2.1. La condizione giuridica dell'ebraismo italiano dalla seconda meta' dell'ottocento agli inizi del Novecento: dall'uguaglianza dei cittadini all'uguaglianza dei culti.Dalla nascita dello Stato unitario fino ad oggi, diversi sono stati i cambiamenti di rotta, anche radicali, in materia di relazioni ecclesiastiche e, come ben nota parte della dottrina1, nell'arco di meno di un secolo vi e' stata, in Italia, un'evoluzione che in altri ordinamenti ha coperto un arco temporale assai piu' vasto: il passaggio allo Stato liberale prima, a quello autoritario poi ed infine la svolta democratica-costituzionale, hanno implicato sistemi totalmente diversi ed antitetici di relazioni tra Stato e confessioni religiose, e la necessita', allo stesso tempo, di affrontare e di risolvere un problema peculiare alla situazione italiana, quale quello dei rapporti con la Chiesa cattolica2, sia in senso territoriale che sul piano piu' propriamente internazionale, di rapporti tra Stati. Lo Statuto albertino del 1848 proclamava ancora la religione cattolica come la sola religione di Stato, ma gia' allora, prima dell'unificazione nazionale, erano in nuce quelle tendenze che, in seguito, avrebbero condotto verso posizioni piu' aperte: ancora prima della promulgazione dello Statuto, infatti, Carlo Alberto aveva ammesso i valdesi a godere di tutti i diritti civili e politici; il 29 marzo 1848 veniva accordato ai cittadini di fede israelitica il godimento dei (soli) diritti civili, ma non avrebbe tardato ad arrivare anche la concessione di quelli politici, che avvenne infatti, in favore di tutti i cittadini appartenenti a confessioni di minoranza, con l'emanazione della legge Sineo del 19 giugno dello stesso anno, che garantiva la fruizione dei pieni diritti civili e politici a tutti i cittadini indistintamente, a prescindere dal culto professato, che non poteva assurgere a motivo di discriminazione nell'attribuzione delle cariche sia civili che militari. La disposizione in parola viene a segnare un netto distacco dall'impostazione precedente, che concedeva la "tolleranza" solo a culti ben precisi ed individuati, quasi a titolo di privilegio, ed accompagnandola sempre a penetranti controlli di parte statuale; con la legge Sineo, invece, la patente di "culto tollerato" veniva concessa a tutte le confessioni, con due importanti conseguenze: l'apertura a nuovi culti ed il fondamentale affrancamento dei diritti dei cittadini dalla loro appartenenza confessionale3. Dopo la legge del 19 giugno 1848, in sostanza, gli ebrei avevano, uti singuli, gli stessi diritti civili e politici riconosciuti agli altri cittadini, e la situazione giuridica dell'ebraismo italiano, almeno nel regno piemontese, era fondamentalmente analoga a quella che sarebbe prevalsa nel Paese circa cento anni dopo, con l'abrogazione delle inique leggi razziali4. Le leggi Siccardi del 1850 introducevano l'abolizione del privilegio del foro ecclesiastico e l'obbligo per tutte le persone giuridiche, a prescindere dal loro carattere ecclesiastico, dell'autorizzazione statale all'acquisto di immobili ed all'accettazione di eredita' e donazioni, mentre la legislazione eversiva dell'asse ecclesiastico tentava in qualche modo di riallineare la posizione della Chiesa cattolica, fino a quel momento religione dominante, a quella delle altre Chiese. Forse nella consapevolezza che l'ebraismo e' qualcosa di ben piu' complesso di una religione, investendo anche aspetti della vita civile, nel 1857 vedeva la luce la legge 4 luglio 1857, n. 2325, sull'ordinamento delle universita' israelitiche, cosiddetta legge Rattazzi, che si proponeva di uniformare la struttura interna e l'organizzazione amministrativa delle diverse comunita' - o universita' - israelitiche presenti nel territorio dello Stato sabaudo, venendo ad imporre un sistema di contribuzione e iscrizione obbligatoria all'universita' di tutti gli ebrei residenti nella circoscrizione territoriale della stessa. In base alla legge, tutte le universita' avevano potere d'imporre tributi, venivano amministrate da consigli eletti dai contribuenti, ed erano sottoposte alla tutela amministrativa dello Stato: erano, insomma, considerate come collettivita' pubbliche simili ai Comuni5. La legge Rattazzi fu un provvedimento unilaterale soltanto nella forma, dal momento che gia' nel 1848 il Governo sabaudo aveva incaricato la comunita' israelitica di Torino di predisporre un progetto di regolamento per gli ebrei dello Stato6, cosicche' essa e' stata considerata, da alcuni autorevoli esponenti di parte ebraica, come una vera e propria "intesa ante litteram tra governo sabaudo e comunita' ebraica"7. Ma la gestazione della legge Rattazzi fu lunga e non priva di ostacoli, soprattutto a causa della diversita' di orientamenti riscontrabili all'interno delle comunita' israelitiche dello Stato piemontese: il primo progetto - redatto dal rabbino Cantoni - si proponeva di realizzare, in sostanza, l'unione di tutte le comunita' ebraiche del regno di Sardegna, allo scopo di tutelare la conservazione del culto e di promuovere l'istruzione dei giovani, con l'istituzione di una direzione centrale residente a Torino; per provvedere alle spese, poi, era previsto un sistema di contribuzione obbligatoria proporzionale al reddito, a cui avrebbe dovuto sottostare ciascun appartenente alla comunita'. Le comunita' contrarie sia alla centralizzazione amministrativa, che al sistema di contribuzione obbligatoria previsti dal progetto economico-amministrativo del rabbino Cantoni, presentarono delle proposte alternative, finche', per superare l'impasse, in un convegno del gennaio 1856 furono aboliti i riferimenti alla centralizzazione amministrativa (in particolare, il riferimento alla direzione centrale residente a Torino), mantenendo peraltro l'obbligatorieta' del sistema tributario, insieme al principio dell'appartenenza obbligatoria8. Alle opposizioni ulteriormente avanzate, in Senato, dagli ebrei della comunita' di Nizza Marittima - secondo i quali tale progetto comportava la violazione del principio della liberta' di coscienza, non meno che del principio di uguaglianza fra i cittadini -, il Ministro degli Interni Rattazzi ebbe modo di replicare che una assoluta liberta' "condurrebbe al sistema di sancire legalmente la facolta' di non appartenere ad alcuna religione. Ora io non reputo che possa essere conveniente nell'interesse stesso della societa' l'ammettere siffatto principio" 9. Se dalle parole del Ministro Rattazzi emerge come fosse nell'intento del legislatore "stabilire il diritto?dovere dei cittadini ebrei di appartenenza alla Comunita'"10, lo stesso principio di appartenenza obbligatoria non manco', tuttavia, di suscitare dubbi e contrasti all'interno della Commissione nominata dalla Camera per l'esame del progetto di legge; cio' nondimeno, come si e' visto, la legge fu approvata, e, dopo le annessioni del 1859 e del 1860, fu estesa anche all'Emilia - salvo Bologna - e alle Marche, anche se non fu mai estesa a tutta la Penisola11. Con l'approssimarsi dell'unificazione del Paese, intanto, prendeva forma definita la reazione di rigetto al vetero-confessionismo dell'ancien re'gime, ed agli atteggiamenti collaborazionisti con la Chiesa cattolica assunti dai vari Stati preunitari: quasi a controbilanciare la forte connotazione confessionista del passato, si faceva strada l'idea di uno Stato laico ed agnostico in materia religiosa, e si concretizzava la svolta separatista in materia di rapporti tra Stato e confessioni religiose, nel convincimento che la laicizzazione delle istituzioni fosse una tappa imprescindibile nella tensione ideale volta al raggiungimento dell'obiettivo di fondo caratterizzante l'indirizzo politico dell'Ottocento, l'uguaglianza dei cittadini12. In questa direzione, la legge Casati del 1859 realizzava l'emancipazione delle strutture scolastiche dalla dipendenza dall'autorita' ecclesiastica, e con il nuovo codice civile del 1865, il matrimonio contratto in forma civile diveniva l'unica forma di matrimonio produttivo di effetti civili nell'ambito dell'ordinamento dello Stato. Nel 1871, finalmente il principio di uguaglianza dei cittadini a prescindere dalle convinzioni religiose si sviluppava pienamente nel riconoscimento esplicito della liberta' di coscienza e di culto, in una parola, del diritto di liberta' religiosa: e' di quell'anno, infatti, l'affermazione, alla Camera, che l'abolizione di "ogni ingerenza governativa nell'esercizio del culto e della liberta' religiosa sara' mantenuta ed applicata a profitto di tutti i culti professati nello Stato". Sul presupposto che la religione fosse una questione personale e che, in quanto tale, riguardasse esclusivamente la coscienza del singolo uti fidelis, lo Stato liberale si disinteressava completamente del fenomeno religioso, in linea del resto con l'impostazione separatista, e si affermava una concezione della liberta' religiosa come diritto a contenuto meramente negativo, di liberta' dallo Stato13. e' interessante notare, a questo proposito, come il codice penale Zanardelli del 1889 - con il quale, si noti, veniva raggiunta comunque una piu' ampia tutela penale di tutti i culti, attraverso la parificazione delle confessioni diverse dalla cattolica a quest'ultima quanto a fattispecie criminose e relative sanzioni, e con la scomparsa del termine di "culti tollerati", sostituito da quello di "culti ammessi", suscettibile di riferirsi anche alla Chiesa cattolica -, impostato sulla classificazione delle fattispecie criminose sulla base dell'interesse leso, non prevedesse alcun delitto contro la religione in se', ma piuttosto contemplasse la tutela penale del sentimento religioso nel titolo relativo ai delitti contro la liberta'14 (capo II del titolo II, artt. 140 - 144), mirando quindi a proteggere il singolo credente da ogni possibile attentato alla liberta' individuale di professare il culto piu' idoneo alle proprie esigenze spirituali 15, tutelandone la liberta' di coscienza. L'avallare questa concezione per cosi' dire individualistica del diritto in parola, a scapito del profilo collettivo dello stesso, finiva pero' con il riverberarsi sulle stesse confessioni religiose, traducendosi in una grave restrizione alle loro attivita'16, soprattutto per quelle confessioni, come quella israelitica, in cui il momento collettivo?partecipativo riveste grande rilevanza ai fini dell'esercizio del culto stesso17. La legge delle guarentigie del 1871, nel tentativo di dare soluzione alla questione romana ed allineare la posizione della Chiesa cattolica a quella degli altri culti, poneva fine ad una serie di istituti e prerogative della stessa, abolendo il cosiddetto "braccio secolare" e disponendo che gli atti emessi dalle autorita' ecclesiastiche non avrebbero piu' avuto efficacia diretta ed immediata nell'ordinamento statuale, essendo preciso compito dei giudici dello Stato la determinazione dei possibili effetti civili degli atti canonici; un principio fondamentale era poi stabilito dall'ultimo comma dell'articolo d'apertura, che affermava esplicitamente, per la prima volta, la piena liberta' di discussione sulle materie religiose. Fino ai primi decenni del Novecento lo Stato liberale, con il sistema separatista, attuato comunque con grande oculatezza e moderazione18, riusci' a proteggere in modo soddisfacente i fondamentali diritti di liberta' delle minoranze religiose, cosi' che gli ebrei italiani, come del resto gli appartenenti alle altre confessioni di minoranza, si trovarono in grado di vivere ed operare nel Paese godendo di una certa liberta' ed autonomia - che mai avevano avuto precedentemente -, grazie al pieno superamento della distinzione fra religione di Stato e culti tollerati ed al raggiungimento dell'uguaglianza di tutti i cittadini e di tutti i culti di fronte alla legge19. Note:
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