2.2. Il periodo del fascismo e la legislazione sui culti ammessi; il R.D. 30 ottobre 1930, n. 1731 e le leggi razziali: dalla disuguaglianza dei culti alla disuguaglianza dei cittadini.

Con l'avvento del fascismo al potere, l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale del periodo liberale trovo' un punto d'arresto con una serie di provvedimenti volti a tornare indietro nel tempo, fino allo Statuto del 18481, ed alla disuguaglianza dei culti: in effetti, il fascismo attraverso' a ritroso in meno di un ventennio l'itinerario che il regime liberale aveva percorso in piu' di ottant'anni2.

L'art. 1 del Trattato del Laterano dell'11 febbraio 1929, riproponeva la distinzione tra la religione cattolica - denominata espressamente "religione di Stato" - e gli altri culti, riaffermando nella sua pienezza il confessionalismo di Stato; parallelamente, vedevano la luce la legge 24 giugno 1929, n. 11593 - la cosiddetta legge sui culti ammessi -, ed il relativo regolamento di attuazione, approvato con R.D. 28 febbraio 1930, n. 2894. Nel sistema precedente, non esisteva una normativa comune che regolasse la professione e le attivita' dei vari culti nel Paese, e tutto era lasciato alla semplice prassi amministrativa o a norme legislative particolari5. La legge del 1929 avrebbe dovuto colmare questa lacuna.

La formula "culti ammessi", che fin dal codice penale Zanardelli aveva designato onnicomprensivamente tutti i culti, cattolico compreso, veniva ora riferita esclusivamente alle confessioni di minoranza6, e nei lavori preparatori si legge che l'espressione, per il legislatore dell'epoca, era una mera variante terminologica della locuzione di "culti tollerati", propria dello Statuto del 1848, ed in quanto tale ne conservava in toto il significato giuridico7.

La legge sui culti ammessi fu, nel suo complesso, ben accolta dalle confessioni di minoranza - anche perche' ribadiva alcuni princi'pi di fondo gia' fatti propri dalla legge Sineo, come la pienezza dei diritti civili e politici a prescindere dal culto professato, e la liberta' di discussione in materia religiosa gia' enunciata dalla legge delle guarentigie -, tanto che fu, da alcuni, definita come la magna charta delle liberta' dei culti di minoranza8.

Tuttavia, anche se, formalmente, la legge poteva apparire addirittura liberale, nella sostanza si tradusse, perlopiu' - soprattutto in virtu' del modo in cui fu ad essa data esecuzione a mezzo del relativo regolamento di attuazione, che veniva a prevedere, ancor piu' della stessa legge, un sistema idoneo a garantire un controllo politico ed una estesa ingerenza sui culti diversi dal cattolico -, in una serie di gravi restrizioni alla liberta' dei culti9, e con essa prese avvio un periodo di sempre crescente ostilita' verso le minoranze religiose, forse a causa del timore di propaganda antifascista da parte dei rappresentanti dei culti diversi dal cattolico10.

Innanzitutto, la liberta' di discussione in materia religiosa veniva intesa essenzialmente come divieto di propaganda religiosa11; in secondo luogo, i culti venivano ammessi a condizione di non professare "princi'pi contrari all'ordine pubblico o al buon costume", e la concreta verifica di cio' si traduceva necessariamente in un controllo di merito da parte statale sui princi'pi religiosi professati, in contrasto con il principio della liberta' di culto12.

Coerentemente ad una impostazione siffatta, istituti come la necessita' dell'approvazione governativa per la nomina dei ministri di culto, la vigilanza statale sugli istituti e il potere di ispezione, la possibilita', per i ministri di culto, di celebrare matrimoni con effetti civili solo dietro autorizzazione specifica dell'ufficiale di stato civile, importavano un'inammissibile violazione del diritto di liberta' religiosa delle varie confessioni, e palesi discriminazioni di trattamento tra i cittadini cattolici e gli "altri".

La parabola discendente continuava, poi, con l'emanazione del nuovo codice penale Rocco, che ripristinava il reato di vilipenD-o alla religione di Stato, e collocava gli altri culti in una posizione subordinata per quanto riguardava la tutela penale del sentimento religioso, differenziando le fattispecie criminose e le relative sanzioni. In questo quadro, inoltre, veniva ripristinato l'insegnamento confessionistico nelle scuole di Stato, con violazione della liberta' di coscienza dei giovani appartenenti alle confessioni religiose di minoranza.

Per la confessione israelitica, in particolare, il giurisdizionalismo assunse una forma del tutto peculiare: infatti, l'art. 14 della legge sui culti ammessi delegava il Governo a rivedere le norme legislative particolari riguardanti le confessioni diverse da quella cattolica, ed a coordinarle con le leggi dello Stato. La sola regolamentazione in tal senso - che pure non era mai stata estesa a tutto il territorio nazionale - era la legge Rattazzi del 1857 sulle universita' israelitiche, alla quale subentro' cosi', con il R.D. 30 ottobre 1930, n. 173113- seguito dal regolamento attuativo emanato con R.D. 19 novembre 1931, n. 156114 - la nuova normativa sulle comunita' israelitiche e sull'Unione delle comunita'.

Come ha osservato un attento stuD-oso15, con questi provvedimenti lo Stato non si limitava a prendere in considerazione i rapporti esterni tra una confessione e lo Stato stesso, ma arrivava addirittura a regolare lo statuto interno dell'ebraismo italiano, disciplinandone in modo preciso ed assai puntiglioso "l'appartenenza dei membri, l'organizzazione interna, i poteri degli organi e le forme di controllo da parte dell'autorita' amministrativa"16, dando vita ad una vera e propria "costituzione civile"17 della confessione israelitica, e creando, affinche' fosse piu' facile il controllo sul fenomeno associativo ebraico, un organo che rappresentasse unitariamente gli ebrei italiani: era l'Unione delle comunita' - un unicum nella storia dell'ebraismo della diaspora, che da sempre ha conosciuto solamente una pluralita' di comunita'18 -, alla quale appartenevano obbligatoriamente, ed a cui dovevano versare un tributo annuale, tutte le comunita' israelitiche del Regno.

Nel complesso, la maggioranza delle comunita' italiane accolse in modo favorevole la nuova legislazione19 - alla cui realizzazione avevano collaborato anche esponenti di parte ebraica -, perche' per la prima volta veniva a dare una regolamentazione certa, e soprattutto uniforme, a tutte le comunita' del Paese che, oltretutto, potevano usufruire del "braccio secolare" dello Stato per la riscossione dei contributi annuali dovuti, da ogni ebreo, alla comunita' di appartenenza. Gli stessi ebrei non si resero conto del fatto che, con una regolamentazione cosi' puntuale dell'organizzazione di una minoranza religiosa, lo Stato aveva compiuto un passo veramente decisivo verso il ritorno alla disuguaglianza dei culti20.

La stessa diversita' di tutela del sentimento religioso degli appartenenti alle confessioni di minoranza, rispetto a quella degli appartenenti alla Chiesa cattolica - evidente con il ritorno al giurisdizionalismo per i primi, e con l'adozione del regime concordatario per i secondi -, era, poi, un segnale di avvertimento ed al tempo stesso prima manifestazione di quella spaccatura che, nel giro di pochi anni, si sarebbe prodotta nei diritti civili e politici dei cittadini: gia' con le leggi del 1929?1932 ci si avviava, insomma - ignorando bellamente le conquiste del periodo liberale -, a ristabilire la disuguaglianza dei diritti civili e, conseguentemente, la disuguaglianza dei cittadini21.

La disuguaglianza dei diritti individuali dei cittadini a seconda che professassero la fede cattolica o non, infatti, emergeva gia' dalla comparazione di alcune disposizioni del Concordato del 1929 con quelle omologhe della legge sui culti ammessi, dal momento che le prime, innovando rispetto al sistema precedente, reintroducevano in Italia il matrimonio religioso canonico: cosi', mentre la legislazione concordataria consentiva ai cattolici la liberta' di scegliere quale tra le due leggi, civile o canonica, avrebbe retto il loro matrimonio - e le diversita' in proposito non erano di poco momento, considerando che il diritto canonico conosceva ipotesi piu' ampie di invalidita' del matrimonio -, la stessa possibilita' non era prevista per gli appartenenti alle confessioni di minoranza, che dovevano sottostare alla sola legge civile, anche se il matrimonio era stato celebrato dal proprio ministro del culto, secondo le disposizioni della legge sui culti ammessi.

Dagli ebrei, questa differenziazione di trattamento quanto al regime matrimoniale era percepita come particolarmente discriminante, dal momento che "non puo' dirsi che l'obiezione fondata sulla solida tradizione giuridica della Chiesa cattolica in contrasto con l'assenza di tradizione giuridica degli altri culti, potesse reggere di fronte alla considerazione della altrettanto solida tradizione giuridica, dell'altrettanto solida costruzione normativa e giurisprudenziale talmudica e rabbinica, che gia' aveva trovato un riconoscimento nel diritto italiano prima del 1865"22.

Intanto, nel 1932, il Ministero dell'Interno assumeva le competenze in materia di politica dei culti, che precedentemente erano state del Ministero della Giustizia: come ha notato la dottrina piu' attenta23, il cambiamento era destinato ad avere molteplici ripercussioni nell'immediato futuro, dal momento che sarebbe prevalsa una "mentalita' poliziesca"24 nell'applicazione della legge sui culti ammessi, della quale venivano esaltate le parti piu' spiccatamente giurisdizionalistiche, con il moltiplicarsi di controlli e divieti e la soppressione invece delle affermazioni di liberta'; inoltre, un anno prima era stato emanato il nuovo T.U. di pubblica sicurezza, il cui art. 18 prevedeva la possibilita' di considerare come pubbliche anche le riunioni private indette in luoghi aperti al pubblico: tale articolo ebbe sempre piu' vasta applicazione, e, anche grazie ad una opportuna interpretazione dello stesso, le confessioni di minoranza videro sempre piu' ristretti i propri spazi, fino a che non si giunse all'esplicito divieto di alcuni tipi di culto25.

Nel 1938, prendeva forma definita e concreta la politica discriminatoria dello Stato fascista nei confronti degli appartenenti alla confessione israelitica, con l'emanazione di una serie di provvedimenti volti ad emarginare ancora di piu' gli ebrei dalla societa' civile: erano le leggi razziali.

Questi provvedimenti erano diretti a colpire non la religione in se', ma piuttosto l'appartenenza al gruppo etnico ebreo, anche se, come sottolinea la dottrina piu' autorevole in proposito26, lo scopo pratico della normativa in esame, il considerare la razza e non la religione, era semplicemente quello di non sottrarre alla regolamentazione neppure gli ebrei che, per evitare di sottostarvi, si fossero convertiti, ed il risultato vedeva comunque un ulteriore peggioramento della condizione della confessione ebraica, anche rispetto alle altre minoranze religiose, gia' pur esse discriminate rispetto alla Chiesa cattolica.

Le leggi razziali vennero progressivamente ampliate grazie all'introduzione - anche al di fuori dell'ordinaria pratica legislativa, attraverso semplici circolari del Ministero dell'Interno - di una nutrita serie di provvedimenti, che ebbero il risultato di allargare lo spettro delle persecuzioni ben al di la' del gia' ampio ambito previsto dalle leggi originali27, cosi' che tra le numerose e pesanti discriminazioni avviate nei confronti dei soli ebrei spiccavano il divieto di insegnamento nelle scuole pubbliche, unitamente al divieto di frequentarle, l'esclusione dalle cariche militari e civili, dalle amministrazioni locali, il divieto assoluto di matrimoni "misti", l'esclusione dalle professioni e dai commerci piu' importanti, fino ad arrivare, addirittura, all'affievolimento dei diritti testamentari ed alla limitazione delle proprieta' immobiliari. Fino al momento della liberazione nazionale, gli ebrei sarebbero stati in una condizione deteriore addirittura rispetto a quella dei cittadini di Paesi dichiaratamente in guerra con l'Italia, che erano protetti dalle norme internazionali, e per i quali la legge italiana di guerra prevedeva non la confisca, ma solamente il sequestro dei beni28: agli ebrei, invece, veniva negato "non solo il diritto di avere, ma anche il diritto di essere"29.

Nel 1982 uno stuD-oso ebbe a scrivere che "anche se piu' di quattro quinti degli ebrei italiani sopravvissero alla guerra, essi subirono un duro colpo dal quale difficilmente si riprenderanno in un prevedibile futuro. In migliaia avevano abbandonato la Comunita', e circa seimila erano emigrati; molti di coloro che rimasero erano fisicamente e spiritualmente distrutti. Le usanze di vita ebraiche erano state interrotte e in molti luoghi era scomparso lo stesso quadro ambientale in cui si erano sviluppate. Trentasette anni dopo la caduta del fascismo, gli ebrei italiani conservano ancora soltanto una pallida sembianza della loro antica identita'"30.

Note:

  1. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 52.Torna
  2. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 63.Torna
  3. In G.U., 16 luglio 1929, n. 164.Torna
  4. In G.U., 12 aprile 1930, n. 87.Torna
  5. Cosi' G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 45.Torna
  6. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 53.Torna
  7. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 53.Torna
  8. Cfr. M. PETRONCELLI, Diritto ecclesiastico, Napoli, 1977, p. 281.Torna
  9. Cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 48.Torna
  10. In tal senso, cfr. ancora G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 50.Torna
  11. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 54, il quale precisa che "tale interpretazione trovava conforto nella stessa relazione Vassallo alla Camera dei deputati e nella relazione Boselli al Senato, ed era stata suggerita dal Chirografo 30 maggio 1929 di Papa Pio XI, per il quale in Stato cattolico, liberta' di coscienza e di discussione devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica". In senso conforme, cfr. anche G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 48.Torna
  12. In tal senso, cfr. ancora G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 54.Torna
  13. In G.U., 15 gennaio 1931, n. 11.Torna
  14. In G.U., 31 dicembre 1931, n. 301.Torna
  15. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 55.Torna
  16. G. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli, 1979, p. 192. Torna
  17. La definizione si trova in A. C. JEMOLO, Alcune considerazioni sul R.D. 30 ottobre 1930 n. 1731 sulle Comunita' israelitiche, in DE, 1931, I, p. 75. Nello stesso senso, cfr.. R. BOTTA, L'attuazione dei princi'pi costituzionali e la condizione giuridica degli ebrei in Italia, cit., p. 169. In senso contrario, cfr. M. FALCO, La nuova legge sulle comunita' israelitiche italiane, in Riv. dir. pubbl., 1931, I, p. 512 ss.Torna
  18. Cfr. M. F. MATERNINI ZOTTA, L'ente comunitario ebraico, cit., p. 198. V. anche, amplius, infra, § 4.9.Torna
  19. Cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., pp. 120 s.Torna
  20. Osserva, tra l'altro, M. MICHAELIS, Mussolini e la questione ebraica, Milano, 1982, pp. 392 s., che "sebbene non vi fosse alcuna intenzione di persecuzione razziale nella mente di coloro che elaborarono le leggi sulle Comunita' israelitiche italiane nel 1930 e nel 1931, la rigida organizzazione degli ebrei italiani sotto il controllo dello Stato sarebbe stata particolarmente utile ai gerarchi fascisti per la politica di segregazione sociale ed economica che essi intrapresero pochi anni dopo".Torna
  21. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 63.Torna
  22. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 64. Cfr. anche ID., Considerazioni "de iure condendo" in tema di matrimonio e di culti acattolici, in FI, 1960, IV, c. 154.Torna
  23. Cfr., ad esempio, G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 27.Torna
  24. Cosi', G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 27.Torna
  25. Su questo punto, cfr. P. BARILE, Appunti sulla condizione dei culti acattolici in Italia, in DE, 1952, I, specialmente p. 354.Torna
  26. Cfr., a questo proposito, G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., pp. 64 s., secondo il quale "l'obiezione ha una rilevanza solo formale; riguarda una misera frangia di ebrei non israeliti o di israeliti non ebrei; non tiene conto che la considerazione della cosiddetta "razza" anziche' del culto aveva per il legislatore del 1938 e degli anni successivi solo lo scopo di colpire con la legislazione antiebraica anche i convertiti di comodo, i nuovi possibili "marrani"; ignora il carattere complesso, composito, insuscettibile di una definizione globale, dell'Ebraismo: legge morale e tradizione religiosa, popolo e cultura". Cfr. anche G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 28.Torna
  27. Cfr. S. CAVIGLIA, Un aspetto sconosciuto della persecuzione: L'antisemitismo "amministrativo" del Ministero dell'Interno, in RMI, 1988/1?2, p. 234. Secondo F. LEVI, Riflessioni su istituzioni e societa' di fronte alle leggi antiebraiche, in RMI, 1993/1?2, p. 87, l'insieme di tutti questi provvedimenti diede origine ad un corpus normativo disorganico e, non di rado, anche contraddittorio, ma tuttavia capace di coinvolgere, oltre ai piu' diversi momenti della vita degli ebrei in Italia, anche quella dell'intero Paese.Torna
  28. Cfr. G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 79.Torna
  29. Cosi', ancora G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 79.Torna
  30. M. MICHAELIS, Mussolini e la questione ebraica, cit., p. 395. Cfr. anche M. TOSCANO, Le comunita' ebraiche, in AA. VV., Le minoranze religiose in Italia, a cura di S. FERRARI - G. B. VARNIER, Cinisello Balsamo (Milano), 1997, p. 19.Torna

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