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ago 24, 2002 |
Storia millenaria,  |
redazione

Ebrei e integrazione in Italia

E' un punto dolente anche sull'oggi e lo e' stato naturalmente nei tempi passati. Il contemporaneo va inteso '800, '900 e per di piu' siamo inseriti nel soggetto generale la comunita' e i rabbini. Credo dunque che il mio contributo deve andare nella direzione di un'aiuto e una presa di coscienza da parte di tutti della realta' storica dell'ebraismo italiano. Naturalmente le divisione interpretative si ripetono qui come per ogni altra cosa. Certo, tutto puo' essere modificato nella vita dell'uomo, salvo che il passato. Sembrerebbe facile trattare il passato, ma sappiamo che non e' facile conoscere nemmeno il passato: basta pensare ai negatori della shoa'.

Il passato non e' modificabile, ma non e' nemmeno comprensibile con esattezza. Si avanzano delle proposte di comprensione, e qui se ne sentira' una e saro' lieto evidentemente se qualcuno portera' elementi per metterla in discussione. Vorrei pero' che fosse chiaro che non voglio portare elementi a favore di una o l'altra ipotesi che valga per l'oggi. Qualunque sia questa realta' storica, essa non vincola per il presente o per il futuro, perche' da qualsiasi momento si puo' completamente voltare pagina.

Parlo dunque da storico e non da polemista. Sul tema dell'integrazione o, come si diceva fino a qualche tempo fa', dell'assimilazione, si e' scritto gia' moltissimo cosi' come moltissimo si e' scritto sulla storia dell'ebraismo italiano dopo la seconda emancipazione del 1861. Vi e' tutta una serie di autori che hanno pubblicato interventi di grande rilievo, e li cito, scusandomi se dimentico qualcuno: Roberto Cavalion, David Bidussa, Mario Toscano, Bruno Di Porto, Luciano Allegra, Angelo Ara, Giorgina Arian Levi, Roberto Buonfiglio, Enzo Canepa, Renzo De Felice, Gadi Luzzato, Artiglio Mirante. Una citazione alla rinfusa per sottolineare la presenza di tutta questa letteratura.

Pero', mi sembra che in tutta questa letteratura storica, sia stata privilegiata la storia alta, cioe' la storia della espressioni culturali, delle scelte ideologiche religiose e dei personaggi che si sono distinti, quelli che si dice hanno fatto onore all'ebraismo. Invece, ho l'impressione che non vi sia abbastanza studiata la realta' piu' bassa. Cioe', si e' lavorato scarsamente su altri temi forse meno nobili. Quindi, vorrei proporre un taglio di lettura sui livelli piu' bassi, avvertendo che questo taglio di lettura non e' sostitutivo delle tematiche culturali ma e' integrativo. Per studiare questo processo di integrazione e di assimilazione, occorre, credo, andare a esaminare la realta' sociale dell'ebraismo italiano. In questo, credo di parlare, piu' da storico della societa' italiana che non da storico dell'ebraismo.

L'integrazione, o l'assimilazione, in Italia viene da molto lontano; precede la prima emancipazione, quella dell'era napoleonica, addirittura. E non si tratta soltanto di un fatto culturale. Si e' scritto che la seconda emancipazione del regno d'Italia costituisce la fase conclusiva di un lungo processo di avviamento e di adeguamenti degli ebrei al mondo circostante perche' l'ebraismo italiano poteva vantare una solida tradizione di apertura alla cultura secolare. e qui e' d'obbligo la citazione di un noto passo di Arnaldo Momigliano che e' stato poi ripreso da Gramsci. Scrive Momigliano: la storia degli ebrei di qualsiasi citta' italiana e' essenzialmente la storia della formazione della loro coscienza nazionale italiana e questa formazione e' posteriore alla formazione della coscienza nazionale italiana in genere in modo che gli ebrei si sarebbero venuti a inserire in una coscienza nazionale italiana gia' precostituita. Quando furono abbattuti i cancelli dei ghetti, questo processo era nelle sue linee essenziali gia' compiuto.

Gli ebrei gia' sentivano di far parte della nazione italiana, e, d'altra parte, gli uomini politici del risorgimento dimostrarono anch'essi di capire che il momento essenziale della costituzione della mentalita' nazionale italiana era la parificazione degli ebrei agli altri cittadini. cosi', Momigliano, facendo riferimento grossomodo a uno sviluppo che si sarebbe effettuato fra la fine del 700 e l'inizio dell'800. Ma attenzione: di puo' tornare ancora piu' indietro, soprattutto se non si fa riferimento soltanto alla cultura.

E' un fatto che questo interscambio sociale che risale gia' agli ultimi secoli del medioevo. Per quanto possa apparire paradossale, questo stessa Chianciano dove siamo e' stato sede di un seppur minusocolo minuscolo ebraico. Sono stati sedi di insediamento ebraico moltissime della insediamento circostanti: Montepulciano, chiusi e via di seguito fino a poi tutta la zona del monte Amiata. Pero', evidentemente si trattava di insediamenti minuscoli che si possono definire con riferimento alla cosiddetta casa dell'ebreo. Il che implica che non si trattasse di comunita'. Stiamo parlando di comunita' e di rabbini ed e' ovviamente pressoche' impossibile pensare a rabbini la' dove non ci sia una comunita' a meno che non si trattasse di pochissimi casi in cui una famiglia di banchieri e di imprenditori molto ricchi si poteva permettere in casa il rabbino,precettore.

Questi insediamenti cosi' minuscoli sono forzatamente, per tutte le loro necessita', strettamente legati a una societa' circostante che e', in Italia, una societa' cristiana. Qui, l'interrelazione con i cristiani e' sempre stata fortissima, e questo vale per la toscana e vale per moltissime aree Italiane, con forse, per quest'epoca, la sola eccezione di Roma. Data l'epoca, non si hanno molti matrimoni misti, pero' il problema per misurare questo cedere, diciamo cosi', alla societa' circostante, e' la verifica del numero delle conversioni.

Questo numero delle conversioni e' molto alto anche perche' questa situazione del tardo medioevo con queste case dell'ebreo dove viveva il banchiere, e' una situazione che si riverifica ben presto, per lo meno in toscana, nel seicento e nell'eta' 546. Sembra emergere sempre piu' chiaramente che il vero disegno della storia dell'ebraismo italiano non sia una situazione di relativa liberta' nel territorio, seguita dalla lunga epoca dei ghetti e poi, soltanto con l'emancipazione, il ritorno alla liberta' di circolazione degli ebrei, chiamiamola cosi'; sembra piuttosto l'eta' dei ghetti sia una piccola parentesi rispetto a un'abitudine degli ebrei Italiani di disseminarsi nel territorio che e' il trend di fondo, il trend piu' lungo. Prendendo sempre esempio dalla toscana, a un certo punto, nel 1570,71 si fanno i ghetti di Firenze e di Siena, ma da li' a vent'anni si consentono degli insediamenti liberi a Pisa e a Livorno senza ghetto.

E gia' intorno al 1650, questi ghetti di Siena e di Firenze servono apparentemente soltanto per la popolazione piu' povera, perche', attraverso un'esenzione dopo l'altra, gli ebrei vivono a volte a Firenze fuori dal ghetto, ma soprattutto cominciano a distribuirsi di nuovo nel territorio. Li troviamo a Pistoia, li troviamo a massa, li troviamo a Carrara. Li troviamo in tante piccolissime localita', posso citare per esempio rabbe in chianti???567, localita' dove noi non peseremmo mai di trovare degli ebrei.

E' proprio attraverso questa disseminazione nel territorio, attraverso questo contatto cosi' continuo, quotidiano, con il mondo cristiano che si hanno questi fenomeni di conversione. Abbiamo dei dati per il periodo dal 1814 al 1841 raccolti da Roberto Salvadori e siamo intorno ai 200 casi di conversione in un periodo molto ristretto. Naturalmente non si vuol fare l'elogio di queste conversioni, si dice quali sono, per lo storico, gli indicatori di certe situazioni. Quando abbiamo un numero di questo genere, non possiamo dire che sono casi isolati, cose che possono capitare nelle migliori famiglie. Il problema e' cercare di capire che cosa significhi questo trend, se proprio si vogliono vedere le cose per quello che sono. Quindi direi che questo interscambio con il mondo cristiano risale a molto tempo prima dell'emancipazione.

Da qui non e' lecito dedurre immediatamente che l'osservanza dei precetti non fosse perfetta. Non e' lecito perche' non abbiamo nessun elemento positivo che ci dica se gli ebrei erano molto o poco rispettosi del sabato o della Casherut. C'e' tuttavia piu' di un sospetto che fosse rispettata la forma piu' che la sostanza. Quanto meno c'e', e in questo ebraismo italiano la tradizione di un relativo lassismo affonda le suoi radici molto lontano nel passato. Pero', bisogna tenere presente che quello italiano e' un'ebraismo particolarissimo, perche' numericamente molto ridotto e molto frastagliato nel territorio. Con pochissime eccezioni poi, il ghetto e' in controtendenza con questo fenomeno di interscambio, ma, a mio avviso, il ghetto e' un episodio che forse si puo' ritenere come una parentesi.

Il secondo punto sul quale voglio soffermarmi e' quello della struttura sociale dell'ebraismo italiano, ma sempre in questa chiave di prendere atto di determinate realta' storiche, che sono discutibili come tutte le realta' storiche, ma vanno affrontate, documenti alla mano. Non c'e' dubbio che i gruppi ebraici possono essere tranquillamente rappresentati, come tutti i gruppi dell'ancient regime, come una piramide, cioe' un piramide sociale. C'e' un vertice molto ristretto di persone che sono ricchi, che stanno bene e via via si allarga verso il basso fino a trovare una base molta larga di persone che Victor Hugo al suo tempo cito' come miserabili, che non vuol dire persone in condizioni disperate, ma persone praticamente prive di sostanza, di patrimoni. Fra i molti studi di demografia italiana che sono stati fatti, si e' studiata la demografia della famiglie, si sono studiate le nascite, pero', anche per la scarsita' delle fonti, poco si e' studiato la composizione sociale, socio,economica dell'ebraismo italiano.

Non si puo' parlare in generale e allora prendiamo un caso particolare, il problema della servitu'. La servitu' e' uno dei grandi temi attualmente all'attenzione della storia sociale italiana. Nel gia' citato elenco delle conversioni del Salvadori, noi notiamo che i servi sono il 10% di questi ebrei convertiti, percentuale che sale al 30% nel caso delle professioni espresse, perche' non di tutti i convertiti si sa la professione. Ma nel 30% dei casi, con professione espressa, si tratta di servitori, di servitori ebrei con delle caratteristiche a volte particolari. Ad esempio, fra la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento, c'e' stata una vera e propria importazione di servitori dalla Germania, soprattutto dalla Baviera e dall'Austria.

A parte queste conversioni in cui si indica che la tale viene dalla Baviera, la tale viene da questa o quell'altra localita', questo e' testimoniato, dal poeta livornese Ascoli, di cui e' stato recentemente recuperato un rarissimo libro di poesia, stampato in sole 24 copie: in uno di questi canti di questo livornese si fa proprio l'elogio di queste donne che i padri, disperati per la miseria in cui vivevano, decidevano di mandare in Italia a servire nelle case ebree, sapendo delle grandi ricchezze che c'erano a Livorno. C'erano dei sensali, dei mediatori che operavano proprio questa importazione di servitu' che era, ripeto, servitu' ashkenazita. Il tema della domestica ebrea nelle case e' un tema su cui e' abbastanza interessante riflettere. Possiamo fare una citazione letteraria. Nel gioco dei regni di Clara sereni, in questa famiglia Pontecorvo,Ascarelli si vedono due domestiche. C'e' la domestica cristiana, quella portata da Pisa, e c'e' la domestica ebrea con una caratterizzazione molto fine di questo personaggio.

Andando indietro, noi vediamo assolutamente normale questa situazione della domestica ebrea in una casa ebrea. Voglio citare una cosa capitata quasi casualmente. Da una recente tesi fatta all'istituto europeo di Firenze, sulla posizione sulla donna nella societa' ebraica italiana dopo l'emancipazione, nello statuto del pio istituto dell'asilo e dell'educazione delle fanciulle israelite, istituito a Padova nel 1856, e' scritto: lo scopo e' quello di allevare buone madri di famiglia fra le fanciulle, ebree naturalmente, prive di beni e di fortune, avvezzarle per tempo al lavoro e farle maestre, istitutrici e cameriere. Scopo fondamentale di questo pio istituto era quella di formare personale di servizio.

A questi servitori e, in genere, a tutti gli scontenti, l'emancipazione ha offerto, improvvisamente, nuove prospettive di vita. Ha offerta una sorte di liberta'. Naturalmente, si parla di persone probabilmente di scarsa cultura, dove si situava quel tanto di analfabetismo che rimaneva nella societa' ebraica. Direi che per queste persone era quasi inevitabile l'attrazione del mondo circostante; per le donne poi l'attrazione del matrimonio era troppo forte. E qui c'e' un'altro tema che si potrebbe affrontare e che risale molto indietro nel tempo come caratteristica dell'ebraismo italiano, il matrimonio un altro poteva essere realizzato soltanto su notevoli distanze. Ci sono naturalmente eccezioni per situazioni come quella di Roma, ma per le comunita' piu' piccole, fin dalla fine del '400 e' documentata l'esistenza di sensali che girano l'Italia e che vanno a cercare le mogli adatte per un determinata persona. Ho l'impressione, anche se non ho precise documentazioni, che questi sensali esistessero ancora nell'ottocento e nel novecento, che questo reticolo di informazioni, io ho parlato di sensali per domestiche, esistesse anche per quanto riguarda i matrimoni.

Una delle possibili soluzioni avrebbe potuto essere quella di attivare questi sensali per i matrimoni delle persone con minore capacita' economica, ma cio' non e' accaduto. Non voglio farne la radice di tante conversioni, ma racconti famigliari fanno pensare proprio che queste fughe si siano verificate proprio negli strati inferiori della popolazione. Qui, le comunita' ebraiche probabilmente non hanno saputo rispondere in maniera adeguata a questo pericolo; hanno risposto con le pure e semplici associazioni caritatevoli, hanno dato soldi per le dote ma senza andare ad affrontare alla radice il problema. E' un discorso naturalmente che andrebbe allargato ad altri gruppi sociali.

Qui mi sono limitato a provare a sondare quello che viene fuori esaminando il gruppo di servitori. Terzo aspetto che, a mio avviso, e' stato scarsamente considerato in questo esame della societa' ebraica di fine ottocento e inizio novecento e' quello della generale secolarizzazione e laicizzazione della societa' circostante, anche cristiana, e non soltanto cristiana. E qui, in questo spirito di secolarizzazione, si risale anche molto indietro, si risale per lo meno fino al marranesimo. Abbiamo testimonianza di qualcuno a Venezia che in ghetto portava la berretta gialla e quando usciva portava la baretta nera perche', come oriundo portoghese, poteva comparire sia come ebreo sia come cristiano.

E non e' solo una questione di berretta, ma e' anche una questione di testa che sta sotto la berretta. Abbiamo colto l'impressione, e c'e' qualche testimonianza in questa direzione, che qualche cristiano iberico, gia' cristiano da due o tre generazioni, ma con la consapevolezza della sua discendenza ebraica, sia tornato all'ebraismo, ma ormai con una tale carica di incredulita' rispetto alla religione da rimanere in una posizione assai ambigua.

E' il grosso tema della nascita dell'incredulita' nel mondo moderno. Su questo si aggiunge ben presto l'illuminismo. Siamo ormai in pieno ottocento e basta pensare alla diffusione delle idee materialistiche, basta fare il nome di leopardi . Non c'e' granche' da stupirsi se gia' nella prima meta' dell'ottocento, ancora una volta prima dell'emancipazione, abbiamo degli ebrei che sono distaccati non solo dall'ortodossia ma proprio dalla fede. E' un processo generale della societa' e quindi non c'e' da levare la mantella, come se ci fossero delle responsabilita' precise all'interno del gruppo ebraico. Io direi che a questo punto gli ebrei non diventano piu' cristiani, ma diventano agnostici, cioe', al problema delle conversioni si aggiunge il problema del distacco dalla fede. Io direi anzi che, a parita' di cultura, (perche' anche questo e' sempre un discorso da fare, cioe' da non prendere mai i blocchi di popolazione soltanto come numeri ma di considerare la cultura specifica all'interno dei blocchi), sia percentualmente molto piu' alto il numero dei cristiani che abbandonano la religione di quello degli ebrei.

Non possiamo chiamare crisi peculiare dell'ebraismo una crisi che e' di tutte le fedi religiose, che e' di tutta la societa'. Possiamo soltanto dire che neppure gli ebrei si sottraggono a un trend comune di fronte a tante concause, quelle storiche, quelle culturali, quelle sociali, quelle economiche, quelle politiche, quelle demografiche, e tutto va in questa direzione del distacco dalla tradizione, tendenti ad annullare un ebraismo che era gia' fragile numericamente e religiosamente come quello italiano, la domanda corretta non e' come sia stato possibile un tale isterilimento dello spirito ebraico. Al contrario, la domanda piu' ottimistica e come ha potuto sopravvivere questo ebraismo, dove ha trovato le risorse per sopravvivere. Il che ci rimanda ancora una volta alla domanda in che cosa sia consistito questo ebraismo italiano, anche dopo che la dissoluzione in quanto gruppo forzatamente chiuso.

Erano evidentemente i cristiani che non solo con il ghetto ma con tutte le interdizioni tenevano compatto questo gruppo. Saltano queste interdizioni e questo gruppo in certo modo tira fuori tutte le tensioni che aveva nell'interno ed esplode. Erano talmente tante le ragioni dell'esplosione, a mio avviso, che e' quasi miracoloso che non ci sia stata una vera e propria dissoluzione o diminuzione totale, come l'ha chiamata primo levi. Allora, dove stanno le ragioni della sopravvivenza. Non credo che le ragioni della sopravvivenza stiano nel fattore religioso, e qui ricordo un brano di buonfiglio che si lamentava perche' c'era stata una riduzione della diversita' ebraica nel campo religioso. Comunque, se si chiedeva a una persona in che cosa consisteva il suo ebraismo, questa persona rispondeva che era un fatto religioso. Anche andando a intervistare le persone oggi, si avrebbe la stessa risposta.

Ma perche'?

Perche' la grande paura e' che la gente dica siete una razza, e quindi si rifugia nel fatto religioso. In realita', non mi sembra che il fattore religioso sia il collante vero di questo variegato ebraismo italiano.

Per esempio, pare che in Israele, il collante che tiene insieme gli ebrei non sia il fatto religioso, o perlomeno, non il collante decisivo. Io credo che dobbiamo cercare di identificare qual e' l'elemento decisivo e qui si va per tentativi. Io chiudo proponendo una traccia che e' piuttosto sociologica. Noi sappiamo che lo sport nazionale ebraico e' stato la caccia ai cognomi e alle parentele. Due ebrei che si incontrano cominciano a raccontarsi le rispettive famiglie per trovare a un certo punto l'anello che li unisce. Se noi pensiamo al medioevo e alla prima eta' moderna, verifichiamo proprio questo: cio' che caratterizza l'unitarita' degli ebrei Italiani e' il fatto che sono tutti collegati per vie matrimoniali o attraverso gli investimenti finanziari nei banchi reciproci.

Uno dei possibili punti di riferimento e' quello della rete delle relazioni di parentela, come fosse una grande rete che alla fine finisce per raggruppare realmente tutti gli ebrei Italiani. La crisi interviene esattamente nel momento in cui una persona non fa piu' riferimento nella sua vita a quella rete di relazioni familiari, ma o per conversione o per altre ragioni, fa riferimento a un'altra rete di relazioni familiari. Anche qui in tempi recenti e' stato molto ripreso il discorso della funzione della donna nella societa' ebraica in quanto e' proprio colei che trasmette l'ebraismo. Credo che vada un po' attenuata questa posizione: cioe' non sempre la donna e' educatrice.

Abbiamo delle grandi figure femminili, naturalmente, ma il fatto e' che la donna e' l'anello essenziale di questo larghissimo sistema parentale. Mi viene in mente una sola analogia possibile di questo sistema, quello con la struttura della nobilta'. Anche dopo che le e' stata tolta una certa funzione all'interno degli stati, la nobilta' sopravvive. Qual' e' la base della sopravvivenza della nobilta'? Il singolo ha determinati antenati, si sente parte di un gruppo perche' e' un nobile. La nobilta' funziona perche' e' tutta basata sul gioco di relazioni parentali.

Chi si riconosce in un punto qualsiasi di questa grande rete di relazioni, e questo e' un discorso che vale per l'Italia, oggi si autoconsidera a mio avviso ebreo, con una grande variabilita' di posizioni rispetto all'adesione alla tradizione religiosa, all'ortodossia. Alcune di queste idee potranno essere ritenute provocatorie, ma vanno interpretate come una proposta di discussione.