Mary AntinLa terra promessaCapitolo IIFigli della leggeQuando mi guardo indietro oggi io vedo, all'interno del muro costruito attorno al mio luogo natale dalla vigilanza della polizia, un altro muro, piu' alto, piu' spesso, piu' impenetrabile. Questo e' il muro che lo zar con tutti i suoi tirapiedi non sarebbe riuscito a scuotere, nel quale i preti con i loro strumenti di tortura non potevano far breccia, che la folla con i suoi tizzoni non poteva distruggere. Questo muro dentro il muro e' l'integrita' religiosa degli ebrei, una fortezza eretta dai prigionieri del Pale, in sprezzo dei loro carcerieri, una roccaforte costruita con le rovine delle loro case depredate, cementata con il sangue dei loro figli assassinati. Vessato da ogni lato, frustrato in ogni normale sforzo, rinchiuso in limiti ristretti, quasi disumanizzato, l'ebreo russo ricorreva all'unica cosa che non lo abbandonava mai - l'ereditaria fede in Dio. Nello studio della Torah33 trovava il balsamo per tutte le sue ferite; la minuziosa osservanza dei riti tradizionali diventava espressione delle sue brame spirituali, e nel sogno di un ritorno in Palestina dimenticava il mondo. Che importava a noi, di sabato o nei giorni di festa, mentre la nostra vita si svolgeva intorno alla sinagoga, quale zar sedesse sul trono, quali fossero i cattivi consiglieri che gli sussurravano all'orecchio? Si occupavano del fisco, della politica e d'effimere sciocchezze di ogni genere, mentre noi eravamo intenti a rinnovare il nostro antico patto con Dio, finche' la Sua promessa al mondo si sarebbe adempiuta, e la Sua giustizia avrebbe trionfato sulle nazioni. Di venerdi' pomeriggio botteghe e mercati chiudevano presto. Il clamore degli scambi cessava, la polvere dell'affanno si posava, e la pace del sabato inondava le strade quiete. Non c'era casupola per quanto misera dalle cui finestre non emanasse il raggio consacrato, cosi' che un viandante che passava nel crepuscolo vedesse lo spirito di Dio aleggiare sull'umile tetto. Ansia, paura e acredine cadevano come una maschera da ogni volto. Occhi offuscati dal pianto splendevano di intima gioia. Ovunque una testa si piegasse su una pagina sacra, la' si posava l'aura della presenza di Dio. Non solo nei giorni di festa, ma anche in quelli feriali, vivevamo secondo la legge che ci era stata data attraverso il nostro maestro Mose'. Come mangiare, come fare abluzioni, come lavorare - tutto era stato messo per iscritto per noi, e noi ci sforzavamo di adempiere la legge. Lo studio della Torah era la piu' onorata di tutte le occupazioni, e quelli che se ne occupavano gli uomini piu' riveriti. La mia memoria non riesce a risalire ad un tempo in cui fossi troppo piccola per sapere che Dio aveva fatto il mondo, e aveva designato dei maestri per insegnare al popolo come vivere in esso. Per primo venne Mose', dopo di lui i grandi rabbi, e infine il Rav 34 di Polotzk, che leggeva tutto il giorno nei suoi libri sacri, cosi' da poter dire a me, ai miei genitori e ai miei amici che cosa fare ogniqualvolta avessimo dei dubbi. Se mia madre trinciava un pollo e ci trovava qualcosa di sbagliato - qualche danno o segno che non avrebbe dovuto esserci - mandava la serva dal rav: io la seguivo di corsa, e vedevo il rav guardare nei suoi libroni, e qualsiasi cosa decidesse era giusta. Se diceva che il pollo era trefah non lo dovevo mangiare, no, a costo di morire di fame. E il rav era istruito su ogni cosa: sui viaggi, sugli affari, sui matrimoni, sulla purificazione dei recipienti per Pesech. Un altro grande maestro era il dayyan, che ascoltava le dispute della gente, e le risolveva secondo la Legge, in modo che non dovessero andare nei tribunali dei gentili. I gentili erano falsi, i giudici, i testimoni, tutti. Favorivano il ricco a scapito del povero, il cristiano a scapito dell'ebreo. Il dayyan dava sempre giudizi conformi al vero. Nohem Rabinovitch, l'uomo piu' ricco di Polotzk, non sarebbe riuscito a vincere una causa contro una serva, a meno che non fosse nel giusto. Oltre al rav e al dayyan c'erano altri uomini le cui occupazioni erano sacre, - lo shohat, che sapeva come uccidere il bestiame e il pollame, lo hazzan e gli altri officianti della sinagoga, gli insegnanti d'ebraico e i loro allievi. Per quanto un uomo fosse povero, doveva essere rispettato e collocato al di sopra degli altri, se era istruito nella Legge. Nella sinagoga decine di uomini sedevano tutto il giorno con i libri ebraici, studiando e dibattendo dalle prime luci dell'alba finche' si portavano le candele la sera, e poi finche' queste duravano. Non avevano tempo per nient'altro, se volevano diventare grandi studiosi. La maggior parte veniva da fuori Polotzk, e non avevano casa a parte la sinagoga. Dormivano su panche, tavoli, sul pavimento; racimolavano i pasti ovunque potevano. Erano giunti da citta' distanti, per studiare sotto buoni maestri a Polotzk, e gli abitanti della citta' erano orgogliosi di sostenerli donando loro cibo, abiti e qualche volta denaro, perche' potessero far visita alle loro case nei giorni di festa. Ma gli studenti poveri arrivavano in tal numero che non c'erano abbastanza famiglie ricche per provvedere a tutti, cosi' che alcuni soffrivano privazioni. Si poteva distinguere uno studente povero nella folla dal viso pallido e dall'aspetto smunto. C'era quasi sempre uno studente povero che prendeva i pasti a casa nostra. Gli veniva assegnato un certo giorno, e in quel giorno mia nonna si preoccupava di avere qualcosa di particolarmente buono per pranzo. Era un ospite davvero male in arnese quello che sedeva con noi a tavola, ma noi bambini lo guardavamo con occhi pieni di rispetto. La nonna ci aveva detto che era un lamden (studioso), e noi vedevamo qualche cosa di sacro nel modo in cui mangiava il cavolo. Non tutti gli uomini potevano sperare di diventare rav, ma non si permetteva a nessun bambino ebreo di crescere senza perlomeno una conoscenza rudimentale dell'ebraico. Anche con il reddito piu' esiguo, una parte era accantonata per provvedere all'istruzione del bambino. Lasciare un bambino senza maestro era una disgrazia per l'intera famiglia, fino al parente piu' lontano. Per i bambini dei bisognosi c'era una scuola gratuita, finanziata dalla carita' dei devoti. E cosi' ogni bambino veniva mandato allo heder (scuola ebraica) quasi appena in grado di parlare, e solitamente continuava a studiare fino al Bar Mitzvah 35, a tredici anni d'eta', oppure tanto quanto il suo talento e l'ambizione gli permettevano. Mio fratello aveva cinque anni quando comincio' gli studi. Fu portato allo heder, il primo giorno, tutto avvolto in uno scialle di preghiera, cosi' che niente di sacrilego potesse vederlo, e gli era stata regalata una ciambella, sulla quale erano tracciate con il miele queste parole: "La Torah lasciata da Mose' e' l'eredita' dei figli di Giacobbe." Dopo che un bambino era entrato allo heder diventava l'eroe della famiglia. Veniva servito prima degli altri bambini a tavola, e niente era troppo buono per lui. Se la famiglia era molto povera, le bambine andassero pure scalze, ma l'allievo dello heder doveva avere le scarpe; doveva avere un piatto di minestra calda, anche se gli altri mangiavano pane secco. Quando il rebbe36 (il maestro) veniva il sabato pomeriggio, per esaminare il bambino alla presenza della famiglia, tutti sedevano intorno al tavolo e annuivano con soddisfazione, se lui leggeva bene la parte assegnatagli, e riceveva un piattino pieno di marmellata, veniva elogiato, benedetto e tenuto in grande considerazione. Non meraviglia che dicesse nella preghiera mattutina "Ti ringrazio, o Signore, per non avermi creato femmina". Non era un granche' essere una bambina. Non si poteva diventare ne' studiosi ne' rabbonim. Andavo allo heder di mio fratello qualche volta, per portargli il pranzo, e vedevo come studiavano i bambini. Sedevano su panche intorno al tavolo, con il cappello in testa, naturalmente, e le frange sacre che pendevano da sotto la giacca. Il rebbe sedeva ad un capo della tavola, facendo provare due o tre bambini che studiavano la stessa parte, indicando le parole col suo puntatore di legno, in modo da non perdere il segno. Tutti leggevano ad alta voce, i bambini piu' piccoli ripetevano l'alfabeto come in una cantilena, mentre quelli piu' avanzati leggevano le loro parti in una cantilena diversa, e ognuno alzava la voce al massimo in modo da superare le altre. I bambini bravi non distoglievano mai lo sguardo dalla pagina, tranne che per fare domande al rebbe, ma quelli disobbedienti guardavano in giro per la stanza, e si davano calci l'un l'altro sotto il tavolo, finche' il rebbe li pescava. Aveva un regolo per colpire i bambini cattivi sulle nocche, e in un angolo c'era una lunga verga di betulla per gli scolari che non volevano imparare la lezione. I bambini arrivavano allo heder prima delle nove di mattina, e restavano fino alle otto o nove di sera. Allievi stupidi, che non riuscivano a ricordare la lezione, a volte dovevano restare fino alle dieci. C'era un'ora per il pranzo e i giochi a mezzogiorno. I bambini buoni giocavano quieti al loro posto, ma gran parte dei bambini correvano fuori dell'edificio, saltavano, urlavano e bisticciavano. Fra le cose che i bambini facevano allo heder non ce n'era nessuna che non avrei potuto fare anch'io - se non fossi stata una bambina. Per una bambina era sufficiente saper leggere le preghiere in ebraico, e seguirne il significato nella traduzione in yiddish 37 a fondo pagina. Non ci voleva molto per impararlo - un paio di trimestri con una rebbetzin (maestra) e dopo di questo non aveva piu' niente a che fare con i libri. La vera aula scolastica per una bambina era la cucina di sua madre. Li' imparava a cucinare, ad amministrare la casa, fare la maglia, cucire e ricamare; anche a filare e tessere, nelle campagne. E mentre aveva le mani occupate, la madre la istruiva sulle leggi che regolavano una famiglia ebrea devota e nella condotta appropriata per una moglie ebrea, perche', naturalmente, tutte le ragazze speravano di sposarsi. Una ragazza non nasceva per nessun altro scopo. Quanto presto arrivava, il pio fardello del matrimonio! Un giorno la ragazza gioca ai pegni ridendo con le amiche, il giorno dopo manca alla conta. E' stata convocata per un colloquio con lo shadchan (sensale di matrimoni), il quale nei mesi passati ne ha propagandato le capacita' di massaia, la devozione, il bell'aspetto e la dote nuziale, fra le famiglie con figli maschi in eta' di sposarsi. I genitori sono soddisfatti del genero proposto dallo shadchan, e ora, infine, la ragazza viene introdotta, per essere esaminata e valutata dai futuri suoceri. Se i negoziati vanno avanti bene, si scrive il contratto matrimoniale, la coppia di fidanzati si scambia regali attraverso i rispettivi genitori, e tutto cio' che resta alla ragazza della sua giovinezza e' un periodo di operosi preparativi per le nozze. Se la ragazza e' benestante, e' un intervallo felice, trascorso in visite a mercerie e sartorie, a radunare biancheria, piumoni, recipienti di rame e di ottone. Le vecchie compagne di giochi vengono a ispezionare il corredo, accarezzando con invidia le sete e i velluti della futura sposa. L'eroina felice si prova abiti e mantelli davanti allo specchio, arrossisce alle allusioni al giorno del matrimonio, e alla domanda "Ti piace lo sposo?" risponde: " E come potrei saperlo? C'era una tale folla al fidanzamento che non l'ho visto." Il matrimonio era una cosa sacra per noi ebrei del Pale. Allevare la prole significava servire Dio. Ogni uomo e donna ebrei aveva una parte nell'adempimento dell'antica promessa fatta a Giacobbe che il suo seme si sarebbe sparso in abbondanza sulla terra. Percio' la grande carriera era quella di genitore. Ma mentre gli uomini, oltre alla riproduzione, si potevano dedicare allo studio della Legge, l'unico compito della donna era fare la madre. Restare zitella diventava, di conseguenza, la piu' grande disgrazia che potesse minacciare una ragazza, e per guardarsi da questa calamita' la ragazza e la sua famiglia, fino ai parenti piu' lontani, si sforzavano con ogni mezzo, o contribuendo alla sua dote, o nascondendo i suoi difetti al sensale di matrimoni, o pregando e digiunando affinche' Dio le mandasse un marito. Non solo tutti i figli della famiglia dovevano sposarsi, ma dovevano farlo in ordine d'eta'. Una figlia minore non doveva per nessun motivo sposarsi prima della maggiore. Un'intera casata di figlie femmine poteva restare bloccata perche' la maggiore non riusciva a trovare favore agli occhi delle possibili suocere: nessuna delle altre si poteva sposare finche' la prima non era sistemata. Una mia cugina aveva commesso la slealta' di desiderare di sposarsi prima della sorella maggiore, che era cosi' sfortunata da venir respinta da una suocera dopo l'altra. Mio zio temeva che la figlia piu' giovane, che aveva un carattere fermo e autoritario, potesse mettere in pratica i suoi piani, causando cosi' la disgrazia dell'infelice sorella. Di conseguenza si affretto' a concludere un'alleanza con una famiglia ben al di sotto della sua, e la ragazza fu frettolosamente sposata a un giovane di cui si sapeva ben poco oltre al fatto che era incline alla consunzione. La tendenza alla tisi non era un grande orrore, in un'era in cui la superstizione era piu' in voga della scienza. Per un paziente che andava dal medico a Polotzk, ce n'erano dieci che chiamavano praticanti abusivi e santoni. Se mia madre aveva un mal di denti ostinato che onorati rimedi casalinghi non erano riusciti a far passare, andava da Dvoshe, la pia donna, che curava per mezzo di pietra focaia e acciarino, e di una preghiera segreta pronunciata mentre le scintille salivano. Durante un'epidemia di scarlattina, ci proteggevamo portando un pezzo di nastro di lana rosso attorno al collo. Pepe e sale legati in un angolo della tasca erano efficaci per proteggere dal malocchio. C'erano segni fausti, sogni fortunati, spiriti e spauracchi, un raduno di streghe, raccolto dai nostri antenati erranti dalle demonologie d'Asia e d'Europa. Antiquata come le nostre sciocchezze popolari era l'organizzazione della nostra piccola societa'. Era un sistema di caste con livelli sociali profondamente marcati, e famiglie unite da legami di clan. I ricchi disprezzavano i poveri, i mercanti disprezzavano gli artigiani, e fra i ranghi degli artigiani si distinguevano gradi piu' o meno elevati. La figlia di un calzolaio non poteva sperare di sposare il figlio di un bottegaio, a meno che non avesse una dote ricchissima, e doveva rassegnarsi ad essere umiliata dalle cognate e dalle cugine acquisite per tutta la vita. Soltanto una qualita' poteva elevare un uomo al di sopra del suo livello sociale, e cioe' l'erudizione. Un bambino di bassi natali non necessariamente doveva disperare di poter fare il suo ingresso nelle case dei ricchi, se aveva un buon cervello e un grande appetito per gli studi sacri. Uno studioso povero sarebbe stato preferito, sul mercato matrimoniale, ad un ricco ignorante. Come dicevano le nostre nonne, un ragazzo pieno di cultura valeva piu' di una ragazza piena di banconote. La semplice devozione, non sostenuta dal sapere, aveva pari valore agli occhi delle buone famiglie. Questo era vero in particolare fra gli Hasidim, la setta di fanatici che mettevano l'esaltazione religiosa al di sopra della sapienza rabbinica. Estasi nella preghiera ed eccentrica gaiezza nei giorni delle celebrazioni religiose, innalzavano un Hasid fino a farne un eroe per la sua gente. Il nonno di mio padre, che sapeva l'ebraico solo quanto bastava per insegnare ai principianti, era famoso in buona parte del Pale per la sua vita santa. Era chiamato Israel Kimanyer, dal villaggio di Kimanye dove viveva, e la gente era orgogliosa di stabilire anche la piu' remota parentela con lui. Israel era povero, quasi sull'orlo della mendicita', ma pregava piu' delle altre persone, non mancava mai la piu' piccola osservanza imposta agli ebrei, spartiva l'ultima crosta con ogni mendicante, e stava alzato la notte in comunione spirituale con Dio. Le sue parentele includevano venditori ambulanti di campagna, artigiani ridotti alla fame, e buoni a nulla, ma Israel era uno zaddik - un uomo pio - e la fama della sua vita redimeva l'intero disgraziato clan. Quando suo nipote, mio padre, arrivo' al matrimonio, vantando discendenza diretta da Israel Kimanyer, scelse la moglie fra le migliori famiglie. Forse e' ancora in piedi la casetta che gli ebrei devoti di Kimanye e dei villaggi vicini costruirono per il mio bisnonno quasi un secolo fa. Egli era troppo povero per costruirsela da solo, cosi' la buona gente che lo amava, e che era povera quasi quanto lui, raccolse pochi rubli e compro' un terreno, dove costrui' la casa. La costruirono, che si sappia, con le loro stesse mani, perche' erano troppo poveri per pagare degli operai. Portarono le travi e le assi sulle spalle, cantando e danzando lungo la strada, come danzavano e cantavano alla presentazione di un rotolo di pergamena in sinagoga. Trasportarono il legno, segarono e martellarono, finche' l'ultimo chiodo fu messo al suo posto, e quando condussero il sant'uomo alla sua nuova dimora, la festa fu piu' grande che all'incoronazione dello zar. Quella casupola meritava di essere conservata come monumento a un genere di idealismo che raramente e'statoconosciuto fuori del Pale. Qual era la sorgente prima del pio entusiasmo che eresse la casa del mio bisnonno? Qual era la sostanza dietro all'apparenza dell'ebraismo nel Pale? Spogliata della sua maschera grottesca di forme, riti e superstizioni medievali, la religione di questi fanatici era il semplice credo che Dio e', era e sara' sempre, e che loro, i figli di Giacobbe, erano i messaggeri scelti per portare la Sua Legge a tutte le nazioni. Sotto i colossali volumi dei Talmudisti 38 e dei commentatori, le tavole di Mose' restavano intatte. Fuori del labirinto della Cabala 39 la pura dottrina dell'ebraismo antico trovava la via che portava al cuore dei fedeli. Sette e scuole potevano sorgere e tramontare, assordando gli orecchi dei semplici con il clamore delle loro dispute, ma ancora l'ebreo, ritirandosi nella sua anima, sentiva la voce del Dio di Abramo. Profeti, messia, santoni potevano avere il proprio giorno di gloria, eppure l'ebreo era consapevole che fra lui stesso e Dio non c'era bisogno di intermediari, e che lui, come ognuno dei milioni di suoi fratelli, aveva la sua parte dell'opera di Dio da svolgere. E questa intima relazione con Dio era la fonte della forza che sosteneva l'ebreo durante tutte le prove della sua vita nel Pale. Consciamente o inconsciamente, l'ebreo identificava se' stesso con la causa della giustizia sulla terra, e da cio' proveniva l'eroismo con cui affrontava i battaglioni dei tiranni. Forme vuote non avrebbero potuto imprimersi sui bambini del Pale ancor prima che nascessero, cosi' in profondita' che erano pronti al martirio volontario quasi appena svezzati dal seno materno. La fiamma del roveto ardente che aveva abbagliato Mose' illuminava ancora la tetra prigione del Pale. Al di la' delle pantomime, dei cerimoniali, degli accessori simbolici, oggetto dell'adorazione dell'ebreo era il volto di Dio. Cio' e' stato comprovato molte volte da coloro che erano fuggiti dal Pale, e, eccitati dall'improvvisa liberta', pensavano di potersi liberare, con un unico slancio impaziente, di ogni traccia degli antichi legami. Ansiosi di assimilarsi nel mondo migliore in cui si trovavano, i prigionieri evasi decidevano per un cambiamento totale nella mente, nel cuore, nei costumi. Si rallegravano della loro trasformazione, pensando che ogni traccia della passata schiavitu' fosse cancellata. E poi, un giorno, preso nella morsa di una prova cruciale, l'ebreo fissava lo sguardo allarmato nel profondo dell'anima, e vi trovava l'immagine di Dio suo padre. Lieti suonavano i violinisti al matrimonio di mio padre, che era il nipote di Israel Kimanyer di santa memoria. Gli uomini piu' pii di Polotzk danzarono tutta la notte, i peath 40 oscillanti, le code delle lunghe giacche svolazzanti in una pia estasi. Mendicanti sciamavano fra gli invitati, sicuri di un facile raccolto dove tanti cuori si scioglievano per la compassione. Il buffone nuziale supero' se' stesso in efficaci allusioni agli amici e parenti che consegnarono i regali di nozze al suo allegro invito. La sposa sedicenne, che soffocava sotto il pesante velo, arrossiva non vista ai numerosi brindisi bevuti ai suoi futuri figli e figlie. L'intera citta' palpitava di gioia, perche' il pio rampollo di una stirpe divina aveva trovato una moglie pia, e un giovane ramo dell'albero di Giuda stava per portare frutto. Quando posavo sul seno di mia madre, lei mi cantava cantilene su temi elevati. Sentii i nomi di Rebecca, Rachele e Lia insieme con quelli di mio padre, mia madre e della balia. La mia anima bambina era incantata da cadenze tristi e nobili, mentre mia madre cantava della mia antica casa in Palestina, o lamentava la desolazione di Sion. Con il primo sonaglio che mi fu messo in mano fu pronunciata una benedizione su di me, una supplica affinche' un uomo pio mi prendesse in moglie e un messia fosse fra i miei figli. Ero nutrita di sogni, istruita per mezzo di profezie, educata a sentire e vedere cose mistiche che i sensi induriti non riuscivano a percepire. Mi veniva insegnato a chiamare me stessa principessa, in memoria dei miei antenati che avevano governato una nazione. Anche se andavo sotto le spoglie dell'esule, sentivo un'aureola aleggiarmi sulla fronte. Oppressa da nemici brutali, odiata ingiustamente, umiliata cento volte, pure io mi alzavo e tenevo alta la testa, sicura di trovare infine il mio regno, sebbene avessi smarrito la strada nell'esilio, poiche' Colui che aveva condotto i miei antenati in salvo attraverso mille pericoli guidava anche i miei piedi. Dio aveva bisogno di me e io di lui, poiche' insieme avevamo un compito da svolgere, secondo un antico patto fra Lui e i miei progenitori. Questo e' il sogno di cui ero l'erede, insieme a ogni bambino dagli occhi tristi del Pale. Questo e' il seme vivo che trovai nel mio retaggio, quando imparai a privarlo del guscio spinoso in cui mi era stato trasmesso. E quale e' il frutto di un tal seme, e dove portano tali sogni? Se mi e' dato di rispondere, siano le mie parole sincere e audaci. Note:
|