2.4. Dalla previsione dell'articolo 8 della Costituzione all'intesa del 27 febbraio 1987.

La situazione venutasi a creare all'indomani dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana era sicuramente tra le piu' singolari: infatti, erano stati affermati princi'pi supremi in tema di liberta' religiosa, parita' ed uguale liberta' dei culti, ma, nello stesso tempo, era rimasta in vigore la gran parte delle disposizioni facenti parte dell'impalcatura giuridica espressa dal regime autoritario precedente.

Cosi', se gli ebrei, uti cives, avevano riacquistato in toto i loro diritti civili e politici, nondimeno - proprio perche' appartenenti alla confessione israelitica -, continuavano a rimanere sottoposti sia alla legislazione sulle comunita' israelitiche e sull'Unione delle comunita' del 1930-1931, sia - per quanto non disposto dalla normativa de qua -, alla legge sui culti ammessi del 1929, che, insieme al relativo regolamento di attuazione, costituiva l'unica fonte esistente di regolamentazione generale dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica suscettibile di applicazione immediata1.

Il solo modo per impedire macroscopiche disparita' di trattamento tra la Chiesa cattolica e le confessioni di minoranza sarebbe stato l'immediato avvio di trattative con lo scopo di arrivare a stipulare, il piu' presto possibile, le intese previste dal terzo comma dell'art. 8 della Costituzione tra lo Stato e le confessioni religiose che lo avessero richiesto; tuttavia, diversi fattori ostacolarono per decenni il raggiungimento di tale obiettivo, con la conseguenza che, dagli anni della ricostruzione fino quasi ai giorni nostri, gli ebrei e le altre minoranze religiose avrebbero sostanzialmente continuato a vivere in un inaccettabile clima restrittivo del loro diritto di liberta' religiosa, un clima tanto piu' insostenibile se si pensa al contrasto tra la situazione di fatto ed i valori di pluralismo religioso formalmente recepiti dalla Costituzione, e di cui gli artt. 7 e 8, in intima connessione con l'art. 2, costituivano immediata specificazione2.

E detto contrasto della situazione di fatto con i valori consacrati nella Carta costituzionale trovava il suo climax proprio nei confronti della confessione ebraica, atteso che alle generali limitazioni previste nei confronti di tutte le minoranze religiose, si aggiungevano, per gli ebrei, numerose altre limitazioni al diritto di liberta' religiosa inteso in "senso ebraico": basti pensare, ad esempio, alle violazioni imposte, nell'ambito delle collettivita' organizzate, alle prescrizioni della legge religiosa ebraica relative al riposo sabbatico, alla macellazione rituale, o al divieto di consumare determinati cibi3.

Indubbiamente, in tutto questo, non di poco momento fu l'influenza esercitata da istituti e costruzioni giuridiche ereditati dal regime fascista: infatti, se e' vero che, scomparsa la dittatura, sembrava naturale che le limitazioni di liberta' introdotte dal fascismo dovessero anch'esse scomparire, e' altresi' vero che, quando si cerco' in concreto di affrontare tale operazione, lo stesso ordinamento oppose una energica resistenza ad ogni tentativo di demolizione dei vecchi, ma ormai consolidati, moduli giuridici4.

D'altronde, a nostro avviso, cio' non deve stupire piu' di tanto, dato che l'ordinamento stesso e' pura astrazione, mentre nella realta' concreta delle cose chi si trova ad operare all'interno del sistema sono gli uomini, che si comportano ed affrontano le situazioni in base alla propria forma mentis, basandosi sui propri retaggi culturali che, all'epoca, derivavano - per trasferire questo discorso sul piano che a noi ora interessa -, dalla matrice cattolico?concordataria, nata sotto l'impero del giurisdizionalismo e del confessionalismo di Stato5.

In quest'ottica, i Governi avvicendatisi dal 1948 in poi respinsero ogni richiesta, proveniente dalle diverse confessioni religiose, in ordine all'apertura delle trattative bilaterali per giungere ad un'intesa, pretendendo anzi che venisse data piena applicazione non solo alla legge sui culti ammessi, ma anche alle norme del T.U. di pubblica sicurezza del 1931 in materia di riunioni a fini religiosi, arrivando cosi' ad interpretare in modo del tutto aberrante - o, il che e' lo stesso, ad ignorare - non solo le prescrizioni dell'art. 8, ma anche quelle degli artt. 17 e 19 della Costituzione6.

Peraltro, e' da dire che, da parte ebraica, per diverso tempo non furono avanzate richieste di apertura di trattative: anche in sede di dibattito alla Costituente, gli ebrei presentarono svariati documenti su uguaglianza sostanziale, parita' di tutela penale dei culti ed effetti civili del matrimonio religioso, ma non una menzione fu fatta a proposito della sorte da riservare alla legge sulle comunita' israelitiche ed al rispettivo regolamento di attuazione7, dal momento che, come abbiamo gia' visto8, la normativa in se' non era cosi' invisa ai vertici dell'ebraismo italiano, nonostante il provvedimento in questione fosse ormai, come dianzi detto, in insanabile contrasto con la Costituzione in parecchi punti, che sarebbero stati censurati solo nel prosieguo.

Gli evangelici, invece, presentarono immediatamente, sin dal 1948, diverse istanze a livello governativo per l'avvio delle trattative in parola, e proprio a questa fitta rete di rapporti intrecciati dal Consiglio federale delle Chiese evangeliche con l'apparato statale bisogna inizialmente guardare per individuare le fasi principali dell'evoluzione giuridica che, non senza difficolta', porto' alla stipulazione delle prime intese, tra cui quella con la confessione ebraica.

Possiamo individuare una prima fase - dal 1948 al 1956 -, caratterizzata da una radicale divergenza di vedute tra lo Stato e gli evangelici: questi ultimi avevano inteso subito nella sua piena, rivoluzionaria portata il principio pattizio sotteso dal terzo comma dell'art. 8 della Carta costituzionale, mentre su una posizione totalmente opposta stava il Ministero dell'Interno - in quanto titolare della competenza in materia di culti -, che negava recisamente che il termine "intese" avesse il preciso significato di accordo bilaterale, poiche' cio' avrebbe comportato un inammissibile parallelismo fra le intese con le confessioni di minoranza ed il Concordato con la Santa Sede9.

Di piu', si sosteneva che, sostanzialmente, le intese in discorso non costituissero altro che proposte non vincolanti per la modifica della legge sui culti ammessi, che era cosi' destinata a rimanere alla base della disciplina dei rapporti tra lo Stato e le varie Chiese, come se il Costituente avesse voluto richiamarsi alla regolamentazione preesistente per stabilire i fondamenti del nuovo sistema10.

Portata, in seguito, la questione all'attenzione della Presidenza del Consiglio, e non avendo avuto risposta alcuna, nel 1956, con l'aiuto di alcuni parlamentari, le rivendicazioni degli evangelici si concretizzarono nella proposta di legge dell'onorevole La Malfa - che rimase lettera morta -, che prospettava specifiche procedure per l'attuazione dell'art. 8, ed abrogava la gran parte delle disposizioni della legge sui culti ammessi, facendo discendere la nuova normativa direttamente dall'applicazione dei princi'pi costituzionali in materia di liberta' religiosa11.

Nel 1956, con l'entrata in funzione della Corte costituzionale, si apriva la seconda fase dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, in cui furono soppresse le norme maggiormente limitative della liberta' dei culti: la sentenza n. 1 del 195612 e' importante non soltanto perche' dichiaro' incostituzionali alcune disposizioni del T.U. di pubblica sicurezza che limitavano la manifestazione del pensiero, ma soprattutto perche' affermo' esplicitamente che anche le leggi anteriori alla Costituzione erano sottoposte al vaglio di legittimita' costituzionale; nel 1957, la Corte dichiaro' l'incostituzionalita' dell'obbligo di preavviso per le funzioni religiose in luoghi aperti al pubblico13, mentre, nel 1958, il regolamento di esecuzione della legge sui culti ammessi venne dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva la necessita' dell'autorizzazione statale all'apertura di locali di culto e condizionava lo svolgimento delle funzioni religiose alla presenza, nei locali autorizzati, di ministri di culto anch'essi autorizzati14.

Tuttavia, le trattative per giungere alle intese languivano irrimediabilmente, e solo nel 1961 il rinvio a specifici accordi con le confessioni interessate, previsto dalla legge che estendeva l'assicurazione d'invalidita' e vecchiaia ai ministri di culto, costrinse il Ministero dell'Interno a trattare ufficialmente con alcune rappresentanze qualificate delle confessioni richiedenti, per giungere alle c.d. "piccole intese" in materia previdenziale, che, se non costituivano certo attuazione dell'art. 8 della Costituzione, rappresentavano sicuramente un esempio ante litteram di regolamentazione concordata tra le due parti15.

Negli stessi anni, una parte consistente degli ebrei italiani cominciava, intanto, ad avvertire il peso della legislazione sulle comunita' del 1930, percepita ormai come obsoleta, non piu' in linea con i valori maturati nel frattempo all'interno della societa' ebraica, e confliggente con i princi'pi consacrati nella Carta costituzionale; d'altro canto, c'era anche la consapevolezza dell'impossibilita' di mutare sostanzialmente lo stato delle cose in mancanza di un'intesa, che pero' appariva ben lungi dal poter essere realizzata in tempi brevi, vista la pressoche' totale chiusura degli apparati dello Stato in proposito. Ma la necessita' di una maggiore democrazia all'interno delle strutture dell'ebraismo italiano, ed il bisogno di calarsi nella realta' del concreto sviluppo storico e giuridico contemporaneo, erano considerati da alcuni riformisti come condizioni indispensabili ad assicurare la stessa sopravvivenza delle istituzioni ebraiche in Italia, con l'abbandono di ogni forma di tutela di Stato ed il ritorno all'autonomia delle comunita' nel quadro dei princi'pi dettati dalla Costituzione, cosicche', anche senza la collaborazione da parte dello Stato, la riforma strutturale inizio' ad essere attuata16.

Nel Congresso delle comunita' israelitiche del 1961, secondo la prima mozione presentata, ogni comunita' avrebbe dovuto interpretare le leggi in materia elettorale secondo le seguenti tre direttive fondamentali: iscrizione nelle liste elettorali e dei contribuenti di tutti i maggiorenni senza distinzione alcuna in base a sesso, stato civile o censo, estensione alle donne dell'elettorato passivo e rinnovo totale del consiglio di ogni comunita' ogni sei anni, fermo restando il rinnovo parziale biennale; direttive tutte tese ad assicurare maggiore democraticita' all'interno delle singole entita' territoriali, ma sostanzialmente in conflitto con le prescrizioni della legge dello Stato, poiche', de facto, non si trattava di mera interpretazione, bensi' di vera e propria creazione di norme. Nel contempo, con un'altra mozione si invito' l'Unione delle comunita' a predisporre lo stuD-o di una revisione della legge del 1930, in vista di un adeguamento dei suoi princi'pi alle mutate esigenze dell'ebraismo17.

Il Congresso straordinario del 1968 prosegui' sul cammino intrapreso praeter legem da quello del 1961, adottando delle delibere che defini' vincolanti per tutti gli appartenenti alle comunita', tra le quali spiccavano l'introduzione del suffragio universale senza distinzione di sesso, stato civile o censo; la creazione di due nuovi organi, l'assemblea della comunita' e l'assemblea rabbinica; l'introduzione del principio della rappresentanza delle minoranze, sia nei consigli delle comunita' piu' numerose, che nel consiglio dell'Unione e nella consulta rabbinica; l'introduzione del principio di progressivita' nella tassazione18.

Le riforme strutturali adottate dal Congresso del 1968 non erano certo di poco conto, e costituivano in pratica lo statuto dell'ebraismo italiano, ai sensi del secondo comma dell'art. 8 della Costituzione, una svolta significativa nel cammino che avrebbe portato all'autonomia normativa delle comunita'19.

Nel 1975, allorche' la Tavola valdese tento' di riallacciare i rapporti con il Ministero dell'Interno in vista di una possibile intesa, la risposta fu che non era nelle intenzioni dello Stato avviare trattative con le minoranze prima della revisione del Concordato con la Chiesa cattolica.

Il consiglio dell'Unione delle comunita' israelitiche ritenne utile puntualizzare che una revisione del Concordato non poteva prescindere dall'esame di alcune questioni fondamentali, per gli ebrei costituite innanzitutto dalla modifica dell'art. 1 del Trattato del Laterano - che dichiarava la religione cattolica, apostolica e romana la "religione di Stato" -; dall'insegnamento religioso nelle scuole, dalla regolamentazione del matrimonio e, in ultimo, dalla questione dell'affidamento delle catacombe ebraiche20.

Nel 1976, il Presidente del Consiglio annuncio' l'avvio dei negoziati con la Tavola valdese e con l'Unione delle comunita' israelitiche, in contemporanea con l'apertura delle trattative per la revisione concordataria: da quel momento le due intese avrebbero corso su un binario parallelo a quello del Concordato, ma, mentre le trattative con i valdesi diedero vita ad un testo suscettibile di avere l'approvazione definitiva dei contraenti in tempi relativamente brevi, quelle con gli ebrei non portarono, inizialmente, a vere e proprie ipotesi di accordo, essendo l'ebraismo un quid non facilmente riducibile ad un'unica definizione, "un complesso di elementi, tra i quali la comune religione e' solo un fattore"21.

Ma le trattative sarebbero andate a rilento anche perche' si imponeva la risoluzione di un problema di fondo, costituito dalla questione dell'appartenenza obbligatoria alle comunita' di tutti gli ebrei ivi residenti, sancita dall'art. 4 della legge sulle comunita' israelitiche, che demandava poi alle stesse comunita' i poteri di imposizione tributaria sui propri membri cosi' identificati.

Il primo progetto di intesa prevedeva ancora il principio dell'appartenenza obbligatoria, e quando, nel 1979, un'ordinanza pretorile22 porto' all'esame della Corte costituzionale l'art. 4 della legge sulle comunita', censurandolo di incostituzionalita' soprattutto in rapporto al principio di uguaglianza formale cosi' come enunciato dal primo comma dell'art. 3 della Costituzione, il consiglio della comunita' di Roma ritenne opportuno sospendere le trattative in attesa della definizione del giudizio, per evitare che l'intesa, fin dalla sua entrata in vigore, potesse contenere princi'pi gia' giudicati incompatibili con l'ordinamento giuridico italiano23.

La sentenza n. 239 del 198424 dichiaro' l'incostituzionalita' dell'art. 4 del R.D. 1731/1930, e si dovette procedere ad una sostanziale revisione del progetto di intesa che tenesse conto del nuovo principio di volontarieta' dell'adesione alla comunita'.

Le trattative furono riprese nel 1985 e, dopo un'ultima sospensione a causa dell'accordo tra il Governo e la Conferenza episcopale italiana sull'insegnamento religioso cattolico nelle scuole statali - che suscito' le vive proteste degli ebrei e di tutte le altre confessioni di minoranza25 -, condussero finalmente all'intesa tra la Repubblica italiana e l'Unione delle comunita' israelitiche italiane, siglata a Roma il 27 febbraio 1987, ed approvata con legge 8 marzo 1989, n. 101.

Note:

  1. Su questo punto, cfr. ancora G. FUBINI, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 107.Torna
  2. Cfr. P. GISMONDI, Introduzione, in AA. VV., Le intese tra Stato e confessioni religiose, cit., p. 125.Torna
  3. Cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 133.Torna
  4. In questo senso, cfr. G. FUBINI, Dalla legislazione antiebraica alla legislazione riparatoria. Orientamenti giurisprudenziali nell'Italia postfascista, in RMI, 1988/1?2, p. 478.Torna
  5. Riteniamo che la considerazione accennata supra non possa essere contraddetta dall'obiezione secondo la quale e' vero che, in rerum natura, sono gli uomini ad operare e non l'ordinamento astratto, ma e' anche vero che esso e' pur sempre, in regime democratico, emanazione diretta di quegli stessi uomini tenuti poi ad applicarne i princi'pi, per cui non si vede come possa realizzarsi la dicotomia espressa nel testo, non essendo verosimile che le stesse persone artefici di un determinato principio, possano poi discostarsene senza incorrere in colpa d'omissione o, perlomeno, in grave contraddizione: la replica a quest'obiezione potrebbe essere molto articolata ma, senza scomodare la filosofia del diritto, e per rimanere sul terreno della nostra indagine riguardante (l'inapplicazione del) la Costituzione, basta dare un'occhiata, per quanto distratta, ai lavori preparatori, per accorgersi che gli articoli di piu' immediato interesse ai nostri fini, id est, gli artt. 7 ma anche 8, furono il frutto di compromessi politici atti ad assicurare una base di maggioranza al provvedimento, e non certo espressione di unanime volonta', e che il terzo comma dell'art. 8 fu inserito solamente per dare una sorta di "contentino" agli oppositori del regime concordatario (Cfr. V. ONIDA, Profili costituzionali delle intese, in AA. VV., Le intese tra Stato e confessioni religiose, cit., p. 29); stando cosi' le cose, non possono dunque stupire gli innumerevoli "stratagemmi" messi in atto per aggirare la stipulazione delle intese con le minoranze religiose negli anni seguenti alla Costituzione.Torna
  6. Cosi' G. PEYROT, Significato e portata delle intese, cit., p. 59. Cfr. A. C. JEMOLO, Le liberta' garantite dagli artt. 8, 19, 21 della Costituzione, in DE, 1952, I, pp. 416 ss., in cui l'A. passa in rapida rassegna alcune sentenze pretorili che dimostrano l'aberrazione di cui supra.Torna
  7. Cfr. G. LONG, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito sulla liberta' religiosa nell'eta' della Costituente, Bologna, 1990, specialmente pp. 294 s.Torna
  8. V. supra, § 2.2.Torna
  9. V. la lettera della Direzione Generale per gli affari di culto del 30 settembre 1950 al Consiglio federale delle Chiese evangeliche, in DE, 1952, I, p. 156, in nota.Torna
  10. Cosi' G. PEYROT, Significato e portata delle intese, cit., p. 61.Torna
  11. Cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., p. 150, e G LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., pp. 37 s.Torna
  12. Corte cost., sent. 14 giugno 1956, n. 1, in FI, 1956, I, cc. 833 ss.Torna
  13. Corte cost., sent. 18 marzo 1957, n. 45, in FI, 1957, I, c. 733: "e' costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 17 della Costituzione, l'art. 25 T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, nella parte relativa all'obbligo del preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose in luoghi aperti al pubblico".Torna
  14. Corte cost., sent. 18 novembre 1958, n. 59, in FI, 1958, I, c. 1778: "contrastano con gli art. 8 e 17 della Costituzione gli art. 1 e 2 R.D. 28 febbraio 1930, n. 289 (il secondo nella sua totalita' in quanto sottopone l'esercizio della facolta' di tenere cerimonie dei culti acattolici e compiere altri atti di culto negli edifici aperti al culto, alla condizione che la riunione sia presieduta o autorizzata da un ministro del culto, la cui nomina sia stata approvata dal Ministro competente; e il primo nella parte in cui esige l'autorizzazione per l'apertura dei tempii, quale autonoma professione di fede religiosa al di fuori dei rapporti con lo Stato); e non anche l'art. 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, che non riconosce effetti civili agli atti del loro ministero, compiuti da ministri dei culti acattolici, la cui nomina non abbia riportato l'autorizzazione amministrativa".Torna
  15. In questo senso, cfr. G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 41.Torna
  16. Su questo punto, cfr. G. FUBINI, la condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., p. 132.Torna
  17. Cfr. G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 147.Torna
  18. Cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e liberta' religiosa in Italia, cit., pp. 130 s.Torna
  19. Cfr. G. FUBINI, la condizione giuridica dell'ebraismo italiano, cit., pp. 133 s.Torna
  20. In proposito, cfr. S. DAZZETTI, Un percorso di liberta'. Il dibattito e le scelte dell'ebraismo italiano preliminari all'intesa con lo Stato (1977?1987), in Le intese viste dalle confessioni. Quaderni della scuola di specializzazione in diritto ecclesiastico e canonico, a cura di M. TEDESCHI, Napoli, 1999, vol. 6, p. 176.Torna
  21. Cosi', G. LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", cit., p. 150. V. anche supra, § 1.1.Torna
  22. Pret. Roma, ord. 16 maggio 1979, in FI, 1980, I, c. 552.Torna
  23. Cfr. S. DAZZETTI, Un percorso di liberta', cit., p. 203.Torna
  24. Corte cost., sent. 30 luglio 1984, n. 239, in FI, 1984, I, cc. 2397 ss.Torna
  25. Cfr. ancora S. DAZZETTI, Un percorso di liberta', cit., p. 218.Torna

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