3.4. Le confessioni religiose dal paradigma alla autoreferenziazione.

Un mutamento di prospettiva, senza dubbio suggestivo, viene oggi prospettato da chi ha preliminarmente constatato come "ogni definizione presuppone la capacita' di identificare l'essenza del fenomeno analizzato, cioe' uno o piu' caratteri che siano al tempo stesso sufficienti e necessari a qualificarlo ma, sotto questo profilo, tutti i tentativi compiuti dalla dottrina giuridica (e non solo giuridica: si pensi alla storia ed alla sociologia della religione) hanno largamente dimostrato l'impossibilita' di pervenire a questo risultato in relazione alla definizione di religione"1: si e' cosi' proposto di andare alla ricerca di un paradigma, anziche' di una definizione, della religione.

Cosi' facendo - almeno secondo la dottrina in parola -, non si sarebbe piu' costretti a ragionare negli angusti termini di appartenenza o di esclusione, bensi' in quelli, ben diversi, di vicinanza o lontananza dal paradigma, o modello, di religione (e di confessione), che sarebbe agevole ricavare dall'insieme complessivo delle norme dell'ordinamento giuridico italiano, isolando determinati "caratteri che debbono essere presenti in ogni gruppo che intende qualificarsi come confessione religiosa"2.

E tali caratteri sarebbero da ravvisarsi, principalmente, nella "credenza in una realta' trascendente (non necessariamente un D-o), capace di dare risposta alle domande fondamentali relative all'esistenza dell'uomo e delle cose, atta a fornire un codice morale ed a generare un coinvolgimento esistenziale dei fedeli che si manifesta (tra l'altro) nel culto e nella presenza di una sia pur minimale organizzazione"3.

Un simile procedimento avrebbe il pregio, oltretutto, di inquadrare meglio determinate realta', che sfuggirebbero altrimenti all'occhio classificatore - e indagatore - del giurista, poiche' "anziche' essere separate da una netta linea di frattura, passibile di essere individuata con sicurezza, le aree del religioso e del non religioso sono unite da un'ampia zona grigia in cui si collocano realta' [...] che, senza violare i princi'pi della logica giuridica, possono essere definite religiose o non religiose a seconda delle sfumature interpretative con cui si assume questo termine"4; tuttavia, come altri ha osservato, "l'operazione di "estrazione" di un normotipo da una fotografia dello scenario in cui si situa una pluralita' di soggetti diversi (che reclamano di restare diversi), non e' esente da qualche arbitrarieta' e potrebbe anche essere poco funzionale all'accettazione della eterodossia, fenomeno connaturato allo sviluppo delle religioni"5, soprattutto nell'ambito di un Paese, come il nostro, che fino a poco tempo fa era ancora tutto incentrato su di un concetto di religione essenzialmente tradizionalista.

Partendo da questa constatazione, e' venuta ad affermarsi, in dottrina, una tesi favorevole a cancellare ogni distinzione tra confessioni ed associazioni, dettata soprattutto dalla preoccupazione, tutta contingente, che, proprio sulla base di questa differenziazione dai confini cosi' labili ed incerti, possa derivare una qualche indebita discrezionalita' da parte degli organi dello Stato competenti in materia6: si e' cosi' affermato che "le espressioni formazioni sociali e associazioni usate dal costituente negli artt. 2 e 18 costituiscono un genus nell'ambito del quale tutti i gruppi sociali con finalita' e carattere religioso rappresentano delle specificazioni. Nella categoria delle formazioni sociali con finalita' religiosa, in particolare, e' difficile individuare una concreta distinzione tra "associazioni" e "confessioni" religiose, in quanto non ricorre una differenza riguardo alla struttura, ai caratteri ed alla natura delle due indicate formazioni sociali con finalita' di culto. [...]Sembra quindi doversi concludere che manca qualsiasi sicuro criterio che valga a far distinguere tra loro le confessioni religiose dalle associazioni religiose, e che queste due "associazioni tipiche" rientrano nella generale categoria delle formazioni sociali con finalita' religiosa"7.

Ma, come altri ha notato, questa opinione non puo' essere condivisa, soprattutto per l'inquadramento complessivo del fenomeno confessionale che da essa deriverebbe: infatti, "occorre tenere presente, al riguardo, che esiste una precisa distinzione, nell'articolo 8 della Costituzione, tra la garanzia della eguale liberta' che compete a tutte le confessioni religiose, e la previsione delle Intese, di cui al 3° comma, che regolano i rapporti tra Stato e alcune confessioni non cattoliche. La garanzia della eguale liberta', se non si vuole limitarla alla sfera del lecito, assume una precisa qualificazione in ordine a diritti e prerogative che competono alle confessioni in quanto organismi identificabili ed autosufficienti rispetto a qualsiasi altra aggregazione religiosa"8.

A nostro avviso, la gran parte della dottrina ha trascurato di considerare un aspetto del problema che, nella sua apparente banalita', non risulta analizzato nella misura che meriterebbe: infatti, per anni ci si e' affannati nella ricerca di elementi oggettivi che ci permettessero di poter contraddistinguere le confessioni religiose, tralasciando completamente l'aspetto soggettivo della questione.

Solo ultimamente ci risulta essere stata presa in seria considerazione, da parte di altra dottrina, l'ipotesi di lavoro secondo la quale "e' lo stesso gruppo sociale che deve, se lo ritiene, qualificarsi e definirsi come confessione"9, rendendosi percio' stesso autonomo ed autosufficiente non solo rispetto alle altre confessioni, ma anche, ed in primis, nei confronti delle associazioni10, mentre lo Stato non dovrebbe fare altro che prendere atto della sua esistenza11, o, al piu', limitarsi a verificare "l'autonomia strutturale e le finalita' generali dell'organizzazione confessionale"12.

Nel secondo capitolo abbiamo visto che, con la sentenza 203/1989, la Corte costituzionale ha avuto occasione di definire il contenuto della laicita' dello Stato come "non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia per la salvaguardia della liberta' di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale": e proprio grazie alla riconduzione del fenomeno confessionale nell'ambito del pluralismo che informa la nostra Carta costituzionale, le confessioni religiose vengono ad essere ricomprese nel piu' generale alveo delle formazioni sociali, con le quali fruiscono di alcune particolari garanzie desumibili dall'art. 1813.

Del resto, gia' con la sentenza 239/1984, tale onnicomprensivita' era stata affermata nell'ambito di una pronuncia concernente l'illegittimita' della norma sull'appartenenza obbligatoria degli ebrei alle comunita'14, desumendo la Corte, dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 della Costituzione, un principio di liberta' di adesione applicabile a tutte le formazioni sociali, "tra le quali si possono ritenere comprese anche le confessioni religiose".

Secondo alcuni autori, la Corte ha optato per una "nozione espansiva"15 di formazione sociale, capace di ricomprendere in se' aggregazioni sociali piu' o meno organizzate e strutturate, anche se dotate di un notevole carattere di atipicita' rispetto a quelle nominate apertis verbis nella Costituzione. Proprio da questa nozione ampia di formazione sociale, e in conseguenza della prassi sociale pluralistica dello Stato contemporaneo, discende la possibilita', per le confessioni religiose, di autoqualificarsi come tali, dal momento che "nel modello pluralistico si passa da una concezione ontologica delle formazioni sociali ad una concezione funzionale, per cui e' famiglia, sindacato, confessione, ecc. quella formazione sociale che - a prescindere dalle dimensioni, dal riconoscimento, dalla tradizione, ecc. -, si mostra in concreto funzionale allo svolgimento della persona umana sotto il profilo familiare, sindacale, religioso: funzionalita', che, contro ogni forma di giurisdizionalismo, si misura in base non a criteri estrinseci, per giunta privi di base normativa, ma all'elemento soggettivo della consapevolezza e della volonta' dei consociati di agire come formazione autonoma nel perseguimento di uno scopo religioso"16.

Indubbiamente, il metodo dell'autoqualificazione si presenta, prima facie, come il piu' rispettoso del dettato costituzionale - dato il carattere di norma aperta dell'art. 8 -, in quanto "nessun elemento aggiunge a quelli tradizionalmente accolti dalla dottrina privatistica"17, e, inoltre, come il piu' appropriato nel confronto con le nuove esperienze che si vanno diffondendo rapidamente nel campo religioso dell'Europa occidentale, le quali, sulla base di criteri oggettivi, finirebbero invece con l'essere espulse dall'ambito della religione, in conseguenza di una operazione di mero astrattismo giuridico18.

Allo stesso tempo, pero', esso si rivela anche come il piu' pericoloso, almeno in quegli ordinamenti - tra i quali spicca certamente il nostro -, che accolgono il principio del favor religionis19, generando il (fondato) timore che organizzazioni che nulla hanno a che vedere con la religione, come tali vengano ad autoqualificarsi solamente in vista della possibilita' di godere di tutta quella serie di agevolazioni normalmente accordate al fenomeno religioso20.

Insomma, nel delicato equilibrio tra valori confliggenti di cui si e' fatto cenno all'inizio della trattazione - e costituiti, da un lato, dal rispetto della liberta' di coscienza dei componenti del gruppo religioso, e, dal lato contrario, dalla necessita' di escludere dai benefici le entita' che si "improvvisino" confessioni, al solo scopo di godere delle agevolazioni alle quali non avrebbero invece alcun diritto -, in questo caso l'ago della bilancia, dopo un capovolgimento a favore del polo opposto della tensione dialettica, continuerebbe comunque ad indicare verso una direzione sbagliata, in un circolo vizioso da cui risulterebbe pressoche' impossibile uscire.

Da una parte, infatti, l'elaborazione di "indici" via via sempre piu' penetranti e precisi consentirebbe di evitare possibili abusi insiti in una autoqualificazione religiosa "di comodo", ma finirebbe anche con il venirsi a configurare come un tentativo di dettare i requisiti necessari21 delle confessioni e di fissarne in modo autoritativo la vera natura22, con palese violazione del postulato dell'incompetenza dello Stato in materia dottrinaria, in quanto esso non puo' stabilire d'autorita' quale sia una "vera" religione e quale non lo sia23. Abbiamo gia' visto ampiamente, del resto, l'insufficienza e la sterilita' intrinseche agli orientamenti tesi a dare una definizione del concetto di confessione (e di religione), tanto che proprio da questa constatazione parte della dottrina ha tratto spunto per elaborare l'approccio "paradigmatico" di cui si e' gia' detto24.

Possiamo ora aggiungere, a quanto rilevato in quella sede, che l'operazione consistente nel partire da una definizione di confessione assunta come "vera", per poi passare a controllare se il gruppo corrisponde, oppure no, a quella definizione, si risolve sostanzialmente in quella di accertare se i convincimenti interiori degli appartenenti al gruppo corrispondono a quelli che l'interprete accoglie (in quel momento) come gli unici realmente religiosi, comportando percio' un giudizio di valore sulla corrispondenza delle convinzioni di coscienza dei membri della comunita', alla scala assiologica del soggetto che viene a giudicare ab extra l'autenticita' di dette convinzioni, con una indubbia - e, soprattutto, inammissibile - intrusione nella sfera della coscienza della persona25: cio' che la dottrina piu' recente ha avuto modo di definire come metodo intravalutativo, che e' la naturale conseguenza dell'orientamento volto alla definizione26.

Il metodo dell'autoqualificazione consentirebbe, invece, di rispettare nel modo piu' assoluto la liberta' di coscienza, e di prescindere del tutto dall'orientamento definitorio, in quanto, nelle sue posizioni estreme, l'autoqualificazione della confessione si porrebbe come una presunzione assoluta, e non suscettibile percio' di prova contraria, con l'evidente difetto, pero', come piu' volte sottolineato, dell'esposizione dello Stato ad ogni sorta di abuso da parte dei gruppi27.

La migliore e piu' recente dottrina ha osservato che, in questo caso, tertium datur, e, nello sforzo teso a "conciliare le aspettative delle "parti" interessate"28, e' approdata alla configurazione del cosiddetto metodo extravalutativo, ossia di un metodo che - secondo la dottrina de qua - "consenta di verificare la "reale natura" del gruppo rispettando la liberta' di coscienza delle persone che vi aderiscono"29, grazie ad una procedura in due fasi che sincretisticamente contempli entrambi gli aspetti positivi delle due diverse posizioni or ora richiamate.

In questo quadro, l'indagine non parte dalla definizione di confessione, ma dalla autoqualificazione dello stesso gruppo (prima fase), autoqualificazione che, tuttavia, viene qui a configurarsi non piu' come una presunzione assoluta, ma come una presunzione meramente relativa (iuris tantum)30, suscettibile percio' stesso di prova contraria da parte del giudice (o, a seconda dei casi, della pubblica amministrazione), attraverso la verifica della rispondenza ad alcuni test "formulati avendo presenti i caratteri che di solito contraddistinguono le confessioni religiose"31 (seconda fase): a questo proposito, potranno bensi' venire in considerazione la presenza di riti e cerimonie, di una organizzazione istituzionale o di una originale visione del mondo come, in generale, tutti i criteri proposti nel corso degli anni da parte della dottrina, con la sostanziale differenza, tuttavia, che tali criteri avranno qui una funzione totalmente diversa, "passando da criteri di definizione a test di conferma dell'autoqualificazione"32, in quanto il metodo extravalutativo e' caratterizzato dalla "inversione dell'onere della prova"33, per cui spetta al soggetto competente la dimostrazione che il gruppo non e' una confessione34, in mancanza della quale rimarra' valida l'autoqualificazione35, e con il duplice vantaggio di fare salvi tanto la necessita', per lo Stato, di evitare quella e' stata immaginificamente definita come la "truffa delle etichette"36, che la tutela dei diritti della coscienza, impedendo la formazione di quel "tribunale delle coscienze"37, deputato ad indagare sulla reale consistenza delle motivazioni in una sfera, quella appartenente alla coscienza, appunto, che in quanto tale non tollera alcuna intrusione.

Venendo, ora, ad analizzare gli orientamenti giurisprudenziali sul punto, cercheremo di dimostrare come si possa conciliare quest'ultima impostazione dottrinale, che potremmo chiamare della "autoqualificazione relativa", con due recenti pronunce del nostro Giudice della costituzionalita'.

Ambigue e, per certi versi, non totalmente convincenti, sembrano essere state le considerazioni svolte, nel suo iter argomentativo, dalla Corte costituzionale quando, nel 199238 - chiamata a pronunciarsi sulla presunta incostituzionalita' delle norme tributarie che prevedono una serie di esenzioni fiscali per le associazioni, qualora queste esercitino attivita' religiose -, ha dovuto preliminarmente dare soluzione al quesito su cosa debba intendersi, almeno ai fini fiscali, con l'espressione di "associazione religiosa" (questione che solleva, a propria volta, quella della definizione di "confessione religiosa", a causa del rapporto organico che lega le confessioni religiose agli enti da queste promossi)39.

In quella sede, la Corte ha avuto modo di affermare il carattere oggettivo della nozione de qua, che, anche in assenza di determinazioni positive, sarebbe pur sempre possibile ricavare attraverso il rinvio a "criteri desumibili dall'insieme delle norme dell'ordinamento", non essendo ammissibile "che una associazione sia arbitra della propria tassabilita'", con una pronuncia che, se giunge esplicitamente a negare rilevanza agli "esiti irragionevoli di una incontrollabile autoqualificazione (meramente potestativa) delle associazioni" - e con cio' non discostandosi, sostanzialmente, dall'impostazione dottrinale di cui abbiamo teste' discusso -, con il rinvio alle norme dell'ordinamento viene d'altro canto a scontare una buona dose di apoditticita', apparendo piuttosto, dietro le righe, come "un espediente per non farsi carico dell'individuazione dei profili distintivi delle formazioni sociali a carattere fideistico denominate confessioni religiose"40.

Oltre a non avere specificato quali siano queste norme a cui fare riferimento, infatti, la Corte ha impostato la propria pronuncia sul piu' rigido formalismo giuridico di stampo positivista, non lasciando spazio nemmeno ai dati ricavabili dalla prassi applicativa, "come se la produzione del diritto in materia confessionale si concentrasse in un'unica istanza, quella legislativa, e all'interprete non fosse dato altro compito che una semplice esegesi della legge"41, in contrasto con quello che, sin dall'entrata in funzione della Corte costituzionale, e' sempre stato l'orientamento del Consesso, circa l'opportunita' di fare ricorso anche al cosiddetto "diritto vivente", ad integrazione delle norme scritte42, nonche' con le moderne acquisizioni sulla funzione anche creativa, e non meramente dichiarativa, che puo' trovare spazio nel procedimento di interpretazione delle norme da parte dei giudici.

E "che l'insieme delle norme (scritte) dell'ordinamento non sia sufficiente ad individuare (in generale, il diritto vivente e, in particolare), il concetto di confessione"43, e' stato dimostrato dalla successiva sentenza 195/1993, in cui la Corte costituzionale, chiamata questa volta ad affrontare la questione della avvenuta discriminazione dei testimoni di Geova da parte di una legge della Regione Abruzzo, non si e' piu' arrestata in apicibus, ma ha individuato quattro criteri concreti alla cui stregua individuare le confessioni religiose44.

In particolare, nel dichiarare affetta da vizio di incostituzionalita' - per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dal primo comma dell'art. 8 della Costituzione - la legge regionale che subordinava l'accesso ai contributi per l'edilizia di culto alle sole confessioni che avessero stipulato un'intesa con lo Stato, ai sensi del terzo comma dello stesso articolo, la Corte, dopo aver ancora una volta ribadito che, per l'ammissione ai suddetti finanziamenti, non e' sufficiente l'autoqualificazione di confessione che eventualmente si dia il gruppo stesso, continua dicendo che "nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato. In mancanza di questa, la natura di confessione potra' risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione".

Come si concilia il dictum di questa sentenza con quanto affermato in quella del 1992? Come e' agevole rilevare anche da un esame sommario dei quattro criteri proposti, solo uno - e precisamente quello costituito dall'intesa con lo Stato, in quanto approvata con un atto che e' legge sia sul piano formale che su quello sostanziale - potrebbe essere considerato come un'articolazione, o specificazione, del generico criterio del rinvio all'insieme delle norme dell'ordinamento, cosi' come autorevolmente enunciato meno di un anno prima con la sentenza 467/1992 (che tuttavia non viene neppure richiamata): si rivela pero' tautologico, e quindi inutile, proprio dove maggiore sarebbe l'esigenza di un sicuro criterio discretivo, e, cioe', nella selezione dell'accesso dei soggetti religiosi alla regolamentazione pattizia dei loro rapporti con lo Stato.

Se, infatti, "a norma dell'art. 8 Cost. lo Stato stipula le intese con le confessioni religiose, e' ovvio che se vi e' una intesa vi sara' anche una confessione religiosa che l'avra' stipulata, ma questo esercizio lapalissiano non risolve il problema, in quanto non e' certo l'intesa che puo' precedere il riconoscimento di un gruppo come confessione religiosa (e non e', quindi, l'intesa che conferisce al gruppo siffatta qualita'), ma e' il riconoscimento di detta qualita' che deve precedere l'intesa, essendo la condizione primaria per lo stesso avvio delle trattative"45.

Gli altri tre criteri rinviano, invece, non a norme dell'ordinamento, ma a norme statutarie autoprodotte - che non possono, in quanto tali, essere in contrasto con l'ordinamento giuridico, in forza del disposto del secondo comma dell'art. 8 -, alla comune considerazione - criterio eminentemente sociologico di cui si e' gia' vista supra la scarsa pregnanza46 -, ed al riconoscimento pubblico, nella maggior parte dei casi un atto amministrativo: se e' vero, infatti, che esso puo' essere contenuto anche nella stessa legge di approvazione dell'intesa, rimane pur sempre la possibilita' che esso venga concesso - secondo la previsione dell'art. 2 della legge 1159/1929 - con decreto del Presidente della Repubblica, e cioe', appunto, per mezzo di un atto amministrativo che, proprio in quanto tale, non puo' essere emanato contra legem47.

Come giustamente e' stato notato da parte della dottrina piu' autorevole, anche se dagli atti amministrativi di riconoscimento si possono ricavare criteri che non possono non essere applicati in via generale se non al prezzo di cadere nel vizio di eccesso di potere sotto il profilo della disparita' di trattamento, tuttavia essi non rientrano comunque nell'insieme delle norme che costituiscono l'ordinamento giuridico, dalle quali poi desumere i caratteri distintivi della confessione religiosa (secondo l'impostazione della sentenza del 1992): ne sono appunto semplicemente un'applicazione, e non possono essere emanati in contrasto con esse48.

Appunto la via amministrativa e' stata seguita per il riconoscimento della personalita' giuridica all'Unione buddhista italiana49, dopo che il Consiglio di Stato aveva avuto modo di esprimere parere favorevole anche sulla base della considerazione secondo la quale "la circostanza che un'istituzione non svolga riti o li svolga in minima parte, non vale a restringere il campo di operativita' dell'articolo 2 della citata legge 24 giugno 1929, n. 1159"50: secondo alcuni autori, tale riconoscimento avrebbe comportato una svolta nel modo di intendere le confessioni religiose, poiche', con l'affermazione del carattere confessionale di una formazione sociale "a-teista", si sarebbe per cosi' dire ampliato il "paradigma" di religione - e di confessione - rilevante per il nostro ordinamento giuridico51.

Ma, anche a voler accogliere una siffatta nozione "paradigmatica" - di cui si e' gia' sottolineata la scarsa pregnanza -, ed a prescindere dal fatto che il problema del riconoscimento della personalita' giuridica e' questione diversa dall'identificazione della confessione religiosa, bisogna riconoscere che, per quanto abbiamo appena detto, l'atto amministrativo non ha la forza di innovare l'ordine legislativo, per cui l'ampliamento del paradigma andrebbe comunque ricercato a monte, non nello stesso atto di riconoscimento, bensi' in una norma preesistente, che, benche' non consacrata in una disposizione testuale, sia "implicitamente ricavabile dall'insieme delle norme prodotte con le intese"52, della quale il decreto non costituisce altro che una semplice applicazione.

In questo senso, l'esame della legge di approvazione dell'intesa con l'Unione delle comunita' ebraiche italiane ci fornisce importanti elementi d'indagine: la stessa intesa, infatti, risulta stipulata con una formazione sociale che - come abbiamo ampiamente avuto modo di vedere53 -, "non e' riducibile seriamente al concetto di "confessione religiosa""54, presentandosi piuttosto l'ebraismo come un insieme piu' ampio, e complesso, "di cultura e di religione, di tradizioni e di norme di comportamento, di popolo e di storia"55, e costituendo il popolo ebraico in Italia una minoranza caratterizzata non solamente dall'aspetto religioso, ma anche da quello etnico-linguistico56, tanto che, per alcuni, la questione dei rapporti con la minoranza ebraica in Italia avrebbe potuto agevolmente essere risolta riconducendola interamente nell'ambito dell'art. 6 della Costituzione57.

Tuttavia, intenzionalmente l'Unione delle comunita' e' venuta ad accettare di autorappresentarsi come una "mera" confessione religiosa, proprio allo scopo di poter stipulare l'intesa con lo Stato58: evidentemente, cio' non sarebbe stato sufficiente a consentirne la stipulazione, se lo Stato l'avesse ritenuta inammissibile perche' non concernente i rapporti con una confessione religiosa; invece, l'intesa e' stata stipulata sul presupposto che l'ebraismo sia una confessione, presupposto provato unicamente alla stregua dell'autoqualificazione assunta dall'Unione delle comunita'59.

Secondo alcuni autori, proprio dalla legge 101/1989, di approvazione dell'intesa con l'Unione delle comunita' ebraiche, per quanto abbiamo appena visto, si ricava la norma di cui si diceva supra, e che ha trovato coerente applicazione nell'atto di riconoscimento dell'Unione buddhista con il D.P.R. del 1991: una norma che da' rilievo proprio all'autoqualificazione confessionale della formazione sociale, e che, inoltre - sempre secondo la dottrina de qua -, preclude la possibilita' di un sindacato di parte statuale (dal momento che, nel caso dell'intesa ebraica, tale sindacato si sarebbe risolto di certo negativamente, vista l'ordinaria rappresentazione non confessionale che l'ebraismo da', ed ha, di se')60.

Ecco che, allora, il criterio dell'autoqualificazione delle confessioni religiose - pur in ipotesi espressamente negato dalla sentenza 467/1992 (almeno nella sua formulazione piu' "estrema", di presunzione assoluta che non ammette prova contraria) -, emerge dall'esame appena fatto del contenuto e del significato che puo' essere attribuito all'elemento del rinvio, operato dalla stessa sentenza, alle norme dell'ordinamento giuridico.

Anche la successiva sentenza 195/1993, del resto, sembra soffrire di qualche difetto di coordinamento, dal momento che, se e' vero che pur essa esordisce ribadendo l'esclusione della sufficienza del riferimento alla autoqualificazione confessionale delle formazioni sociali, non si mantiene completamente fedele a questa linea, quando, nell'elencazione dei criteri posti a base dell'individuazione del fenomeno confessionale, giunge ad includere il richiamo allo statuto della - sedicente - confessione religiosa: cioe' ad un atto che, rimesso totalmente all'autonomia della formazione sociale, indicandone lo scopo, qualifica quest'ultima come confessione religiosa, sulla base di un procedimento di autoreferenziazione (come e' avvenuto, del resto, nel caso dello statuto dell'Unione delle comunita' ebraiche)61: volendo conservare alla sentenza in parola una certa coerenza interna, sara', allora, necessario partire dal presupposto che essa abbia voluto escludere del tutto solamente il criterio della "autoqualificazione estrema", lasciando, invece, impregiudicata la possibilita' di fare riferimento ad una "autoqualificazione relativa", alla cui stregua i criteri indicati dalla Corte si porrebbero come indici di conferma della natura confessionale dell'ente, in quel procedimento caratterizzato dall'inversione dell'onere della prova di cui si e' detto supra62.

La Corte di cassazione63, dal canto suo, ha avuto modo di applicare i criteri proposti dalla Consulta quando e' stata chiamata a giudicare dell'applicabilita' della qualifica di confessione religiosa alla Chiesa di Scientology, a conclusione di un travagliata vicenda giudiziaria che ha conosciuto fasi alterne nei diversi gradi del giudizio64: rilevando come la mancanza di una definizione legale di religione, e di confessione, siano chiari indici dell'intenzione del Costituente di costruire una nozione la piu' inclusiva possibile - in modo da non precludere ad alcuno, in via pregiudiziale, l'esercizio della liberta' di religione -, la Cassazione ha accolto una interpretazione piuttosto aperta e "flessibile" dei criteri qualificativi proposti dalla Consulta, ma tale da rendere possibile una individuazione dei soggetti confessionali, seppure "in via di prima approssimazione"65.

In particolare, la Suprema corte ha avuto modo di osservare come, per quanto riguarda il criterio dell'esistenza di "precedenti riconoscimenti pubblici", non sia possibile negare valore, in via pregiudiziale, alle dichiarazioni degli stessi appartenenti alla comunita' religiosa; per quanto concerne la "comune considerazione", invece, la Corte ha chiarito come l'espressione sia diversa - e sottenda altro concetto -, da quella di "opinione pubblica", mentre per il riferimento allo statuto che esprima chiaramente i caratteri del gruppo, la Cassazione ha ritenuto irrilevanti tanto il sincretismo delle dottrine, quanto la mancanza di originalita' e, comunque, di esclusivita' del credo religioso.

Sembra, allora, che "l'unica via per ascrivere un gruppo alla categoria delle "confessioni religiose" sia di fatto quella empirica, che probabilmente si presta meglio di ogni altra (soprattutto avuto riguardo alla particolare elasticita' assegnata dalla Cassazione ai criteri di qualificazione individuati dalla Consulta) a massimizzare la capacita' inclusiva del concetto di confessione religiosa elaborato dal Costituente", e che "in ultima analisi sara' comunque l'autoreferenzialita' a rimanere il criterio fondamentale (e l'imprescindibile punto di partenza di ogni processo valutativo) per il riconoscimento della qualita' di confessione ai gruppi religiosi"66.

Note:

  1. S. Ferrari, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., p. 30.Torna
  2. S. Ferrari, Stato e Chiesa in Italia, in Aa. Vv., Stato e Chiesa nell'Unione Europea, a cura di G. Robbers, Milano-Baden Baden, 1996, p. 189.Torna
  3. S. Ferrari, Stato e Chiesa in Italia, cit., p. 189. Cfr. anche Id., La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., pp. 34 s.Torna
  4. S. Ferrari, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., p. 30.Torna
  5. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 72.Torna
  6. Cfr. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 72.Torna
  7. Cosi' S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, cit., pp. 104 ss.Torna
  8. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 190. Aggiunge R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 73, che "la stessa attuazione della tutela presuppone un processo di individuazione delle confessioni non solo rispetto alle associazioni religiose, ma anche rispetto alle altre confessioni".Torna
  9. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 190. Cfr. anche Id., Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 187 ss. Come nota anche G. Long, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 67, "determinante per una confessione religiosa e' l'animus degli appartenenti: e' la loro volonta' di costituire una formazione religiosa unica a qualificarla come confessione". Conforme, R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 77.Torna
  10. La cui collocazione nell'ambito dell'ordinamento viene ad essere differenziata "non perche' spetti loro una liberta' minore rispetto a quella delle confessioni, bensi' perche' questa liberta' e' finalizzata ad un oggetto differente: riconoscimento giuridico come associazione; tutela della attivita' svolte; disciplina dell'eventuale patrimonio; e via di seguito": cosi' C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico , cit., pp. 190 s.Torna
  11. Cfr. N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., p.82.Torna
  12. C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 190.Torna
  13. Cfr. N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 77 s.Torna
  14. V. supra, § 2.4.Torna
  15. N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., p. 79.Torna
  16. N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 82 s.Torna
  17. Cosi' N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., p. 95. Cfr. anche P. Sassi, Quid est vera religio?, cit., p. 1217.Torna
  18. Cfr. ancora N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., p. 87.Torna
  19. V. supra, § 3.1.Torna
  20. Significativa ci pare la vicenda cosiddetta dei "ribelli di Harrisburg", cosi' come riportata da S. Ferrari, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., pp. 19 s., che "stanchi di pagare le tasse, decisero che il modo migliore di evitare questa fastiD-osa incombenza era quello di trasformarsi in una confessione religiosa. Si affiliarono quindi ad una Chiesa californiana ed ottennero di essere ordinati in blocco ministri di culto: dopo di che invocarono le esenzioni stabilite dalla legge degli Stati Uniti per questa categoria di cittadini. Sorprendentemente, le ottennero: infatti gli amministratori locali, che nel frattempo si erano convertiti anch'essi alla nuova fede, dichiararono di non essere in grado di definire la nozione di confessione religiosa e, nel dubbio, applicarono le disposizioni piu' favorevoli".Torna
  21. Requisiti che, d'altronde, non si sottraggono, secondo C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 188, ad "obiezioni giuridiche e logiche insieme".Torna
  22. Cfr. G. Di Cosimo, Sostegni pubblici alle confessioni religiose, tra liberta' di coscienza ed eguaglianza, in Giur. cost., 1993, pp. 2174 s.Torna
  23. Cfr. F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, cit., p. 69. Lo stesso principio di laicita', cosi' come affermato nella piu' volte citata sentenza costituzionale 203/1989, ci porta ad una simile conclusione: secondo N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, cit., pp. 76 s., il principio di laicita' si pone "al sommo della gerarchia delle fonti normative, sicche' esso non puo' essere derogato non solo da leggi ordinarie, ma neppure dalla norma contenuta nell'art. 8 della Costituzione formale, se interpretata nel senso che essa consentirebbe ai poteri dello Stato di entrare nel merito delle finalita' perseguite da una formazione sociale e di stabilirne il carattere religioso o di altro genere". A questo proposito, e' interessante l'esame del parere del Consiglio di Stato, Sez. I, 30 luglio 1986, n. 1390, in QDPE, 1986, pp. 503 ss., sulla questione del riconoscimento della personalita' giuridica alla Congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Cfr. anche G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 427, e Id., Privilegi per le confessioni religiose: chi certifica l'autenticita' dei motivi di coscienza?, in Giur. cost., 1992, p. 4235.Torna
  24. V. supra, § 3.3.Torna
  25. Cfr. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 429.Torna
  26. Cfr. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 429.Torna
  27. Cfr. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 430. Anche per C. Cardia, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 190 s., lo Stato non puo' limitarsi alla presa d'atto dell'autocertificazione allegata dal gruppo religioso. Conforme, R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 74.Torna
  28. Cosi', G. Di Cosimo, Sostegni pubblici alle confessioni religiose, cit., p. 2175.Torna
  29. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 431.Torna
  30. Cfr. G. Di Cosimo, Sostegni pubblici alle confessioni religiose, cit., p. 2175.Torna
  31. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 431.Torna
  32. Cosi' G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., pp. 431 s.Torna
  33. G. Di Cosimo, Privilegi per le confessioni religiose, cit., p. 4244. Anche per N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2992, non vi e' "nessun dubbio sulla possibilita' di controllo dell'autoqualificazione, ma essa e' eventuale e avviene in un secondo momento, quello processuale".Torna
  34. Cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2993.Torna
  35. Cfr. G. Di Cosimo, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 432. Cfr. anche Id., Privilegi per le confessioni religiose, cit., p. 4244.Torna
  36. Cosi', infatti, N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2991.Torna
  37. Cosi' R. Bertolino, L'obiezione di coscienza, in DE, 1983, I, p. 338, in riferimento alla legge sull'obiezione di coscienza al servizio militare del 1972, che prevedeva l'istituzione di apposita commissione con il compito di vagliare la fondatezza e la sincerita' dei motivi del soggetto richiedente.Torna
  38. Corte cost., sent. 19 novembre 1992, n. 467, in DE, 1992, II, pp. 305 ss.Torna
  39. Cfr. G. Di Cosimo, Privilegi per le confessioni religiose, cit., p. 4224.Torna
  40. G. Di Cosimo, Privilegi per le confessioni religiose, cit., p. 4225. Le stesse considerazioni possono essere avanzate a proposito degli altri due criteri proposti, in alternativa, nella stessa sentenza, e costituiti dalla "natura reale dell'ente" e dalla "attivita' in concreto esercitata".Torna
  41. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2993.Torna
  42. Si veda, ad esempio, la nota sentenza 23 giugno 1956, n. 3, in FI, 1956, I, cc. 1072 ss., nella quale la Corte afferma recisamente che non si puo' "non tenere il debito conto di una costante interpretazione giurisprudenziale, che conferisce al precetto legislativo il suo effettivo valore nella vita giuridica, se e' vero, come e' vero, che le norme sono non quali appaiono proposte in astratto, ma quali sono applicate nella quotidiana opera del giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci". Nello stesso senso, cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2993.Torna
  43. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2993.Torna
  44. Corte cost., sent. 27 aprile 1993, n. 195, in DE, 1993, II, pp. 189 ss.Torna
  45. R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 74.Torna
  46. Tale criterio, di risalente formulazione, come si e' visto supra, e' posto disgiuntamente rispetto agli altri tre, come risulta dalla congiunzione "o", ed e' quindi di applicazione residuale rispetto ad essi, essendo l'unico utilizzabile per quelle confessioni che, prive di intesa ed anche di pubblico riconoscimento, non siano neppure dotate di uno statuto: cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2995.Torna
  47. Cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2993.Torna
  48. Cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2994.Torna
  49. V. il D.P.R. 3 gennaio 1991, in G.U., 28 febbraio 1991, n. 50.Torna
  50. Cons. Stato, Sez. I, par. 29 novembre 1989, n. 2158, in QDPE, 1991 92/1, p. 531.Torna
  51. Cfr. S. Ferrari, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., p. 33.Torna
  52. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2994.Torna
  53. V. supra, § 1.1.Torna
  54. A. Villani, Lo statuto delle comunita' ebraiche nel quadro dell'intesa con lo Stato italiano, cit., p. 899. Cfr. anche N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2994.Torna
  55. G. Disegni, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 81.Torna
  56. Cfr., per tutti, R. Bertolino, Ebraismo italiano e l'intesa con lo Stato, cit., p. 556. V. anche R. Botta, L'attuazione dei princi'pi costituzionali e la condizione giuridica degli ebrei in Italia, cit., p. 155. Su questo punto, amplius, supra, § 1.1.Torna
  57. A questo proposito, cfr. A. Villani, Lo statuto delle comunita' ebraiche nel quadro dell'intesa con lo Stato italiano, cit., p. 906.Torna
  58. Cfr. G. Fubini, L'intesa, in RMI, 1986/1, p. 34. "L'ebraismo e' tante cose insieme [...]. Di questo erano bene coscienti i nostri interlocutori in tutto il periodo della trattativa per l'intesa; piu' volte hanno ritenuto di ricordarci che la Costituzione della Repubblica, seppur prevede la tutela con apposite norme delle minoranze linguistiche (art. 5), non prevede le intese ne' con le minoranze linguistiche ne' con le diverse componenti culturali, ma solo con le confessioni religiose (art. 7 e 8): se vogliamo l'intesa con lo Stato, dobbiamo presentarci come una confessione religiosa".Torna
  59. Cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2994. Cfr. anche Id., Confessioni religiose e intese, cit., p. 83.Torna
  60. Cfr., ancora, N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2994.Torna
  61. Cfr. P. Sassi, Quid est vera religio?, cit., pp. 1217 s. Nello stesso senso, cfr. N. Colaianni, Sul concetto di confessione religiosa, cit., c. 2995.Torna
  62. Per R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 74 s., "il ragionamento della Corte puo' essere condiviso laddove afferma che non puo' bastare che un gruppo si autoqualifichi come confessione religiosa, perche' tale qualita' sia ad esso senz'altro riconosciuta, ma occorre una indagine suppletiva per verificare se al riconoscimento di siffatta qualita' concorrano anche "precedenti riconoscimenti pubblici", o il gruppo abbia uno "statuto che ne esprima chiaramente i caratteri", o esista una "comune considerazione" del gruppo stesso quale confessione": noi possiamo concordare con questa opinione, a patto che detta "indagine suppletiva" parta dal presupposto della esistenza di una confessione, per trovare successiva conferma, o smentita, sulla base degli indici cosi' prospettati dalla Corte.Torna
  63. Cass., Sez. VI pen., sent. 22 ottobre 1997, n. 1329, in QDPE, 1997/3, pp.1017 s.Torna
  64. Si vedano, infatti, le sentenze di Trib. Torino, Sez. IV pen., 23 aprile 1996, in Corr. giur., 1997/10, pp. 1202 ss., e App. Milano, Sez. IV pen., 14 febbraio 1997, n. 4314, in QDPE, 1997/3, pp. 1019 ss.Torna
  65. Cass., sent. 1329/1997, cit., p. 1018.Torna
  66. Cosi', con singolare chiarezza, R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 77.Torna

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