Non mi piacciono i musei (1)
di Menachem Emanuel Artom
Queste note documentate e provocanti ripropongono un problema attuale nelle nostre Comunit: che fare dei cosiddetti "oggetti sacri"?
La tradizione ebraica ci presenta una casistica particolareggiata per
tutto ci che riguarda i "tashmish qedush", termine che si pu
tradurre con una certa approssimazione con "oggetti di culto" o
"oggetti sacri". Le linee direttive di questa casistica sono informate
dal principio "ma'alim baqodesh velo moridim", ossia: quando un
oggetto sia stato dedicato a scopi sacri, ed in certi casi anche
semplicemente usato per essi, non solo non pu pi essere destinato a
scopi profani, ma, se se ne vuol cambiare la destinazione, occorre che
il nuovo uso abbia un carattere di sacralit superiore a quello
originale. Cos, per esempio, si pu usare la stoffa di un Me'il
(rivestimento esterno) di un Sefer Tor per farne una mapp (la
tovaglietta con cui si copre il sefer tra una chiamata e l'altra e che
sta a diretto contatto con la scrittura) detta anche Mitpachat, ma non
il contrario; si pu destinare una busta di Tallet per farne una busta
per Tefillin, ma non viceversa; si pu fare di una correggia di
Tefillin del braccio una per quelli della testa (che per le loro
caratteristiche nella scrittura sono pi sacri), ma non viceversa; si
pu usare il legno della Tev o Bim (palco su cui si recitano le
Tefillt) per farne un Arn ha-Qdesh (armadio per la custodia dei
Sefarim), e non viceversa; si pu usare l'argento dei campanelli di un
Sefer Tor per farne un punteruolo per la lettura, e non viceversa; o,
in altri campi, si pu vendere un cimitero (grado pi basso di santit
di luoghi) per costruire con il ricavato un Bet Ha-Keneset, e tanto
pi per costruire una scuola ebraica, ma non viceversa, mentre
certamente non si pu alienare un cimitero, e tanto meno un Bet
Ha-Keneset o una scuola per costruire con il ricavato un edificio
residenziale o per uffici, n si pu adibire uno dei locali destinati
ai primi scopi per questi ultimi.
Tornando ai Tashmish qedush, essi vanno usati per lo scopo a cui
erano stati originariamente destinati o per uno avente carattere di
maggiore sacralit, fino a che non divengano inservibili; anche a
questo punto non possono essere usati per altri scopi (neppure
fondendoli o trasformandoli, se si tratta di oggetti di metallo), ma
vanno sepolti. Come noto, la stessa regola vale per i Sifr Tor,
per i Tefillin, per gli Zitzijoth, per i libri di preghiere ed in
genere per ogni scritto che contenga nomi divini in caratteri ebraici
quadrati (secondo alcune opinioni pi rigorose, anche se scritti in
altri caratteri e in altre lingue).
Il culto delle reliquie
Quest'abitudine di far scomparire, di seppellire oggetti e libri sacri
quando per il lungo uso non possono pi servire al loro scopo,
contiene implicitamente una posizione che mi sembra caratteristica
dell'ebraismo, e che appare in netto contrasto con sistemi e tendenze
delle civilt greca e cristiana: e cio l'avversione per il culto
delle reliquie e, in un contesto pi vasto, il non riferirsi mai al
passato con il senso di nostalgia per qualcosa di bello che c'era una
volta e che scomparso definitivamente, o come a qualcosa di morto
che non ha attinenza n significato diretto per il presente o per il
futuro. L'ebraismo ricorda s sempre il passato, ma in quanto
insegnamento vivo e vivificatore per il presente e per il futuro.
Forse qualcuno mi potr obiettare che proprio accanto all'oggetto pi
sacro ad Israele, l'Arca in cui erano custodite le tavole della Legge,
si trovavano un vasetto di manna e la verga di Aharon apparentemente
reliquie nel senso pi pieno della parola. In realt, se osserviamo
bene il testo biblico, possiamo vedere che anche questi oggetti
avevano un ben determinato scopo educativo per le generazioni future;
a proposito di tutti e due detto che sono "le mishmret",
espressione che pu essere intesa nel senso di "custodia", cio come
per dire che quegli oggetti vanno custoditi, ma che ha anche il senso
di "avvertimento". questa probabilmente l'accezione da darsi
preferibilmente alla parola Mishmreth, dato che il testo che si
riferisce alla verga di Aharon (Numeri XVII, 25) dice che la verga
deve servire da "mishmreth, da segno per i ribelli, in modo che
abbiano termine le loro lamentazioni" contro il Signore: l'importante
cio non la custodia, ma l'avvertimento, ricco di significato per il
futuro. Analogamente, se nel vasetto di manna si dice che deve essere
"mishmret" per tutte le generazioni, perch esse vedano il cibo dato
dal Signore agli ebrei dopo l'uscita dall'Egitto (Esodo XVI, 32), il
senso pi preciso in questo caso sembra il seguente: il vasetto di
manna doveva servire da monito per il popolo. Anche nei momenti pi
difficili il popolo doveva ricordare che la Provvidenza divina fa
giungere tutto ci che gli occorre a chi ha fiducia in essa. In nessun
caso il testo accenna ad una "reliquia" nel senso comune della parola,
cio a un oggetto ormai inservibile, da conservare, da generare perch
appartenuto ad un certo individuo o a una certa epoca. La riprova di
questo particolarissimo atteggiamento ebraico si pu dedurre da quel
che la Tor dice a proposito dei turiboli usati dai leviti ribelli,
divorati dal fuoco celeste (Numeri XVII, 3): essi avevano assunto
carattere di oggetti sacri in quanto avevano contenuto un incenso
dedicato al Signore. Si stabilisce quindi che servano quale "segno"
per i figli di Israele; ma il tenerli inutilizzati, come
monumenti-ricordo o reliquie, non avrebbe avuto senso, e quindi il
loro materiale viene usato per uno scopo di sacralit superiore, ossia
il rivestimento dell'altare (Ivi, ivi, 4). Da qui possiamo anche
imparare che oggetti che abbiano un carattere di sacralit non possono
rimanere l inutilizzati al solo fine contemplativo (la manna e la
verga di Aharon non avevano di per se stesse nessun carattere di
questo tipo), ma possono essere conservati solo se destinati ad altro
scopo sacro, non inferiore a quello originale.
Ebraismo da museo?
Tutto ci spiega varie cose, e cio, soprattutto,perch noi ebrei non
abbiamo Sifr Tor molto antichi n altri oggetti sacri vecchi di
molti secoli. via via che divenivano inservibili, essi venivano
eliminati con la sepoltura (Gheniz) ed eventualmente sostituiti con
altri nuovi, n si pensava, per sentimentalismo od altro, di
conservare rottami di oggetti inservibili o, tanto meno, di cessare di
usare oggetti sacri ancora utilizzabili per il loro scopo.
Negli ultimi decenni e in varie Comunit ebraiche invalso l'uso di
istituire "Musei di arte ebraica", nei quali vengono in genere esposti
oggetti sacri, quali ornamenti del Sefer Tor, Tallett ricamati,
Meghillt e talvolta perfino Sifr Tor. lecito domandarsi se
quest'abitudine sia o meno conforme alla tradizione ebraica, e se il
fatto che essa sia invalsa solo nel periodo assimilatorio o
post-assimilatorio in cui stiamo vivendo non sia indice della sua poca
ebraicit. Simbolicamente, il nome stesso di Museo, e cio istituzione
dedicata alle Muse, ci porta alla civilt greca o ellenistica, contro
la quale ci siamo tanto battuti e che spesso portata ad esempio
classico dell'antitesi all'ebraismo (e basti accennare a tal fine ai
ben noti scritti di S.D. Luzzatto su "Giudaismo ed Atticismo"). Ma
anche a parte la simbolicit, sembra evidente che sottrarre oggetti
sacri alla funzione che sottrarre oggetti sacri alla funzione per cui
erano stati creati e dedicati e alla quale hanno adempiuto per un
periodo pi o meno lungo, per trasformarli in pezzi da esposizione,
per renderli oggetto della curiosit di turisti pi o meno frettolosi,
od anche mezzi di studio per ricercatori che si accostano ad essi come
ci si accosta a reliquie, resti di un tempo che fu che si desidera
scrutare e conoscere non per affermarne la continuit, ma con il
distacco che si prova per le cose morte, per i "pezzi da museo"
appunto, sia un tipico caso di abbassamento del grado di santit degli
oggetti stessi, e quindi assolutamente opposto alla tradizione
ebraica. Tali oggetti, anche se pregevoli per la fattura e la forma,
debbono essere usati per il loro scopo, e la loro bellezza esteriore,
ammesso che l'abbiano, e l'ammirazione per essa debbono passare in
seconda linea di fronte alla loro destinazione di Mitzv, se vogliamo
agire secondo lo spirito ebraico che bada soprattutto alla sostanza ed
alla funzionalit, e non in base a quello greco, che ha per ideale il
culto della bellezza e dell'esteriorit. Se poi l'uso continuo di tali
oggetti porta al loro deterioramento, come succede ad ogni cosa di
questa terra, dal punto di vista ebraico sar sempre preferibile che
finiscano con l'essere eliminati e sepolti onorevolmente, piuttosto
che conservati a lungo senza esser pi usati per lo scopo a cui erano
stati destinati.
Realt e riproduzione
vero che spesso si sente dire che, specialmente in Italia, per via
dell'assottigliarsi delle Comunit ebraiche, i "tashmish qedush" a
noi giunti dalle generazioni precedenti, specie in alcune localit
sono tanti che non c' pi modo di usarli tutti per il loro vero
scopo, e che quindi meglio esporli in un Museo che lasciarli senza
uso in armadi chiusi. Anche questa argomentazione pu apparire valida
a prima vista, ma solo se si parte da un presupposto "campanilistico"
che ha anch'esso ben poco di ebraico: se una Comunit, o varie
Comunit, hanno "tashmish qedush" in soprannumero, dovrebbero
metterli a disposizione di altre a cui mancano: credo che nella stessa
Italia ce e siano in sovrabbondanza, e se quindi una Comunit desse
una mano all'altra non si tratterebbe che di un bel gesto di doverosa
solidariet ebraica. Fuori d'Italia comunque -basti pensare alle citt
di sviluppo ed ai nuovi insediamenti, ed in genere ai centri minori in
Erez Israel- ci sono moltissimi fratelli ebrei che sarebbero felici di
avere un qualche oggetto che desse il modo di aggiungere "hiddur"
(bellezza e dignit) alle loro Tefillt ed alle loro Mizvt.
pure vero che si dice -e non a torto- che in ogni caso la conoscenza
degli oggetti preparati dai nostri Padri serve a degli scopi molto
positivi, e cio -ad analogia forse del vasetto della manna e della
verga di Aharon- a farci ricordare il passato ed a spingerci a dare
per il futuro espressioni analoghe nella sostanza. Su questo posso
essere d'accordo, ma ci non basta per permettere lo scadimento del
grado di santit degli oggetti in questione: il ricordo di essi potr
esser mantenuto con mezzi, che certamente oggi non mancano, di
fotografia, calchi, ecc. I patiti delle scienze archeologiche od
artistiche ci diranno che le riproduzioni non hanno lo stesso valore
degli originali - ma di nuovo ci ha un senso se si accetta il
presupposto ellenistico della preminenza della forma sulla sostanza.
Secondo noi, che consideriamo essenziale la sostanza, agli scopi di
studio e ricerca suindicati bastano anche le riproduzioni, pur di non
ledere la Qedush che passa avanti a tutto. Per tali scopi un Museo di
riproduzione equivale, se non supera in opportunit, a un Museo di
originali.