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dic 2, 2004 |
Storia millenaria,  |
redazione

Non mi piacciono i musei (1)

di Menachem Emanuel Artom

Queste note documentate e provocanti ripropongono un problema attuale nelle nostre Comunit: che fare dei cosiddetti "oggetti sacri"?

La tradizione ebraica ci presenta una casistica particolareggiata per tutto ci che riguarda i "tashmish qedush", termine che si pu tradurre con una certa approssimazione con "oggetti di culto" o "oggetti sacri". Le linee direttive di questa casistica sono informate dal principio "ma'alim baqodesh velo moridim", ossia: quando un oggetto sia stato dedicato a scopi sacri, ed in certi casi anche semplicemente usato per essi, non solo non pu pi essere destinato a scopi profani, ma, se se ne vuol cambiare la destinazione, occorre che il nuovo uso abbia un carattere di sacralit superiore a quello originale. Cos, per esempio, si pu usare la stoffa di un Me'il (rivestimento esterno) di un Sefer Tor per farne una mapp (la tovaglietta con cui si copre il sefer tra una chiamata e l'altra e che sta a diretto contatto con la scrittura) detta anche Mitpachat, ma non il contrario; si pu destinare una busta di Tallet per farne una busta per Tefillin, ma non viceversa; si pu fare di una correggia di Tefillin del braccio una per quelli della testa (che per le loro caratteristiche nella scrittura sono pi sacri), ma non viceversa; si pu usare il legno della Tev o Bim (palco su cui si recitano le Tefillt) per farne un Arn ha-Qdesh (armadio per la custodia dei Sefarim), e non viceversa; si pu usare l'argento dei campanelli di un Sefer Tor per farne un punteruolo per la lettura, e non viceversa; o, in altri campi, si pu vendere un cimitero (grado pi basso di santit di luoghi) per costruire con il ricavato un Bet Ha-Keneset, e tanto pi per costruire una scuola ebraica, ma non viceversa, mentre certamente non si pu alienare un cimitero, e tanto meno un Bet Ha-Keneset o una scuola per costruire con il ricavato un edificio residenziale o per uffici, n si pu adibire uno dei locali destinati ai primi scopi per questi ultimi.
Tornando ai Tashmish qedush, essi vanno usati per lo scopo a cui erano stati originariamente destinati o per uno avente carattere di maggiore sacralit, fino a che non divengano inservibili; anche a questo punto non possono essere usati per altri scopi (neppure fondendoli o trasformandoli, se si tratta di oggetti di metallo), ma vanno sepolti. Come noto, la stessa regola vale per i Sifr Tor, per i Tefillin, per gli Zitzijoth, per i libri di preghiere ed in genere per ogni scritto che contenga nomi divini in caratteri ebraici quadrati (secondo alcune opinioni pi rigorose, anche se scritti in altri caratteri e in altre lingue).

Il culto delle reliquie
Quest'abitudine di far scomparire, di seppellire oggetti e libri sacri quando per il lungo uso non possono pi servire al loro scopo, contiene implicitamente una posizione che mi sembra caratteristica dell'ebraismo, e che appare in netto contrasto con sistemi e tendenze delle civilt greca e cristiana: e cio l'avversione per il culto delle reliquie e, in un contesto pi vasto, il non riferirsi mai al passato con il senso di nostalgia per qualcosa di bello che c'era una volta e che scomparso definitivamente, o come a qualcosa di morto che non ha attinenza n significato diretto per il presente o per il futuro. L'ebraismo ricorda s sempre il passato, ma in quanto insegnamento vivo e vivificatore per il presente e per il futuro.
Forse qualcuno mi potr obiettare che proprio accanto all'oggetto pi sacro ad Israele, l'Arca in cui erano custodite le tavole della Legge, si trovavano un vasetto di manna e la verga di Aharon apparentemente reliquie nel senso pi pieno della parola. In realt, se osserviamo bene il testo biblico, possiamo vedere che anche questi oggetti avevano un ben determinato scopo educativo per le generazioni future; a proposito di tutti e due detto che sono "le mishmret", espressione che pu essere intesa nel senso di "custodia", cio come per dire che quegli oggetti vanno custoditi, ma che ha anche il senso di "avvertimento". questa probabilmente l'accezione da darsi preferibilmente alla parola Mishmreth, dato che il testo che si riferisce alla verga di Aharon (Numeri XVII, 25) dice che la verga deve servire da "mishmreth, da segno per i ribelli, in modo che abbiano termine le loro lamentazioni" contro il Signore: l'importante cio non la custodia, ma l'avvertimento, ricco di significato per il futuro. Analogamente, se nel vasetto di manna si dice che deve essere "mishmret" per tutte le generazioni, perch esse vedano il cibo dato dal Signore agli ebrei dopo l'uscita dall'Egitto (Esodo XVI, 32), il senso pi preciso in questo caso sembra il seguente: il vasetto di manna doveva servire da monito per il popolo. Anche nei momenti pi difficili il popolo doveva ricordare che la Provvidenza divina fa giungere tutto ci che gli occorre a chi ha fiducia in essa. In nessun caso il testo accenna ad una "reliquia" nel senso comune della parola, cio a un oggetto ormai inservibile, da conservare, da generare perch appartenuto ad un certo individuo o a una certa epoca. La riprova di questo particolarissimo atteggiamento ebraico si pu dedurre da quel che la Tor dice a proposito dei turiboli usati dai leviti ribelli, divorati dal fuoco celeste (Numeri XVII, 3): essi avevano assunto carattere di oggetti sacri in quanto avevano contenuto un incenso dedicato al Signore. Si stabilisce quindi che servano quale "segno" per i figli di Israele; ma il tenerli inutilizzati, come monumenti-ricordo o reliquie, non avrebbe avuto senso, e quindi il loro materiale viene usato per uno scopo di sacralit superiore, ossia il rivestimento dell'altare (Ivi, ivi, 4). Da qui possiamo anche imparare che oggetti che abbiano un carattere di sacralit non possono rimanere l inutilizzati al solo fine contemplativo (la manna e la verga di Aharon non avevano di per se stesse nessun carattere di questo tipo), ma possono essere conservati solo se destinati ad altro scopo sacro, non inferiore a quello originale.

Ebraismo da museo?
Tutto ci spiega varie cose, e cio, soprattutto,perch noi ebrei non abbiamo Sifr Tor molto antichi n altri oggetti sacri vecchi di molti secoli. via via che divenivano inservibili, essi venivano eliminati con la sepoltura (Gheniz) ed eventualmente sostituiti con altri nuovi, n si pensava, per sentimentalismo od altro, di conservare rottami di oggetti inservibili o, tanto meno, di cessare di usare oggetti sacri ancora utilizzabili per il loro scopo.
Negli ultimi decenni e in varie Comunit ebraiche invalso l'uso di istituire "Musei di arte ebraica", nei quali vengono in genere esposti oggetti sacri, quali ornamenti del Sefer Tor, Tallett ricamati, Meghillt e talvolta perfino Sifr Tor. lecito domandarsi se quest'abitudine sia o meno conforme alla tradizione ebraica, e se il fatto che essa sia invalsa solo nel periodo assimilatorio o post-assimilatorio in cui stiamo vivendo non sia indice della sua poca ebraicit. Simbolicamente, il nome stesso di Museo, e cio istituzione dedicata alle Muse, ci porta alla civilt greca o ellenistica, contro la quale ci siamo tanto battuti e che spesso portata ad esempio classico dell'antitesi all'ebraismo (e basti accennare a tal fine ai ben noti scritti di S.D. Luzzatto su "Giudaismo ed Atticismo"). Ma anche a parte la simbolicit, sembra evidente che sottrarre oggetti sacri alla funzione che sottrarre oggetti sacri alla funzione per cui erano stati creati e dedicati e alla quale hanno adempiuto per un periodo pi o meno lungo, per trasformarli in pezzi da esposizione, per renderli oggetto della curiosit di turisti pi o meno frettolosi, od anche mezzi di studio per ricercatori che si accostano ad essi come ci si accosta a reliquie, resti di un tempo che fu che si desidera scrutare e conoscere non per affermarne la continuit, ma con il distacco che si prova per le cose morte, per i "pezzi da museo" appunto, sia un tipico caso di abbassamento del grado di santit degli oggetti stessi, e quindi assolutamente opposto alla tradizione ebraica. Tali oggetti, anche se pregevoli per la fattura e la forma, debbono essere usati per il loro scopo, e la loro bellezza esteriore, ammesso che l'abbiano, e l'ammirazione per essa debbono passare in seconda linea di fronte alla loro destinazione di Mitzv, se vogliamo agire secondo lo spirito ebraico che bada soprattutto alla sostanza ed alla funzionalit, e non in base a quello greco, che ha per ideale il culto della bellezza e dell'esteriorit. Se poi l'uso continuo di tali oggetti porta al loro deterioramento, come succede ad ogni cosa di questa terra, dal punto di vista ebraico sar sempre preferibile che finiscano con l'essere eliminati e sepolti onorevolmente, piuttosto che conservati a lungo senza esser pi usati per lo scopo a cui erano stati destinati.

Realt e riproduzione
vero che spesso si sente dire che, specialmente in Italia, per via dell'assottigliarsi delle Comunit ebraiche, i "tashmish qedush" a noi giunti dalle generazioni precedenti, specie in alcune localit sono tanti che non c' pi modo di usarli tutti per il loro vero scopo, e che quindi meglio esporli in un Museo che lasciarli senza uso in armadi chiusi. Anche questa argomentazione pu apparire valida a prima vista, ma solo se si parte da un presupposto "campanilistico" che ha anch'esso ben poco di ebraico: se una Comunit, o varie Comunit, hanno "tashmish qedush" in soprannumero, dovrebbero metterli a disposizione di altre a cui mancano: credo che nella stessa Italia ce e siano in sovrabbondanza, e se quindi una Comunit desse una mano all'altra non si tratterebbe che di un bel gesto di doverosa solidariet ebraica. Fuori d'Italia comunque -basti pensare alle citt di sviluppo ed ai nuovi insediamenti, ed in genere ai centri minori in Erez Israel- ci sono moltissimi fratelli ebrei che sarebbero felici di avere un qualche oggetto che desse il modo di aggiungere "hiddur" (bellezza e dignit) alle loro Tefillt ed alle loro Mizvt.

pure vero che si dice -e non a torto- che in ogni caso la conoscenza degli oggetti preparati dai nostri Padri serve a degli scopi molto positivi, e cio -ad analogia forse del vasetto della manna e della verga di Aharon- a farci ricordare il passato ed a spingerci a dare per il futuro espressioni analoghe nella sostanza. Su questo posso essere d'accordo, ma ci non basta per permettere lo scadimento del grado di santit degli oggetti in questione: il ricordo di essi potr esser mantenuto con mezzi, che certamente oggi non mancano, di fotografia, calchi, ecc. I patiti delle scienze archeologiche od artistiche ci diranno che le riproduzioni non hanno lo stesso valore degli originali - ma di nuovo ci ha un senso se si accetta il presupposto ellenistico della preminenza della forma sulla sostanza.
Secondo noi, che consideriamo essenziale la sostanza, agli scopi di studio e ricerca suindicati bastano anche le riproduzioni, pur di non ledere la Qedush che passa avanti a tutto. Per tali scopi un Museo di riproduzione equivale, se non supera in opportunit, a un Museo di originali.