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nov 17, 2004 |
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redazione

Un documento sul dialogo cristiano-ebraico

Il documento in questione e'

Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica

Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo 24 giugno 1986

e lo si puo' leggere nella sua interezza in:

http://www.nostreradici.it/sussidi.htm

Vorrei riportare qui questo estratto (parti 3 e 4):

III - Radici ebraiche del Cristianesimo

12. Gesu' e' ebreo e lo e' per sempre; il suo ministero si e' volontariamente limitato "alle pecore perdute della casa d'Israele" (Mt. 15,24). Gesu' e' pienamente un uomo del suo tempo e del suo ambiente ebraico palestinese del I secolo, di cui ha condiviso gioie e speranze. Cio' sottolinea, come di e' stato rivelato nella Bibbia (cf: Rm 2,3-4: Gal 4,4-5), sia la realta' dell'incarnazione che il significato stesso della storia della salvezza.

L'incarnazione di Gesu'

13. Le relazioni di Gesu' con la legge biblica e le con sue interpretazioni piu' o meno tradizionali sono indubbiamente complesse ed egli ha dimostrato al riguardo una grande liberta' (cf. le "antitesi" del discorso della montagna, in Mt. 5,21-48, tenendo conto delle difficolta' esegetiche; l'atteggiamento di Gesu' di fronte all'osservanza rigorosa del sabato (Mc. 3,1-6, ecc.)

Non vi e' alcun dubbio, tuttavia, che Egli voglia sottomettersi alla Legge (cf, Gal 4,4), che sia stato circonciso e presentato al Tempio, come qualunque altro ebreo del suo tempo (cf. Lc 2,21. 22-24) e che sia stato formato all'osservanza della legge. Egli ha raccomandato il rispetto della legge (cf. Mt. 5,17-20) e l'obbedienza ad essa (cf. Mt. 8,4). Il ritmo della sua vita e' scandito, fin dall'infanzia , dai pellegrinaggi in occasione delle grandi feste (cf. Lc 2, 41-52; Gv 2,13; 5,1; 4, 2.10-37; 10,22; 12,1; 13,1; 18,28; 19,24 ecc.).

14. Si deve anche notare che Gesu' insegna spesso nelle sinagoghe (cf. Mt. 4,23; 9,35; Lc 4,15-18; Gv 18,20 ecc) e nel Tempio (cf. Gv 18,20 ecc.), che egli frequentava, come lo facevano i suoi discepoli, anche dopo la Resurrezione (cf. per es. At 2,46; 3,1; 21,26 ecc.). Egli ha voluto insegnare nel contesto del culto della sinagoga l'annuncio della sua messianita' (cf. Lc 4,16-21). Ma soprattutto ha voluto realizzare l'atto supremo del dono di se nel quadro della liturgia domestica della Pasqua, o almeno nel quadro della festivita' pasquale (cf. Mc. 14,1; 12 e paralleli; Gv 18,28). E cio' permette di comprendere meglio il carattere di "memoriale" dell'Eucarestia.

15. Cosi' il Figlio di Dio si e' incarnato in un popolo e in una famiglia umana (cf. Gal 4,4; Rm 9,5). Cio' che per nulla sminuisce, anzi al contrario, il fatto che egli sia nato per tutti gli uomini (attorno alla sua culla si raccolgono pastori ebrei e magi pagani: Lc 2,8-20; Mt. 2,1-12), e che sia morto per tutti (ai piedi della croce, si ritrovano ancora degli ebrei, tra i quali Maria e Giovanni: Gv 19,25-27 e dei pagani come il centurione: Mc. 15,39 e paralleli). Egli ha fatto cosi', nella sua carne, di due popoli un popolo solo (cf. Ef 2,14-17). Il che spiega anche la presenza in Palestina ed altrove, accanto alla "Ecclesia ex gentibus", di una "Ecclesia ex circumcisione" di cui parla, ad esempio, Eusebio (H.E., IV,5).

Gesu' e i Farisei

16. I suoi rapporti con i farisei non furono ne del tutto ne sempre polemici, come illustrano numerosi esempi, tra i quali i seguenti:

Sono dei farisei che avvertono Gesu' del pericolo che corre (Lc. 13,31)

Alcuni farisei vengono lodati come lo "scriba" di Mc. 12,34

Gesu' mangia assieme ai farisei (Lc 7,36; 41,1)

17. Gesu' condivide con la maggioranza degli ebrei palestinesi di quel tempo, alcune dottrine farisaiche: la resurrezione dei corpi; le forme di pieta'; elemosina, preghiera, digiuno (cf. Mt. 6,1-18), e l'abitudine liturgica di rivolgersi a Dio come Padre, la priorita' del comandamento dell'amore di Dio e del prossimo (cf. Mc. 12,28-34). Lo stesso si puo' dire di Paolo (cf. per es. At 23,8), il quale ha sempre considerato un titolo d'onore la sua appartenenza al gruppo farisaico (cf. ibid. 23,, 6. 26,5; Fil 3,5)

18. Anche Paolo, come del resto Gesu' stesso, ha adoperato metodi di lettura e di interpretazione della Scrittura e metodi di insegnamento ai discepoli che erano comuni ai farisei del loro tempo. Il che si incontra ad esempio nell'uso delle parabole nel ministero di Gesu', o nel metodo seguito da Gesu' e da Paolo, quello cioe' di valersi di una citazione biblica per dare fondamento ad una loro conclusione.

19. Si deve anche notare che i farisei non sono menzionati nei racconti della Passione. Gamaliele (cf. At 5,34-39) difende gli Apostoli in una riunione del Sinedrio. Una presentazione solo negativa dei farisei corre il rischio di essere inesatta e ingiusta (cf. Orientamenti e Suggerimenti, nota 1; AAS 1 c., p.76). Sebbene si riscontrino nei Vangeli e in altre parti del Nuovo Testamento ogni sorta di riferimenti a loro sfavorevoli, essi debbono essere colti nello sfondo di un movimento complesso e diversificato, Le critiche mosse a vari tipi di farisei non mancano d'altra parte nelle fonti rabbiniche (cf. Talmud di Babilonia, Trattato Sotah 22 b ecc). Il "fariseismo", nel senso peggiorativo del termine, puo' imperversare in ogni religione. Si puo' anche sottolineare che la severita' mostrata da Gesu' nei confronti dei farisei deriva dal fatto che Egli e' piu' vicino a loro di quanto non lo sia ad altri gruppi ebraici a lui contemporanei (cf. supra n.7).

20.Tutto questo dovrebbe aiutare a comprendere meglio l'affermazione di San Paolo (Rm 11,16 ss.) su "la radice" e "i rami". La Chiesa e il cristianesimo, in tutta la loro novita', hanno origine nell'ambiente ebraico del primo secolo della nostra era e, ancora piu' profondamente, nel "disegno di Dio" (Nostra Aetate, n.4), realizzato nei Patriarchi, in Mose' e nei Profeti (ibid.), fino alla consumazione in Cristo Gesu'.

IV - Gli Ebrei nel Nuovo Testamento

21. Gli Orientamenti e Suggerimenti affermavano gia' (nota 1) che: "la formula gli ebrei nel Vangelo di San Giovanni designa a volte, e secondo il contesto: i capi degli ebrei e gli avversari di Gesu', espressioni queste che meglio esprimono il pensiero dell'Evangelista ed evitano di sembrare di mettere in causa il polo ebreo come tale".

Dati da prendere in considerazione

Una presentazione obiettiva del ruolo del popolo ebraico nel Nuovo testamento deve tener conto di questi diversi dati concreti:

A) I Vangeli sono il frutto di un lavoro redazionale lungo e complesso. La costituzione dogmatica Dei Verbum, a seguito dell'Istruzione Sancta Mater Ecclesia, della Pontificia Commissione Biblica, vi distingue tre tappe: "Gli autori sacri hanno composto i quattro Vangeli scegliendo alcune parti tra molte di quelle che la parola o gia' la scrittura avevano trasmesso, facendone entrare alcune in una sintesi o esponendole tenendo conto della situazione della Chiesa, curando infine la forma di una proclamazione, allo scopo di poterci cosi' sempre comunicare cose vere ed autentiche su Gesu'" (n. 19). Non e' quindi escluso che alcuni riferimenti ostili o poco favorevoli agli ebrei abbiano come contesto storico i conflitti tra Chiesa nascente e la comunita' ebraica. Alcune polemiche riflettono le condizioni nei rapporti tra ebrei e cristiani che, cronologicamente, sono molto posteriori a Gesu'. Questa constatazione resta fondamentale se si vuole cogliere per i cristiani di oggi il senso di alcuni testi dei Vangeli. e' necessario tener conto di tutto questo nella preparazione della catechesi e delle omelie per tutte le settimane di Quaresima e per la Settimana Santa (cf. gli Orientamenti e Suggerimenti II e ora anche : Sussidi per l'Ecumenismo della diocesi di Roma, 1982, 144 b).

B) e' chiaro d'altra parte che, sin dall'inizio del suo ministero, vi siano stati conflitti tra Gesu' ed alcune categorie di ebrei del suo tempo, tra i quali anche i farisei (cf. Mc. 2,1-11, 24; 3,6 ecc).

C) Vi e' inoltre il fatto doloroso che la maggioranza del popolo ebraico e le sue autorita' non hanno creduto in Gesu', un fatto che non e' soltanto storico, ma che ha una portata teologica di cui S. Paolo si sforza di porre in evidenza il senso (Rm 9-11).

D) Questo fatto, che si e' andato accentuando con lo svilupparsi della missione cristiana, soprattutto tra i pagani, ha condotto ad una inevitabile rottura tra l'Ebraismo e la giovane Chiesa, armai irriducibilmente separati e divergenti al livello stesso della fede; questa situazione si riflette nella redazione dei testi del Nuovo Testamento, in particolare dei vangeli. Non e' il caso di sminuire o dissimulare tale rottura, perche si nuocerebbe cosi' facendo all'identita' degli uni e degli altri. Tuttavia essa non cancella minimamente quel "legame" spirituale di cui parla il Concilio (Nostra Aetate, n.4) e di cui questo studio vuole elaborare alcune dimensioni.

E) Riflettendo su questo fatto, alla luce della Scrittura e in particolare dei capitoli citati dell'Epistola ai Romani, i cristiani non debbono mai dimenticare che la fede e' un dono libero di Dio (cf. Rm 9,12) e che la coscienza degli altri non deve essere giudicata. L'esortazione di S. Paolo a non "gloriarsi" (Rm 11,18) della "radice" (ibid.), assume in questo contesto tutto il suo rilievo.

F) Non si possono mettere sullo stesso piano gli ebrei che hanno conosciuto Gesu' e non hanno creduto in lui, o che si sono opposti alla predicazione degli Apostoli, e gli ebrei delle epoche successive o gli ebrei del nostro tempo. Se la responsabilita' dei primi nel loro atteggiamento verso Gesu' resta un mistero di Dio (cf. Rm 11,25), i secondi si trovano in una situazione ben diversa. Il Concilio vaticano Secondo (Dichiarazione Dignitatis Humanae, sulla liberta' religiosa), insegna che "tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione. In modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza ne sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformita' ad essa." (n. 2). Questa e' una delle basi si cui poggia il dialogo ebraico-cristiano promosso dal Concilio.

Responsabilita' per la morte di Gesu'

22. La delicata questione della responsabilita' della morte di Cristo deve essere vista nell'ottica della dichiarazione conciliare Nostra Aetate n.4 e degli Orientamenti e Suggerimenti n. III. "Quanto e' stato commesso durante la sua Passione non puo' essere imputato ne indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi ne agli ebrei del nostro tempo", sebbene "autorita' ebraiche con i propri seguaci si siano adoperate per la morte di Cristo". E piu' avanti: "Il Cristo. in virtu' del suo immenso amore, si e' volontariamente sottomesso alla passione a morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinche tutti gli uomini conseguano la salvezza" (Nostra Aetate n. 4). Il catechismo del Concilio di Trento insegna inoltre che i cristiani peccatori sono piu' colpevoli della morte del Cristo, rispetto ad alcuni ebrei che vi presero parte: questi ultimi, infatti, "non sapevano quello che facevano" (Lc. 23,24), mentre noi lo sappiamo sin troppo bene (Pars I, caput V, Quest. XI). Nella stessa linea e per la medesima ragione "gli ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, ne come maledetti, quasi che cio' scaturisse dalla Sacra Scrittura" (Nostra Aetate, n. 4), anche se e' vero che "la Chiesa e' il nuovo popolo di Dio" (ibid.).

Chiedo scusa a tutti coloro che questo documento gia' conoscevano.

Ciao.