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mag 19, 2005 |
Opinioni dei nostri visitatori,  |
redazione

Tom Segev, Il settimo milione

Questo libro non spiega nulla ma cerca di dimostrare tutto; non cio un libro di storia, ma un libro a tesi: per di pi le tesi sono deboli assai.

Tesi 1:il sionismo ha cercato di trasformare la Shoa nel mito fondatore dello Stato di Israele, e l'operazione fallita, perch oltre ad Israele la Diaspora, oltre ad esistere, continua a coltivare una propria memoria della Shoah (allo stesso modo: i religiosi antisionisti continuano a coltivare la loro). La costruzione di questo mito fondatore va di pari passo alla costruzione dell'identit nazionale israeliana, che, come ogni identit, stabilisce un dentro e un fuori. Cos negli anni di Hitler l'identit israeliana si sarebbe modellata sui pionieri escludendo gli yekke; Segev finge di non vedere che nei decenni seguenti proprio gli ebrei tedeschi siano diventati l'lite nazionale che ha modellato, per dirne una, l' identit urbana delle citt popolate da ebrei. Successivamente, l'identit israeliana si modella sugli ashkenaziti, escludendo i nuovi immigrati sefarditi: la prova della verit di questa logora canzoncina sarebbero (tenetevi forte) le lettere in cui i funzionari addetti all'immigrazione si lamentano dell'amaro compito di avere a che fare con ebrei siriani riottosi a trasformarsi in israeliani. Da che mondo mondo, ogni funzionario statale con poche risorse a disposizione si lamenta - se non altro per ottenere pi fondi, ma Segev d a questa lamentele un valore metafisico.

Tesi 2: dalla Shoah si possono trarre insegnamenti diversi ed contrastanti; oppure: a partire dalla Shoah si possono costruire identit israeliane (ed ebraiche) differenti ed in conflitto tra loro. Questa pluralit segna lo scacco del progetto di cui alla tesi 1.

Tesi 2.a La Shoah la prova dell'esistenza di un antisemitismo sempiterno ed immutabile, il filo rosso che lega tra loro Hitler, il Gran Muft, Arafat, Saddam Hussein e chi vuole smantellare gli insediamenti. Seppure vi indulgano anche i laburisti, questa visione paranoide la base dell' ideologia della "destra nazionale-religiosa" (vale a dire, il Likud). A motivare questa grossolana semplificazione basterebbe l'analisi di UN periodo della carriera politica di Menachem Begin - la Shoah non compare quasi mai nei discorsi pubblici degli altri leader del Likud (Shamir, Sharon), ma Segev segnala la cosa solo in nota. Questa lettura della Shoah, oggi prevalente, si trasformata in un culto della memoria ad uso delle giovani generazioni

Tesi 2.b La Shoah la prova del fallimento della Diaspora e della necessit di costruire l'ebreo nuovo, allo stesso modo in cui il comunismo voleva costruire l'uomo nuovo, vedendo nella societ faudale l'esistenza inautentica. I laburisti, professando questa lettura della Shoah (sempre connessa all'eroismo di alcuni, sistematicamente sopravvalutato), faticano a cogliere le proporzioni della catastrofe, comportandosi, n pi n meno come i politici europei. Il che, per Segev, una colpa imperdonabile. Con qualche sprezzo della cronologia, l'autore sembra suggerire che proprio da questa mis-comprensione nascerebbe il declino elettorale del laburismo israeliano

Tes 2.c - sottocapitolo della visione whigh della storia (che di questi tempi torna di moda). La Shoah dovrebbe essere una delle tante esperienze storiche che portano gli ebrei (o gli israeliani) ad essere il popolo guida nel cammino dell'umanit verso la democrazia universale. Cio una delle ragioni per ritirarsi dai territori.

Come molti contemporaneisti, Segev, per provare la verit delle sue tesi, non solo mette in ombra fatti macroscopici ma sopravvaluta fatti minimi; p. es. un capitolo intero dedicato al velleitario progetto di alcuni sopravvissuti di avvelenare gli acquedotti tedeschi. Il risultato un universo in cui gli esseri umani si reggono sulla testa e non sulle gambe, in cui le azioni degli uomini sono viste come conseguenza delle loro sempre erronee convinzioni politiche o religiose.

Il libro riporta qualche fatto che pu essere considerato con profitto dai cretinetti che palpitano leggendo editoriali in cui risuonano i leit motiv sionisti, come "il sionismo ha fallito", motivetto che risuona da cinque decenni nei discorsi dei leader sionisti - di fallimento del sionismo si parlava anche all'epoca della Shoah, in tempi assai pi oscuri di ora. Al di l di questo, che non molto, lo ho trovato via via pi irritante per il crescente saltabeccare tra storia e cronaca, e per il moralismo con cui viene considerata la sfera della politica. Segnalo inoltre che Segev, figlio (apprendo dalla quarta di copertina) di ebrei tedeschi, si rammarica praticamente ad ogni capitolo, di quanto sia difficile normalizzare le relazioni diplomatiche tra Israele e Germania: per colpa naturalmente degli israeliani. Certo, in giro c' tanta roba ben peggiore, ma non basta a trasformare queste pagine in un libro di storia.