti, calzolai, barbieri, stagnini. Un gentile, se falliva a Polotzk, poteva andare da qualche altra parte dove ci fosse meno concorrenza. Un ebreo poteva fare il giro del Pale, e trovava semplicemente le stesse condizioni che a casa propria. Fuori del Pale poteva andare solo in certe localita' prestabilite, dietro pagamento di tasse proibitive, aumentate da un flusso costante di tangenti, e anche cosi' viveva alla merce' del capo della polizia locale.

Gli artigiani avevano il diritto di risiedere fuori del Pale, soddisfacendo certe condizioni. Cio' mi sembrava facile, quand'ero piccola, ma poi mi resi conto di come funzionava. C'era un cappellaio che si era debitamente qualificato, passando un esame e pagando le licenze per il commercio, per poter vivere in una certa citta'. Il capo della polizia all'improvviso si mise in testa di sollevare dubbi sull'autenticita' dei suoi documenti. Il cappellaio dovette viaggiare fino a San Pietroburgo, dove si era qualificato inizialmente, per ripetere l'esame. Spese i risparmi di anni in bustarelle, cercando di accelerare l'iter, ma fu trattenuto per dieci mesi da lungaggini burocratiche. Quando finalmente ritorno' nella sua citta', trovo' un nuovo capo della polizia, insediatosi durante la sua assenza, che scopri' un nuovo difetto nelle carte da lui appena ottenute, e lo espulse dalla citta'. Se fosse venuto a Polotzk, c'erano allora undici cappellai dove solo uno sarebbe riuscito a guadagnarsi da vivere.

I commercianti se la passavano come gli artigiani. Anche loro potevano comprarsi il diritto di residenza fuori del Pale, permanente o temporaneo, a condizioni che non davano loro nessuna vera sicurezza. Ero orgogliosa di avere uno zio mercante nella Prima Gilda 31, ma a mio zio cio' costava molto. Doveva pagare un tanto l'anno per il titolo, e una certa percentuale sui profitti della sua attivita'. Cio' gli dava il diritto di andare per affari fuori del Pale, due volte l'anno, per non piu' di sei mesi in tutto. Se si fosse fatto trovare fuori del Pale dopo lo scadere del permesso, avrebbe dovuto pagare una multa che poteva superare tutti i profitti realizzati nel viaggio. M'immaginavo lo zio nei suoi viaggi in Russia, affrettarsi, affrettarsi a finire gli affari entro quel periodo limitato, mentre un poliziotto gli marciava dietro, spuntando i giorni e contando le ore. Era un'assurda fantasia, ma alcune delle cose che si facevano in Russia erano strane davvero.

C'erano cose a Polotzk che ti facevano ridere con un occhio e piangere con l'altro, come un pagliaccio. Durante un'epidemia di colera, i funzionari cittadini, diventati improvvisamente energici, aprirono postazioni per la distribuzione di disinfettanti alla gente. Un quarto della popolazione era morto quando iniziarono, e gran parte dei morti erano stati sepolti, mentre alcuni restavano a putrefarsi nelle case abbandonate. I sopravvissuti, qualcuno impazzito per l'orrore, strisciavano per le strade vuote, scansandosi l'un l'altro, finche' arrivavano alle postazioni designate, dove spingevano e si accalcavano per ottenere la loro bottiglietta di acido fenico. Molti morirono di paura in quei giorni terribili, ma alcuni devono esser morti dalle risate. Perche' solo ai gentili era permesso ricevere il disinfettante. I poveri ebrei, i quali non avevano altro che le loro tombe appena fatte, venivano mandati via dalle postazioni.

Forse era sbagliato da parte nostra pensare ai nostri vicini gentili come a una specie diversa dalla nostra, ma una follia come questa non contribuiva certo a renderli piu' umani ai nostri occhi. Era piu' facile essere amici delle bestie nella stalla che di alcuni dei gentili. La mucca, l'oca e il gatto erano sensibili alla gentilezza, e ricordavano quale delle serve era generosa e quale sgarbata. I gentili non facevano distinzioni. Un ebreo era un ebreo, da odiare, da sputarci sopra e da trattare con disprezzo.

I soli gentili, a parte i pochi intelligenti, che non ci guardavano abitualmente con odio e disprezzo, erano gli stupidi contadini delle campagne, i quali erano a malapena umani loro stessi. Vivevano in sudice capanne insieme ai maiali, e tutto quel che interessava loro era il modo di trovare qualcosa da mangiare. Non era colpa loro. Le leggi sulla terra li impoverivano a tal punto che dovevano vendersi per riempirsi la pancia. Che aiuto ci poteva venire dalla buona volonta' di quegli schiavi miserabili? Per un barile di vodka ne potevi comprare un villaggio intero. Tremavano al cospetto del piu' umile cittadino, e ad un cenno del prete dai lunghi capelli avrebbero affilato le asce contro di noi.

I gentili avevano un pretesto per il loro rancore. Dicevano che i nostri mercanti e prestatori di denaro li depredavano, e che i nostri bottegai imbrogliavano sul peso. Chi vuol difendere gli ebrei non dovrebbe mai negare tutto cio' . Si', certo, truffavamo i gentili non appena ne avevamo il coraggio, perche' era l'unica cosa da fare. Ricordate che lo zar ci dava ordini di continuo - non dovete fare questo, non dovete fare quello, finche' rimaneva ben poco che potessimo fare onestamente, tranne pagare i tributi e morire. Ci aveva stipati per bene, eravamo in migliaia dove solo centinaia avrebbero potuto vivere, e ogni mezzo di sostentamento era tassato all'estremo. Quando ci sono troppi lupi nella prateria, essi cominciano a sbranarsi l'un l'altro. Noi, prigionieri affamati del Pale - facevamo come quei bruti famelici. Ma dimostravamo la nostra umanita' nella discriminazione che facevamo fra le nostre vittime. Appena era possibile risparmiavamo quelli della nostra razza, dirigendo contro quella nemica le ingannevoli astuzie inventate dal nostro amaro stato di bisogno. Non e' forse questo il codice di guerra? Accampati in mezzo al nemico, non potevamo comportarci in altro modo. Un ebreo difficilmente faceva affari se non sviluppava una doppia coscienza, che gli permettesse di fare a un gentile cio' che avrebbe definito un peccato se fatto a un suo simile ebreo. Tali deformita' spirituali si spiegano da sole nei figliastri dello zar. Un'occhiata agli statuti del Pale ti fa meravigliare del fatto che gli ebrei russi non abbiano perso ogni parvenza di umanita'.

Una delle lamentele preferite era che noi fossimo avidi d'oro. Perche' i gentili, che vedevano mezza verita', non riuscivano a vederla tutta? Avidi di profitti eravamo, bramosi di fare affari, di risparmiare, decisi a spremer fuori il massimo da ogni transazione commerciale. Ma perche'? I gentili non sapevano forse il perche'? Non sapevano a quale prezzo dovevamo pagare l'aria che respiravamo? Se un ebreo e un gentile avevano bottega fianco a fianco, il gentile poteva accontentarsi di profitti minori. Non aveva bisogno di comprare il permesso di viaggio per andare a curare i suoi affari. Non doveva pagare trecento rubli di multa se suo figlio non faceva il servizio militare. Gli era risparmiata la spesa di tacitare i sobillatori di pogrom. Il favore della polizia costava meno a lui che all'ebreo. La sua natura non lo obbligava a finanziare scuole e opere di carita'. Non costava nulla essere cristiani, al contrario, portava guadagni e immunita'. Essere ebrei era un lusso costoso, il cui prezzo era o denaro o sangue. C'e' da meravigliarsi che facessimo tesoro di ogni centesimo? Come lo scudo per il guerriero in battaglia, cosi' era il rublo per l'ebreo nel Pale.

Sapere le cose che sto raccontando lascia tracce nella carne e nello spirito. Ricordo bimbetti a Polotzk con visi da vecchi e occhi offuscati dai segreti. Ero capace di imbrogliare, essere servile e simulare prima di sapere i nomi delle stagioni. E avevo tempo in abbondanza per meditare su queste cose perche' ero tanto inattiva. Se solo mi avessero lasciata andare a scuola, allora... Ma naturalmente non mi lasciavano.

Non c'era istruzione gratuita per le bambine, e anche se i tuoi genitori fossero stati ricchi abbastanza da mandarti a una scuola privata, non saresti andato molto lontano. Alla scuola superiore, che era sotto il controllo governativo, i bambini ebrei erano ammessi in numero limitato - dieci ogni cento allievi - e anche ad essere fra i fortunati, c'erano dei problemi. Il precettore che ti preparava parlava continuamente degli esami che avresti dovuto affrontare, fino a spaventarti. Sentivi da ogni parte che i bambini ebrei piu' brillanti venivano respinti se ai funzionari esaminatori non piaceva la forma del loro naso. Andavi a farti esaminare con gli altri bambini ebrei, col cuore pesante per quella faccenda del naso. C'era un esame particolare per i candidati ebrei, naturalmente: un bambino ebreo di nove anni doveva rispondere a domande che un gentile tredicenne era a malapena tenuto a capire. Ma cio' non aveva molta importanza. Eri preparato per la prova da tredicenne, trovavi molto facili le domande. Scrivevi le risposte in modo trionfale, poi ricevevi un voto basso, e non c'era appello.

Ero solita starmene all'entrata del negozio di mio padre, masticando una mela che non sapeva piu' di niente, a guardare gli scolari che tornavano a casa da scuola a gruppi di due e di tre, le bambine con lindi abiti marroni, grembiuli neri e cappellini rigidi, i bambini in curate divise con tanti bottoni. Avevano sempre tanti libri nelle cartelle che portavano sulla schiena. Li avrebbero portati a casa, per leggere e scrivere, e imparare ogni sorta di cose interessanti. Mi sembravano esseri di un mondo diverso dal mio. Ma quelli che invidiavo avevano i loro problemi, come sentivo spesso dire. La loro vita scolastica era una continua lotta contro le ingiustizie degli insegnanti, il comportamento sprezzante dei compagni, gli insulti da parte di tutti. Quelli che, grazie a sforzi eroici e a una straordinaria fortuna, terminavano con successo il corso, si trovavano di nuovo davanti a un muro, se desideravano proseguire. Venivano esclusi dalle universita', che li ammettevano in proporzione di tre ebrei ogni cento gentili, alle stesse proibitive condizioni di entrata della scuola superiore - esami particolarmente rigorosi, votazioni disoneste, o decisioni arbitrarie senza alcun pretesto. No, lo zar non ci voleva nelle scuole.

Sentivo mia madre raccontare di una situazione diversa, al tempo in cui i suoi fratelli erano piccoli. Lo zar di allora ebbe un'idea brillante. Disse ai suoi ministri: "Istruiamo il popolo. Guadagniamo a noi gli ebrei per mezzo delle scuole pubbliche, invece di permetter loro di persistere nella ristretta istruzione ebraica, che non insegna loro ad amare il sovrano. La forza non ha avuto successo: i convertiti controvoglia ritornano alle vecchie abitudini ogniqualvolta ne hanno il coraggio. Proviamo con l'istruzione."

Forse la pacifica conversione degli ebrei non era il suo unico obiettivo quando egli apri' scuole pubbliche ovunque e obbligo' i genitori a mandare i figli maschi per l'istruzione. Forse voleva semplicemente essere buono, e sperava davvero di arrecare un beneficio al paese. Ma agli ebrei le scuole pubbliche sembravano una botola sull'abisso dell'apostasia. Gli insegnanti erano sempre cristiani, l'insegnamento cristiano, e le regole in aula riguardanti gli orari, il vestiario, il comportamento, erano spesso in contrasto con gli usi ebraici. La scuola pubblica interrompeva gli studi sacri del ragazzo alla scuola ebraica. Dove si sarebbero potuti trovare ebrei devoti, dopo poche generazioni di bambini tirati su da insegnanti cristiani? Lo zar stava chiaramente dando la caccia alle anime dei bambini ebrei. La porta della chiesa si spalancava per loro alla fine del corso scolastico. E ogni vero ebreo si sollevo' contro le scuole e con ogni mezzo, lecito o illecito, ne tenne i figli lontani. Il funzionario incaricato di tenere il registro dei bambini maschi per l'amministrazione scolastica si arricchi' con le tangenti pagate da genitori ansiosi che tenevano i figli nascosti.

Dopo un certo periodo il saggio zar cambio' idea, o mori' - probabilmente entrambe le cose - le scuole chiusero, e i bambini ebrei studiarono in pace i libri in ebraico, con le loro frange sacre 32 in piena vista, senza che una sola parola di russo contaminasse mai la loro bocca .

E poi furono gli ebrei a cambiare idea - alcuni di essi. Volevano mandare i figli a scuola, per imparare la storia e le scienze, perche' avevano scoperto che c'era del buono in queste cose, come nella Sacra Legge. Queste persone erano chiamate progressisti, ma non avevano nessuna possibilita' di progresso. Tutti gli zar che si succedettero persistevano nella vecchia idea, che per l'ebreo nessuna porta si doveva aprire - nessuna porta che conducesse fuori del Pale, fuori della loro condizione medievale.

Note:

  1. Cittadina della Bielorussia circa duecento chilometri a nord di Minsk(Torna)
  2. Citta' della Bielorussia ad un centinaio di chilometri da Polotzk; nel 1887 vi nacque il pittore Marc Chagall.(Torna)
  3. Area che si estendeva dalla Lituania sul Mar Baltico alla Bessarabia e alla Crimea sul Mar Nero, e dal confine russo-tedesco ad una linea a ovest di Smolensk e Kharkov, dove gli ebrei furono obbligati per legge a risiedere dal 1815 al 1917.(Torna)
  4. "La festa del Pane Azzimo, che commemora la fuga degli israeliti dall'Egitto." [Glossario](Torna)
  5. "Alla festa di Pesech, il figlio piu' piccolo (o in mancanza di un figlio in eta' adatta, una figlia) pone quattro domande sul significato di vari elementi simbolici usati nel cerimoniale, in risposta alle quali la famiglia legge la storia dell'Esodo." [Glossario](Torna)
  6. Essi, secondo un provvedimento emanato nel 1827 dallo zar Nicola I, avevano il compito di prelevare da ogni comunita' ebraica un numero assegnato di reclute, arruolate a soli dodici anni, i cosiddetti "cantonisti"i quali, dopo sei anni di servizio preparatorio, prestavano servizio per venticinque anni.(Torna)
  7. Nicola I Pavlovic (1796-1855) fu zar di tutte le Russie dal 1825.(Torna)
  8. "Versetti recitati come confessione di fede ebraica ("Ascolta, o Israele, il Signore nostro dio, il Signore e' uno"); cosi' chiamata dalla parola iniziale. Lo Shemah ricorre costantemente nel rituale quotidiano, e viene ripetuto in modo informale in ogni occasione di disagio, o come formula per allontanare influssi maligni." [Glossario](Torna)
  9. Alessandro III Alessandrovic (1845-1894) fu zar di tutte le Russie dal 1881.(Torna)
  10. "Impuro, secondo la legge rituale; contrario di kosher, puro. Riferito principalmente a cibi o recipienti di cucina." [Glossario](Torna)
  11. "Moneta di rame, la centesima parte di un rublo, del valore di circa mezzo cent." [Glossario](Torna)
  12. (39-81 d.C.) Primogenito dell'imperatore romano Vespasiano, partecipo' valorosamente come tribuno militare alla campagna contro i Giudei in Palestina, e nel 70 conquisto' e distrusse Gerusalemme e il Tempio. Divento' imperatore nel 79.(Torna)
  13. Primo ministro del re persiano Assuero (Serse), vissuto nel IV secolo a.C. Progetto' il massacro della popolazione ebraica, allora sottomessa ai persiani, ma il suo piano fu sventato dalla regina Ester, che era ebrea. La vicenda e' narrata nella Bibbia, nel libro di Ester, ed e' all'origine della festivita' di Purim.(Torna)
  14. La piu' prestigiosa e potente corporazione della citta'.(Torna)
  15. "Un drappo quadrato con frange speciali viene indossato dagli uomini devoti sotto i vestiti esterni, ma con le frange in vista. Queste ultime hanno un ruolo nel rituale quotidiano." [N. d. A.](Torna)

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