3.1. Il concetto di confessione religiosa: impostazione del problema.Finora abbiamo ampiamente parlato di culti e, soprattutto, di confessioni religiose, dando per pacifici e scontati, per motivi di semplificazione espositiva, il contenuto ed il significato di un'espressione, come quella di "confessione religiosa", che si rivela invece quanto mai difficile da circoscrivere nei suoi precisi confini semantici ed ambiti di identificazione. Se e' vero che questa situazione di incertezza e' anche il portato del fondamentale disinteresse, protrattosi per diversi decenni, per la tutela delle religioni di minoranza e, conseguentemente, della messa in disparte dell'art. 8 della Costituzione1, e' anche innegabile che quella che, fino a due decenni fa, poteva ancora sembrare una questione eminentemente teorico-speculativa, perche' priva di immediati riflessi "pratici", e' venuta a delinearsi, dopo la revisione del Concordato e l'apertura della "stagione delle intese", come una delle pietre angolari nell'odierno sistema del diritto ecclesiastico italiano. L'importanza e l'urgenza della questione, infatti, sono state evidenziate, recentemente, dall'emergere di due problematiche: la prima e' costituita dalla comparsa sulla scena di "nuovi movimenti religiosi"2, perlopiu' di origine orientale - anche a causa dell'importanza che hanno assunto nel nostro Paese i fenomeni migratori -, alcuni dei quali si discostano sensibilmente dai canoni di classificazione elaborati sulla base dell'esperienza delle religioni da noi tradizionalmente piu' diffuse e praticate3, cosicche' risulta difficile, talvolta, ricondurre questi movimenti nell'alveo delle confessioni (a parte la considerazione che, a monte del concetto di confessione, sta la stessa nozione di religione tout court, che e' divenuta a tutt'oggi oltremodo controversa); la seconda e' data dalla produzione, ormai "alluvionale", di misure di garanzia, di sostegno e di privilegio rivolte al fenomeno religioso - sia a livello statale che locale -, e dalla conseguente necessita' di stabilire quali siano i gruppi legittimati, in concreto, ad avvalersene4 (per evitare possibili abusi dati dal dilagare della "religiosita'" delle formazioni sociali finalizzata solamente a fruire delle norme di favore). Diventa subito evidente come la seconda questione sia legata da un nesso di subordinazione rispetto alla prima, non appena si rifletta sul fatto che il negare, a taluni nuovi movimenti, il carattere di confessioni religiose, non potra' far altro che risolversi nella negazione dell'applicazione, a tali gruppi, delle misure di sostegno e di privilegio di cui si diceva poc'anzi, con la conseguenza di una evidente obliterazione del principio di uguaglianza, ove, nella realta' dei fatti, al problema della sussunzione della fattispecie concreta "gruppo religioso" in quella astratta di "confessione religiosa" non sia stata data una risposta univoca in tutti i casi5. La dottrina italiana, negli anni, ha percorso diverse vie per giungere ad una definizione del concetto che paia soddisfacente - del resto, "nella totale mancanza di riferimenti legislativi, con notevole approssimazione e pregiudizio"6 -, ma, a tutt'oggi, una soluzione ottimale che trovi d'accordo tutti gli stuD-osi e' ancora ben lungi dall'essere formulata, cosicche' il problema, nonostante gli sforzi teorici sottesi a tale operazione, rimane sostanzialmente irrisolto7. Anche la giurisprudenza, sia di merito che di legittimita', sebbene con gli strumenti ad essa connaturali, ha cercato di dare il proprio contributo all'annosa questione, e solo ultimamente, come si vedra', il nostro Giudice della costituzionalita' e' parso giungere ad una sorta di convergenza - sebbene in un modo quasi inconscio e non del tutto univoco -, con le tesi formulate de iure condendo da una parte autorevole, sebbene ancora minoritaria, della dottrina, che sembra piu' di ogni altra aver inquadrato la situazione in una accettabile prospettiva. Nel corso della trattazione che seguira', cercheremo percio' di adombrare sinteticamente le principali alternative interpretative prospettateci dagli stuD-osi, che negli anni si sono sforzati, per cosi' dire, di rivestire di carne lo scheletro propostoci dal Costituente con l'oscura, e per certi versi anodina, locuzione di confessione religiosa. Tentando di delineare una summa divisio tra di esse, e valutandone i pregi e le controindicazioni, arriveremo poi a tirare le fila del discorso, dimostrando come la tesi che piu' di ogni altra ci pare - rebus sic stantibus - cogliere meglio l'essenza del fenomeno, trovi un aggancio proprio in una disposizione ricavabile dall'intesa con l'Unione delle comunita' ebraiche, che costituisce proprio l'oggetto della nostra trattazione. Tuttavia sara' utile, in via preliminare, allargare "furtivamente" lo sguardo, oltre i confini nazionali, sulla giurisprudenza e sulla dottrina straniere - senza peraltro alcuna pretesa di esaustivita' comparatistica al riguardo, ma unicamente a titolo esemplificativo -, per constatare come l'incertezza regni sovrana sia negli ordinamenti di Paesi piu' vicini al nostro, come la Francia e la Spagna, sia in quelli d'oltreoceano, nei sistemi separatisti di marca statunitense. Una dimostrazione, questa, della natura oggettiva della difficolta' di definire giuridicamente i concetti sia di confessione8, che di religione, e della necessita' - comune a tutti gli ordinamenti in quanto accolgano il principio del favor religionis9 -, di evitare che detto favor sia esteso a cio' che religioso non e', senza per questo venire a conculcare non solo il fondamentale principio di uguaglianza ma, ancor prima, quello della liberta' di coscienza, cio' postulando un delicato equilibrio tra valori, un equilibrio la cui effettivita', del resto, non sempre e' agevolmente verificabile e, se il caso, pacificamente correggibile. Anche se non e' questa la sede piu' adatta per una disamina della liberta' di coscienza, non possiamo esimerci dal rimandare al pensiero di quell'autorevole dottrina che, opportunamente, considera come la liberta' di coscienza dei consociati si erga oggi come una delle basi su cui poggiano gli odierni ordinamenti pluralisti, e che anche se "non e' stata formalmente e espressamente presa in considerazione da tutti i testi costituzionali", come e' il caso del nostro, tuttavia "non ne mancano il riconoscimento e la tutela"10, configurandosi la liberta' di coscienza come il "principio creativo che rende possibile la realta' delle liberta' fondamentali dell'uomo"11. Note:
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